Dolphin, rap e poesia

Il musicista russo quarantaduenne ritma, da 25 anni, il tema della liberazione sessuale e lo stato d'animo di una generazione sospesa tra il passato sovietico e un futuro incerto

Ci sono sigle, acronimi, che con il tempo vengono ricoperti da una patina: che vengono utilizzati talmente tanto da perdere il loro riferimento originario. Si dice Rap e si pensa a macchine enormi, a strade suburbane, ad atteggiamenti smaccati. Ma per entrare nello spazio artistico di Dolphin - 42 anni, venticinque dei quali passati a definire il territorio del rap russo – bisogna recuperare il senso “primitivo” di quell’acronimo: Rhythm And Poetry, ritmo e poesia.

Perché per le migliaia di giovani russi, che da anni ballano sulle note del musicista di Mosca, si tratta di questo: di muoversi ascoltando parole in grado di definire meglio di altre esperienze collettive, disagi individuali, tensioni e desideri. 

Discografia

Не в фокусе - Non a fuoco, 1997
Глубина резкости - La profondità della distinzione, 1998
Я буду жить - Vivrò, 2000
Плавники - Pinne, 2000
Ткани - Tessuti, 2001
Звезда - Stella, 2004
Юность - Gioventù, 2007
Существо - Sostanza, 2011

Più di un concerto, più di uno show. Un rito. Una celebrazione. Raccolta intorno a una trama musicale che con il tempo ha acquistato sempre maggior consapevolezza.

E per riuscire a comprendere la portata della musica di Dolphin bisogna tornare indietro. Indietro di un’intera epoca politica. Andare al 1989, all’impero che sta per crollare, alle ultime strette di un regime agli sgoccioli. E a quella voce che su basi ritmiche elementari declama versi ispirati dall’esigenza di una totale liberazione sessuale. Qualcosa che nell’Unione Sovietica alla fine dei suoi giorni era ne più ne meno che sovversione allo stato puro.

Per questo Dolphin viene osteggiato. E la sua crociata si spegne non tanto perché viene sconfitta. Ma perché quel mondo crolla, scompare.

Poi gli ani della transizione. Dolphin lascia i suoi compagni di strada e sceglie la carriera da solista. Ricorda: “È stato un passo logico, naturale, stavo cercando la mia strada, la mia voce. Una nuova versione di me”.

Un nuovo sguardo sulla realtà fotografato nei suoi primi dischi. Dove il tema della liberazione sessuale viene implementato. E legato a considerazioni sull’abuso di sostanze stupefacenti nella Federazione della metà degli anni ’90 e, in generale, sulle condizioni di vita dopo essere precipitati nel buco nero della transizione politica.

Nei suoi dischi, Dolphin fornisce dei paletti, quasi delle indicazioni topografiche sullo stato d’animo di una generazione sospesa tra un passato ingombrante e un futuro incerto.

A metà degli anni 2000, il successo commerciale e la svolta. Prima l’ubriacatura della fama con la vittoria, nel 2004, dell’Mtv Russian Music Awards e con la partecipazione al Live 8 dell’anno successivo. Poi la consapevolezza: “I premi acuiscono solo la vanità e più invecchi più non ne hai bisogno. I premi sono importanti all’inizio della carriera. Ti danno sicurezza”. Poi non se ne ha più bisogno. Poi si cerca l’autenticità. Che per un musicista può anche significare che “alla propria voce non si rinuncia”.

Così Dolphin chiude le porte a trasmissioni in playback e a comparsate d’occasione. Si chiude in studio di registrazione. Sperimenta, ricerca nuove atmosfere. Sempre con la stella polare della bellezza. E nel 2012 il suo ultimo lavoro. In copertina una piccola Madonna di Leonardo Da Vinci. A stabilire, metaforicamente, un legame con un’aspirazione: l’ambizione della perfezione.

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