Nel 2010 Ivan Nefedjev lesse su internet un articolo nel quale si sosteneva che i giocatori di videogame ottenevano ottimi risultati in palestra, distinguendosi rispetto agli altri principianti. Inflessibili, tenaci, motivati, erano consapevoli di dover fare le cose per gradi: non cercavano di passare subito ai pesi più grandi, e quindi molto raramente si infortunano.
Ma quindi chi è stato un giocatore di videogame è più intelligente? Un’affermazione così perentoria è discutibile. Ma certo chi per anni ha curato la forma del personaggio del videogame a cui si è dedicato, ha sicuramente imparato la lezione: non ci sono scorciatoie per ottenere risultati in tempi brevi.
Ivan è convinto che seguendo i meccanismi dei videogiochi si possa arrivare a qualsiasi obiettivo. E il suo corso sulla gamification, tenuto assieme a Miroslava Bronnikovaja sulla piattaforma Stepik, è stato già due volte premiato come il miglior corso online russo dagli specialisti di EdCrunch. Russia Beyond ha chiesto a Nefedjev di rispondere alle principali domande sulla gamification.
Iniziamo dalle basi. Cos’è la gamification?
La definizione più diffusa è: l’utilizzo di elementi dei giochi e dei loro meccanismi in contesti non ludici; nel business, nello sviluppo personale, nei progetti sociali, nell’istruzione, nel marketing e così via.
Ma se pensate che intitolare la vostra newsletter settimanale “Caccia al tesoro” e dire che seguire la vostra compagnia su Twitter è “una sfida” basti a fare una strategia di gamification, beh, vi sbagliate di grosso. Può essere che risulti divertente, ma di certo non è sufficiente.
Noi abbiamo la nostra definizione: la gamification è l’aggiunta di regole di gioco non obbligatorie in qualsivoglia contesto. Anche se la gamification è spesso utilizzata anche in contesti già di per sé ludici, specialmente sportivi.
Per poter dire di essere in presenza di gamification, devono verificarsi tre condizioni: deve essere interessante e coinvolgente; deve essere utile (non serve a niente permettere sul lavoro di giocare al solitario); deve essere un processo volontario, cioè si deve poter entrare e uscire dal gioco a piacimento.
Va bene per tutti?
Il modo più semplice per determinare se avete bisogno della gamification è chiedervi: c’è un problema importante che non può essere risolto con misure economiche o amministrative? Se sì, è il caso di prenderla in considerazione. La possibilità tecnica di utilizzare la gamification, c’è sempre. Ma è necessario considerare i fattori limitanti, ad esempio etici.
Ho provato a usare un sistema che prevede delle classifiche ma non funziona. Dove sbaglio?
Classifiche (leaderboards), distintivi (badges), punti (points; inclusa la valuta virtuale) e premi sono gli elementi di gioco più semplici e usati più frequentemente. Ma se vi limitate a utilizzare solo questi strumenti, è piuttosto difficile ottenere risultati stabili e duraturi. Se ci limitiamo a questi meccanismi, i “giocatori” faranno solo lo stretto necessario per aumentare il loro punteggio. Niente di più. È confermato da molti casi fallimentari.
Allo stesso tempo, questi semplici elementi funzionano realmente, se hanno dietro qualcosa di più interessante; un’idea più persuasiva.
Solo negli anni Novanta la Russia ha aperto le porte ai prodotti stranieri. Gli scaffali dei negozi per bambini si sono riempiti di giocattoli cinesi. In quegli anni erano davvero di pessima qualità e spesso pericolosi per l’incolumità dei più piccoli. Ma i giocattoli russi costavano più cari e i genitori compravano quelli cinesi.
In un negozio allora misero due aste vicino alla cassa. A una c’era una bandiera russa, all’altra una bandiera cinese. A ogni giocattolo che veniva venduto, il venditore issava di un centimetro la rispettiva bandiera, a seconda del Paese di fabbricazione. Era una classifica, per quanto nella sua forma più primitiva. Ma ottenne il suo scopo. Molti iniziarono a prestare attenzione al fatto che i giochi di produzione russa stavano perdendo la competizione, e proprio per questo a comprarli.
E cosa c’è oltre a distintivi e classifiche?
Centinaia di meccanismi diversi. Missioni, giochi di ruolo, personaggi virtuali, economia virtuale e così via. In rete si possono trovare vari insieme già pronti con 30, 50 o ancora più meccanismi. Qui non dobbiamo scoprire l’America.
Le compagnie russe, per esempio, amano molto utilizzare un personaggio virtuale. È utile per aiutare gli utenti o diminuire la loro aggressività.
In una delle città della Russia, sui social network, a nome dei funzionari pubblici agisce un Alce. Ha un profilo completo, scrive dei post sulla sua vita, pubblica notizie (in gran parte sull’ecologia). E partecipa alle discussioni tra cittadini. A un certo punto una persona può rendersi conto che è già mezz’ora che polemizza con l’Alce. Dopo questa scoperta, di solito, la smette di prendere le cose con eccessiva serietà, e diventa meno aggressiva.
E questo funziona sempre?
