Emigrazione e russofobia: così i russi all’estero hanno rivalutato la propria patria (OPINIONE)

Aleksandr Kislov
Per le nuove generazioni di russi, emigrare non significa più tagliare il cordone ombelicale con il proprio paese d’origine, come avveniva in epoca sovietica. Allo stesso tempo, i figli della nuova Russia non sono più disposti ad alimentare i sentimenti anti-russi che spesso circolano in Occidente

La russofobia in Occidente è stata a lungo alimentata dagli immigrati sovietici di un tempo, che forse avevano bisogno di rafforzare quelle giustificazioni che li avevano spinti ad emigrare: odiavano il luogo che si erano lasciati alle spalle, e si preparavano ad abbracciare la loro nuova terra. Oggi, invece, i russi viaggiano e vivono in tutto il mondo, ma restano comunque legati alla propria patria. Si rifiutano di "schierarsi" contro la Russia, al costo di riscoprirsi loro stessi bersagli della russofobia.  

Per anni gli emigranti si sono rivelati la principale fonte di alimentazione dei più diffusi stereotipi anti-sovietici, e successivamente anti-russi. D’altronde, in quel periodo, l'emigrazione dall'URSS era a senso unico: all'uscita del paese si veniva spogliati della cittadinanza sovietica e si perdeva ogni contatto significativo con amici e familiari rimasti in patria. Qualsiasi fossero i ricordi reali delle proprie radici, essi venivano influenzati dalla nuova condizione di vita e dai luoghi comuni già radicati nel paese adottivo. 

Il fatto che molti emigranti dell’epoca fossero rifugiati, ovviamente, aveva un peso. I pensieri e i desideri di chi voleva emigrare si adattavano bene agli obiettivi geopolitici del blocco occidentale durante la Guerra Fredda: in molti casi, la gente era disposta a raccontare a tutti quanto fosse terribile l'Unione Sovietica. Per alcuni, questo coinvolgimento nella propaganda anti-sovietica era, in qualche modo, l’unico impegno di rilievo, oltre che un passatempo nella loro nuova vita in Occidente. 

Vento di cambiamento

Gli anni Novanta si rivelarono un periodo di cambiamento nella sociologia della migrazione russa: i cittadini del nuovo paese iniziarono infatti a viaggiare, e a fare ritorno in patria, ormai lontani dalla condizione di rifugiati vissuta dalla generazione precedente.

Per poter restare in Occidente, avrebbero dovuto affrontare la complessa normativa che ancora oggi regola l’immigrazione lavorativa e familiare. Coloro che sono emigrati dalla Russia negli anni '90 erano perlopiù professionisti, o persone che avevano già dei familiari all'estero. Nessuno ha tolto loro il passaporto, la registrazione della residenza ("propiska") o i diritti di proprietà acquisiti durante il periodo di privatizzazione. I loro conti bancari hanno continuato a essere attivi e internet ha consentito a tutti di restare in contatto con amici e familiari che, rimasti in patria, potevano raccontare loro la reale situazione delle cose. Insomma, chi emigrava sapeva di lasciare un luogo in cui poteva facilmente fare ritorno.

Questi fattori hanno ovviamente cambiato il volto dell'immigrazione negli anni a venire. Molti di noi, che hanno lasciato la Russia negli anni ‘90, si soffermano ancora oggi sulle ragioni che li hanno spinti a compiere un passo così grande. E ci si rende conto che quelle motivazioni non erano più legate all’odio nei confronti della loro terra natìa; avevano più che altro a che fare con la consapevolezza di vivere ormai nel mondo “reale”: dare la possibilità al proprio figlio di giocare in un parchetto ben tenuto, vedere l'abbondanza di prodotti in un supermercato americano, guardare la TV via cavo, noleggiare una nuova auto "straniera" o andare da Starbucks ci sembrava un mondo in cui valeva la pena di vivere, perché la Russia non possedeva ancora quelle cose.

