Accanto all’ufficio postale e all’unico supermercato c’è un edificio di cemento con un tetto triangolare a forma di “chum”, la tipica tenda dei popoli del Nord. In precedenza, al suo interno c’era un ristorante, ma poi l’edificio è stato acquistato dalla più grande banca di Russia, Sberbank. Ora sopra la porta di ferro c’è un cartello con le ore di attività del Centro Nazionale Sami. L’interno è di solito vuoto. Sulle pareti ci sono fotografie della tundra (che inizia a cento metri da qui), gli orari delle lezioni per i bambini, e vari esempi dei prodotti artigianali locali, come guanti in pelle di renna.
Siamo nel villaggio di Lovózero (Ловозеро), meno di 2.900 abitanti, nella Penisola di Kola, oltre il Circolo polare artico. Murmansk, la grande città più vicina, dista 167 km. Mosca è circa 2.000 chilometri più a sud. Ma questo villaggio nel mezzo della tundra è la “capitale” della Lapponia russa. I Sami, gli indigeni di queste terre, qui sono particolarmente numerosi in percentuale, e tutto ciò che fanno è cercare di non scomparire. Quelli di loro che continuano a dirsi Sami (in russo: Саамы, “saàmy”; nella loro lingua: “sámit” o “sápmelaš”), con il risentimento accumulato in diversi decenni, dicono: “Siamo stati trasformati in una nazione decorativa”. Secondo il Censimento del 2010 in tutta la Russia i Sami sono 1.771, di cui 1.599 in questa zona.
Ma negli ultimi anni, Lovozero è diventato un posto gettonatissimo. E il 2017 è stato il primo in cui i turisti hanno superato quota 10 mila.
I Sami sono gli indigeni del Nord Europa, e la terra in cui vivono si chiama Lapponia, dall’antico nome dei Sami ; “loparì”. Il loro territorio storico si trova diviso tra quattro Paesi: Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia. Sono circa 80 mila persone. La maggior parte dei Sami vive in Norvegia (quasi 40 mila), 20 mila in Svezia, 6.000 in Finlandia e la comunità più piccola è quella in Russia con 1.771 persone (inoltre ci sono circa 130 Sami in Ucraina).
I dati del censimento del 2010 mostrano cifre non molto diverse rispetto all’inizio del XX secolo: anche nell’Impero russo e nell’Urss ce n’erano all’incirca lo stesso numero che nell’attuale Federazione Russa. Ma ciò che è cambiato molto è il numero di Sami che ricordano la loro lingua e le loro tradizioni.
“In epoca sovietica, era vietato parlare sami a scuola”, racconta Valentina Sovkina, residente nel villaggio di Lovozero. “Ma a casa sentivo comunque la nostra lingua. Ora la capisco, e chiedo a tutti i parenti che la conoscono di parlarla con me. I miei figli, invece sanno a malapena due o tre parole.”
In effetti, una lingua sami unitaria non esiste, ci sono dialetti sami. In Russia se ne parlano quattro (su un totale di 9, più due estinti).
Rimma Kuruch, un ricercatore di Scienze filologiche ha ricordato: “Quando sono arrivato a Murmansk nel 1975, sapevo che i Sami vivevano nella penisola di Kola, ma non riuscivo a immaginare la situazione in cui si trovava la loro cultura nazionale in quel momento. La lingua sami era trasmessa solo oralmente, non c’era una lingua scritta, e non era insegnata a scuola.” Quindi si riunì un gruppo di appassionati, che iniziarono a lavorare sull’alfabeto e sul dizionario sami. Questo non è stato il primo tentativo del genere, ma sicuramente il più riuscito. Il sami (dialetto di Kildin) iniziò a essere insegnato nelle scuole e negli istituti di Lovozero. Tuttavia, solo 353 persone lo parlano oggi in Russia, e la maggior parte di loro ha 70-80 anni.
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Oggi, la gioventù Sami cerca di trasferirsi in città prima che può. I giovani hanno poche opzioni d’impiego a Lovozero. In realtà, solo una: andare a lavorare nella tundra.
Tradizionalmente, i Sami sono impegnati nell’allevamento delle renne e fanno i pastori nomadi accompagnando un grosso branco. Nella tundra vivono nelle loro abitazioni appuntite, dette “kuvaksa”, ricoperte di pelli di renna e simili al “chum” dei Nenci. “Sono nato qui a Lovozero e un mese dopo mi hanno portato nella tundra. A bordo di una renna, perché prima mica c’erano i fuoristrada. Mia madre lavorava nella tenda, si occupava nelle faccende domestiche”, racconta Gavril Kirilov, allevatore di renne (in russo: olenovód).