Non tutti i meccanismi funzionano bene allo stesso modo in tutti i casi. Per esempio, in Svezia la Volkswagen aveva messo in piedi un gioco che puntava alla riduzione della velocità alla guida.
In giro per la città erano stati messi degli schermi che mostravano all’automobilista un like se rispettava i limiti, e un pollice verso, un dislike, se infrangeva le regole. I guidatori potevano così partecipare a una lotteria con dei soldi in premio. Come risultato, il numero di chi pestava troppo sull’acceleratore si è ridotto del 30 per cento.
In Russia si è cercato di copiare l’idea, ma con i tram. Nei tratti dove bisogna procedere a passo d’uomo sono stati posizionati dei radar. E indovinate come è andata a finire…
Indifferenti al rischio di multa, i conducenti dei tram hanno iniziato una specie di folle gara, per vedere chi riusciva a passare questi tratti pericolosi alla velocità più elevata. Hanno persino iniziato a fare scommesse su chi sarebbe stato “il più bravo pilota della settimana”. Gli organizzatori semplicemente non avevano tenuto nella dovuta considerazione le differenze di mentalità tra svedesi e russi.
Allora come posso capire se ho davvero bisogno della gamification? Da dove iniziare?
– Primo passo. Ponetevi un obiettivo. Per esempio: aumentare le vendite. È ideale che l’obiettivo sia molto preciso e dettagliato, e segua i cosiddetti “criteri Smart” (specific, measurable, assignable, realistic, time-related; ovvero che sia specifico, misurabile, raggiungibile, realistico, temporizzabile).
– Secondo passo. Studiate le persone che dovranno giocare a questo gioco. Cosa fanno al di fuori del lavoro, quanti anni hanno, quali sono i loro interessi. Il vostro successo dipende da quanto bene li conoscete.
– Terzo passo. Stabilite con precisione cosa devono fare i giocatori. Possono essere anche azioni minime, e anzi più sono semplici e meglio sarà, almeno nella fase iniziale (per esempio con l’obiettivo di fare un giro di telefonate a un massimo di dieci clienti al giorno). Bisogna anche valutare attentamente come voi potrete conoscere i risultati. Una questione cruciale in questa fase è far combaciare gli obiettivi dei giocatori con quelli del creatore del sistema. Non cercate di costringere le persone a fare quello che, in nessuna circostanza, non avrebbero fatto di loro volontà, altrimenti siamo già fuori dalla gamification.
– Quarto passo. È il “percorso dell’eroe”, del protagonista: bisogna pensare, cosa succederà con l’avvicinamento del giocatore al punto finale del gioco. Gli strumenti funzionano in modi molto diversi a seconda dei vari livelli. I distintivi, che possono essere d’aiuto nella fase dell’entusiasmo iniziale, perdono di efficacia alla lunga. Se il vostro gioco non è breve, a un certo punto bisognerà introdurre degli elementi aggiuntivi, per rinfocolare la motivazione dei giocatori. E ancora, il giocatore deve sempre poter avere una scelta: giocare o non giocare, svolgere il compito da solo o unirsi a una squadra, e così via…
– Ci sono poi ulteriori passi (noi di solito ne elenchiamo nove). L’importante è capire che non bisogna iniziare dagli strumenti. La scelta concreta dei meccanismi non deve avvenire prima del quinto, sesto passo di costruzione del gioco.
Ok, ma serve un premio. Quale deve essere?
Il premio finale può anche non esserci, così come quelli intermedi. I premi sono l’elemento più esplicito e uno dei più utilizzati. Ma come altre componenti, non sono obbligatori.
Si può mandare il dipendente a una conferenza con il top management dell’azienda alla quale non avrebbe avuto accesso, se non avesse superato tutti i livelli del gioco. Si può proporgli un aiuto nello sviluppo di un progetto personale.
L’importante è avere chiaro che i premi, specialmente quelli consistenti, sono un rischio serio. In primo luogo, inevitabilmente porteranno l’attenzione dei giocatori a trasferirsi dall’attività stessa all’ottenimento del premio.
In secondo luogo, spunta il rischio di gente che bara o che cerca di “hackerare” il gioco, pur di garantirsi un vantaggio rispetto agli altri concorrenti.
In terzo luogo, si è osservato che spesso i giocatori perdono un sacco di tempo a “meditare” sulla classifica e sui possibili modi di risalire la china, invece di agire, facendo qualcosa di davvero utile.
In quarto luogo, i giocatori spesso iniziano a fare esclusivamente quello che serve per ottenere il premio e smettono di sperimentare, seguendo sempre la strada già battuta per paura di fare errori.
In quinto luogo, dopo aver ricevuto un grosso premio (del tipo di un appartamento o una macchina), i giocatori “con grande piacere” se ne vanno in un’altra compagnia, visto che ormai in questa hanno raggiunto il loro obiettivo.
Ci sono ancora almeno altri quattro possibili problemi legati ai premi, ma penso che abbiate già capito il senso generale: i premi non sono, come si potrebbe pensare, uno strumento sempre utile e senza controindicazioni.
Il 4 e 5 ottobre a Mosca si terrà il festival dell’industria creativa “Great Eight”, nel corso del quale Ivan Nefeldjev e altri 200 specialisti parleranno al pubblico di nuove possibilità e progetti unici.