Viaggio tra le vite dei senzatetto di Mosca

Erwann Pensec
Nella capitale si contano almeno 10mila persone senza un luogo dove vivere. E ogni giorno varie associazioni si mettono al lavoro per offrire loro un pasto caldo e cure mediche. Russia Beyond ha visitato uno dei centri di accoglienza di Mosca, il Centro Glinka

Periferia di Mosca. Il termometro segna -10°C. Siamo davanti all’ingresso del Centro pubblico di integrazione sociale per i senzatetto “Elizaveta Glinka”. Mentre una guardia controlla minuziosamente i nostri documenti, davanti a noi sfilano aziani con le stampelle e signore con dei borsoni che sembrano contenere una vita intera.

Al termine dei controlli finalmente ci lasciano entrare. Ci accompagnano di fronte a una tenda che sembra essere il principale punto di ritrovo del luogo. Qui decine di senzatetto, arrivati da ogni angolo della città, si scaldano con un pasto caldo offerto dall’associazione.

Il menu del giorno, preparato grazie alle donazioni di numerose organizzazioni, comprende una zuppa, un pezzo di pane, del riso con carne e verdure e un tè fumante, che vengono distribuiti direttamente da un furgone parcheggiato poco lontano. 

Attorno al tavolo le persone mangiano in un silenzio quasi religioso. Nonostante la fame e il freddo che da anni li consuma, alcuni mostrano una solidarietà commovente e non esitano a condividere con chi ha più fame una parte della propria razione. 

Osservando i volti segnati dal gelo, scopriamo che la maggior parte di queste persone è ben più giovane di quanto sembra: molti di loro non superano i 50 anni, talvolta nemmeno i 40. 

In assenza di un numero sufficiente di posti a sedere, alcuni uomini mangiano in strada, a pochi passi dal cancello principale. È allora che ci avviciniamo a uno di loro, che sembra incuriosito dalla nostra presenza. Non ha casa né lavoro da almeno due anni, e racconta di essere scivolato in questa situazione a seguito di un furto durante il quale gli hanno portato via i documenti. 

Ripercorrendo con noi la sua storia, rivela un incredibile desiderio di parlare e una profonda necessità di instaurare dei legami, seppur fugaci, con la società dalla quale è stato emarginato: un disperato tentativo di non essere ignorato, di non essere dimenticato dal mondo. Sentimenti condivisi anche da una donna seduta poco lontano, la quale, pur non volendo essere fotografata, si dimostra abbastanza loquace.

Ci imbattiamo quindi in un signore intento a parlare con coloro che sono in fila per ricevere un pasto caldo. Ha un taccuino in mano e dalla borsa spuntano dei medicinali e dei prodotti per l’igiene personale. Lui è Boris, uno dei consulenti medici del centro, una figura molto conosciuta da chi frequenta questo luogo.

Seguiamo poi i passi di Anatoly Fessenko, vice direttore dei servizi sociali, che si offre di farci da guida. Attraversiamo un cortile dove sono ammassati dei borsoni contenenti beni di prima necessità e ci avviamo verso l’ambulatorio medico. Lì incrociamo persone con gli arti amputati per il freddo e affette da vari disturbi psicologici.

Lì, su un lettino d’ospedale, un paziente fissa il vuoto e sembra non accorgersi della nostra presenza. Aspetta l’arrivo di un medico. Poco lontano, un signore su una sedia a rotelle appena ci vede si mette a recitare dei versi di Pushkin, scambiando poi qualche battuta con un’infermiera che, a quanto pare, conosce bene. 

Ci dice di aver perso un piede a causa del freddo e di essere molto riconoscente alle persone del centro Glinka. Le ragioni che lo hanno portato a perdere la casa, però, preferisce non raccontarle.

Fuori spuntano le prime luci dell’alba e per noi arriva il momento di andarcene. In strada regnano il gelo e il silenzio. E sullo sfondo di questa desolazione ci allontaniamo, pensando alle vite di queste persone che fra poche ore sprofonderanno di nuovo tra il freddo e l’oblio.

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