Oggi da allevatore di renne si può studiare in un istituto locale. Il corso dura 2 anni e 10 mesi. Ma le paghe per questo lavoro non sono granché: in media sui 25 mila rubli (305 euro) al mese. E anche i pagamenti per la carne data ai macelli vanno attesi a lungo. E non è più permesso vivere nella tundra con i bambini: non ci sono condizioni di sicurezza. I bimbi vengono mandati in collegio per un po’ di tempo.
Per risolvere i loro problemi, nel 2008 volevano persino eleggere un parlamento Sami, come quelli che esistono in Europa (i Sami russi cercano di rimanere in contatto con i Sami europei). “Abbiamo studiato tutti i documenti, e visto come sono stati creati i parlamenti Sami in Finlandia, Norvegia, Svezia. Quindi abbiamo iniziato a preparare il congresso, è stato necessario eleggere i delegati”, racconta Valentina Sovkina. In ogni villaggio Sami si proponeva anche di issare la bandiera sami insieme a quella russa. Ma le autorità regionali non hanno sostenuto queste idee: né il parlamento né la bandiera, parlando apertamente di rischio separatismo. I Sami sono rimasti molto offesi. La Sovkina si asciuga le lacrime. “Siamo stati trasformati in una nazione decorativa, che sa solo ballare davanti ai turisti. Sembra che sia meglio stare zitti e risolvere tra di noi i nostri problemi”, dice.
Fino a poco tempo fa, in effetti, dei Sami della Regione di Murmansk ci si ricordava solo per le feste, quando l’ensemble sami si esibisce nelle danze tradizionali, o al tempo dei Giochi sami (delle “olimpiadi” locali). Uno degli sport più seguiti è il calcio sami, giocato solo dalle donne, con un pallone di pelli e pelliccia di renna. Ma tutto è cambiato dal 2010.
“Se i Sami sono richiesti solo per l’intrattenimento, allora questa non può essere anche la loro salvezza?”, ha pensato Ivan Golovin, il capo della comunità Sami, e ha deciso di affittare 50 mila ettari di terra per il pascolo delle renne e ha invitato gli amici di Lovozero a vivere insieme come vivevano i loro antenati. Il posto, a 30 chilometri da Lovozero, lo hanno chiamato Sam Syjte (Самь Сыйте), che si traduce come “Villaggio Sami”, e hanno iniziato a guadagnarsi da vivere con l’etno-turismo.
Ora, ai turisti piace da morire farsi fotografare con il costume tradizionale sami, anche se per i Sami indossare il vestito di un altro è come rubare la sua identità. “Mentre un copricapo femminile ricamato con perline è una specie di passaporto per le donne, in cui puoi leggere se la donna è sposata, quanti figli ha, dove vive, quanto è ricca”, afferma Vitalij Krut, residente nella comunità Sami. Proprio per queste particolarità storiche la gente ha iniziato ad arrivare qui numerosa.
Nel 2017, il “Villaggio Sami” è stato visitato da oltre 10.500 turisti, provenienti principalmente da Cina, Thailandia, Australia, India ed Europa. Nel villaggio, tutto è organizzato come i Sami hanno fatto per secoli: ci sono le tipiche kuvaksi, le tende a punta, e un tempio con idoli di legno (i Sami adorano gli spiriti della natura). Ma per il divertimento, hanno aggiunto qualcosa di nuovo: un mini-zoo con animali artici, molti husky, diversi quad, e una slitta trainata da renne che va in giro per la tundra.
Ora i Sami sperano che se non l’allevamento delle renne, quantomeno l’etno-turismo, alla moda e redditizio, diventi una ragione per cui il popolo non si disperderà, emigrando in giro per tutta la Russia, e tornerà a unirsi. “Speriamo che i giovani restino o tornino a vivere qui. Abbiamo anche un programma specifico: se i Sami si sposano tra di loro e fanno dei bambini, diamo alla coppia un appartamento gratis”, afferma Golovin.
Finora, però, non è nato neanche un solo piccolo Sami nell’etno-villaggio. Ma in compenso hanno finito di costruire l’hotel.
Le etnie della Russia con una popolazione inferiore a 500 persone (la più piccola ne ha 4)
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