Il nuovo mondo

In breve tempo, negli anni di Putin, i supermercati, i parchetti colorati, Starbucks e la TV via cavo a Mosca sono diventati ancor più abbondanti che in Occidente. Nel giro di poco è stato possibile guardare la CNN, ordinare un cappuccino, fare la spesa alle 3 del mattino, caricare contanti nel bancomat, guidare una Volvo e acquistare una nuova TV a rate. L’emigrazione alimentata dalle esigenze dei consumatori si è rivelata quindi senza senso. Durante i loro viaggi in patria, gli emigrati si rendevano conto che, paradossalmente, certe cose erano più facilmente reperibili in Russia che all’estero, come acquistare una Volvo o raggiungere lo status sociale necessario per potersela permettere.

Inoltre, la loro conoscenza di una lingua straniera, il loro percorso formativo all’estero e la loro esperienza in Occidente hanno migliorato le prospettive di carriera in Russia. Alcuni si sono ritagliati un posto di rilievo in certi settori del mercato, altri hanno rivalutato la vecchia azienda di famiglia e sono riusciti a farla decollare.

Per queste stesse ragioni molti giovani russi che oggi potrebbero viaggiare all’estero non sono disposti a tagliare il cordone ombelicale. La Russia vanta un numero enorme di persone che negli ultimi 20 anni hanno visitato decine di paesi diversi... Molti di loro, grazie al denaro guadagnato in Russia, hanno acquistato proprietà all’estero, non solo nei paesi occidentali, ma anche a Goa (India occidentale) e in Montenegro.

I russi sono diventati così una nazione globale: hanno assorbito la conoscenza e l’esperienza non solo dell'Oriente e dell'Occidente, così come viene diviso tradizionalmente il pianeta, ma hanno assimilato anche tratti della cultura, dell'economia, della geografia e della vita del mondo intero. 

Con questi presupposti, qualsiasi tipo di migrazione diventa un'etichetta inutile. La vita che i russi fanno in Occidente è spesso peripatetica, limitata a un percorso di studio o a un contratto di lavoro, e può essere portata avanti con altrettanta facilità in patria, o in un luogo diverso. Molti hanno seguito scrupolosamente le regole del programma di immigrazione che li ha portati a naturalizzarsi in un Paese occidentale, intascando così il nuovo passaporto, per proseguire poi il viaggio. Oggi ci sono russi che hanno la cittadinanza di tre o quattro paesi diversi e che possiedono almeno altrettante case in altrettanti posti diversi.

I russi oggi

I russi oggi sono una nazione molto più globale di quanto non lo fossero 20 anni fa. Naturalmente questo non vale per tutti, ma solo per coloro che altrimenti sarebbero emigrati. Se la loro stessa capacità di viaggiare e vivere all'estero è legata al reddito e alle risorse delle loro famiglie, o alla loro carriera in Russia, di sicuro la loro patria non sarà un luogo che essi saranno disposti a lasciare definitivamente. E non sarà nemmeno un luogo che saranno disposti a screditare o sminuire.

E anche se molti russi “internazionali” criticano il governo o i costumi del proprio paese, è sempre meno probabile che condividano queste loro idee con l’Occidente. Il periodo del governo Putin non solo ha aperto loro le porte di una vita “globale”, ma ha anche ri-polarizzato il mondo in cui si trovano ora. La nuova ondata di russofobia non si nutre più, quindi, dei sentimenti dei russi emigrati, ma li prende di mira come rappresentanti del loro Paese d'origine, spesso ignorando il fatto che essi sono anche cittadini dell'Occidente. 

Negli ultimi anni, questo processo ha portato a una rinascita del patriottismo russo tra i russi all'estero, rafforzando le diaspore russe e il loro desiderio di sentirsi russi e rimanere tali. La propaganda occidentale ha rispolverato il suo vecchio arsenale della Guerra Fredda, nella speranza che possa funzionare altrettanto bene contro la Russia moderna così come funzionò contro l'Unione Sovietica. Ma, a differenza dei rifugiati del passato, i russi “globali” di oggi non contribuiranno ad alimentare questi sentimenti. 

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