Markov: "Vi racconto il vero Márquez"

Gabriel García Márquez durante una conferenza stampa dell’Unione dei registi sovietici alla Casa Centrale del Cinema, durante la XV edizione del Festival internazionale del cinema di Mosca, nel 1987 (Foto: M. Yurchenko / Ria Novosti)

Gabriel García Márquez durante una conferenza stampa dell’Unione dei registi sovietici alla Casa Centrale del Cinema, durante la XV edizione del Festival internazionale del cinema di Mosca, nel 1987 (Foto: M. Yurchenko / Ria Novosti)

Sergei Markov, autore della prima biografia russa dello scrittore colombiano, morto all’età di 87 anni, racconta il suo incontro con il premio Nobel e il rapporto di Gabo con la Russia: “Una volta giunto a Mosca, andò subito a visitare il Mausoleo di Lenin”

Si è spento all’età di 87 anni il premio Nobel per la Letteratura Gabriel García Márquez, autore di “Cent’anni di solitudine”, il romanzo chiave del realismo magico. Sergei Markov, che lo ha conosciuto personalmente, è l’autore della prima biografia russa di Márquez, uscita nel 2012, nonché traduttore delle sue memorie. In questa intervista, i ricordi di Markov. 

A differenza della maggior parte dei traduttori, lei ha avuto l’occasione di incontrare personalmente lo scrittore. Può raccontarci in quale anno e in quali circostanze è successo?

La prima volta che incontrai Márquez fu all’Avana. Era il 1980. Dovevamo preparare un’intervista per il giornale “Ogonek”. Lui mi chiese: “Perché un nome così strano?”. La traduzione di Ogonek sarebbe infatti “fuocherello”. "Ma che c’entra, rispondete alla domanda sul romanzo, sulle vostre opere”. "Quali opere? Mi spieghi cos’è questo fuocherello!”. E così per dieci minuti gli ho spiegato il significato del nome. Si è rivelata un’intervista divertente. Era una persona affascinante, abituata a dare pacche sulle spalle, raccontare aneddoti, fare battute sconcie. Márquez, nella sua vita, ha rilasciato migliaia, forse decine di migliaia di interviste. E ogni volta raccontava di sé in modo diverso. Mitizzando tutto quello che poteva. Col tempo ha anche rivelato diverse date di nascita. Per questo tutti aspettavano una biografia della sua vita: volevano sentire finalmente la versione finale, la versione ufficiale della sua vita. D’altronde tutta la sua produzione era piena di riferimenti autobiografici. Márquez è cresciuto nella città di Arakataka, cioè il villaggio Macondo di “Cent’anni di solitudine”.

Lei ha intitolato il suo libro “Prostitute e dittatori di Gabriel García Márquez ". Si tratta di una metafora o si parla di prostitute e dittatori reali?

Ricordate, nelle Sacre Scritture praticamente non ci sono eroi positivi. Persino nei confronti degli apostoli c’è un atteggiamento ambiguo. Invece le prostitute sono tutte positive: Maria Maddalena, Maria Egiziaca. In Márquez è lo stesso. Questo filo conduttore può essere rintracciato già dai primi racconti, dal racconto “Donna arrivata alle sei in punto” che racconta la storia di una prostituta che ha ucciso un suo cliente. Márquez la giustifica: non poteva non ucciderlo. Il tema delle prostitute è presente in tutte le opere fino a “Memorie delle mie puttane tristi”. Lui ha vissuto in bordelli, perché erano più economici degli alberghi. Le prostitute gli stiravano le camicie e battevano a macchina i suoi manoscritti. Nelle memorie descrive come una prostituta nuda e con gli occhiali stava seduta e batteva a macchina il suo racconto. Loro gli suggerivano dei soggetti e perfino lo criticavano.

Non meno interessante è il tema dei dittatori. Arrivato a Mosca, Márquez per prima cosa andò a visitare il Mausoleo dove allora giaceva Stalin. Guardò con attenzione la mummia e si soffermò sulle mani che a lui sembrarono femminili. Questa caratteristica l’ha poi attribuita al suo dittatore nel romanzo “Autunno del patriarca”. L’immagine del patriarca è complessa, realizzata come un mosaico prendendo caratteristiche di diverse persone. Da una ha preso gli occhi, dall’altra il modo di parlare. Quando visse a Barcellona, gli si presentò l’opportunità di incontrare Franco. Márquez rifiutò: “E cosa dovrei dirgli? Che adesso sto scrivendo un libro su un figlio di puttana e che vorrei attribuirgli le sue caratteristiche?”

Il destino russo di Márquez in Russia iniziò nel 1970. Divenne subito popolarissimo. Da allora tutto quello che ha a che vedere con l’America Latina suscita un clamore di massa, fino alle serie televisive. Cosanepensate, perché?

Noi somigliamo ai latino americani. Per la pigrizia, la trasparenza e anche la crudeltà. Sia la Russia che l’America Latina hanno un forte senso epico, di appartenenza a una grande storia. “Le persone più interessanti vivono in Unione Sovietica”, ha sempre detto Márquez. Una lettrice sovietica ha preso e scritto a mano “Cent’anni di solitudine”. Poi ha spiegato che con questo gesto “voleva capire chi di noi fosse il pazzo, lui o io”. L’opera di Márquez con le sue prostitute e i suoi dittatori è stata per noi una rivelazione. È proprio incredibile che lo abbiano pubblicato.

Probabilmente per le sue vedute comuniste.

Certamente. Qui è necessario ricordare che Fidel e lui erano amici dal 1948. I dissidenti cubani mi hanno detto che Fidel sosteneva finanziariamente la popolarità di Márquez. Nel nostro paese è venuto quindici volte. La prima volta venne al Festival dei giovani e degli studenti, trascorse un mese e scrisse un grande saggio “22.400.000 kilometri quadrati senza una pubblicità della Coca Cola”. Poi venne durante il periodo di Gorbaciov sotto suo invito personale. Visitò la redazione del giornale "Ogonek”, incontrò il regista Spesivtsev che stava lavorando a “Cent’anni di solitudine”. Si truccò e cominciò a mostrare agli attori come recitare. Poi all’improvviso smise di visitare il paese e di interessarsi a noi. La più grande tragedia della sua vita, come lui stesso disse, fu il disfacimento dell’Unione Sovietica. Dopo il 1991 la Russia non fu più interessante per lui come lo era stata prima”.

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