Attacchi a raffica nelle scuole russe: perché si emula Columbine?

Reuters
Tre assalti solo a gennaio, da parte di adolescenti che con coltelli, accette e bombe molotov (in Russia non è facile come negli Stati Uniti procurarsi armi da fuoco) cercano di fare strage di insegnanti e compagni. Si dà la colpa ai tanti gruppi sui social network che inneggiano ai due ragazzi protagonisti della carneficina in Colorado nel 1999, ma forse i problemi sono più profondi

Scuola 127 di Perm, 1.400 chilometri a est di Mosca: due sedicenni assaltano una classe di quarta; uno di loro accoltella due volte la maestra al collo, poi feriscono 14 alunni. Passano due giorni, in un piccolo villaggio della Regione di Cheljabinsk, 1.700 chilometri a est di Mosca, durante la ricreazione un giovane studente di nona classe accoltella un compagno. Passano altri due giorni, e sempre in un villaggio, non lontano dalla capitale della Buriazia Ulan-Udè, 5.600 chilometri a est di Mosca, un altro scolaro di nona classe attacca i bambini durante le lezioni con un’accetta e delle bottiglie molotov: finiscono in ospedale in sette.
In una sola settimana di gennaio, insomma, ben tre scuole russe sono state attaccate dai loro stessi allievi. Secondo gli inquirenti, i tre casi sarebbero legati tra di loro, e l’ideazione sarebbe maturata all’interno delle community online “true-crime”, blog e gruppi dedicati agli attacchi alle scuole, in particolare all’omicidio di massa del 1999 nella scuola americana di Columbine, non lontano da Denver (Colorado), dove i due studenti Eric Harris e Dylan Klebold, di 18 e 17 anni, aprirono il fuoco uccidendo 12 studenti e un insegnante, e ferirono altre 24 persone, prima di suicidarsi.

Tutti gli aggressori facevano infatti parte di questi gruppi, postavano sui social network contenuti e fotografie sul tema. L’adolescente che ha attaccato la scuola in Buriazia indossava una t-shirt della band tedesca di industrial metal KMFDM, proprio come i due assalitori di Columbine. Un altro membro della community, l’alunno delle classi superiori Mikhail Pivnev, a Ivanteevka, 35 chilometri fuori Mosca, a settembre scorso aveva colpito la sua insegnante con un grosso coltellaccio da macellaio e le aveva poi sparato in faccia con una pistola ad aria compressa. La donna era finita in rianimazione, e tre bambini in ospedale, perché erano saltati dalla finestra (dal secondo piano) in preda al panico. Su Vkontakte il ragazzino si faceva chiamare Mike Klebold (usando il cognome di uno degli assassini di Columbine).
Il Roskomnadzor, il Servizio federale per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa, ha iniziato a bloccare questo tipo di gruppi sui social network. I più popolari avevano fino a diecimila iscritti. Ma ne nascono continuamente. “Respect, ragazzi! Per quattro mesi ho lavorato al gruppo e nessuno sapeva di noi. Poco più di una settimana fa (dopo quella stronzata successa a Ulan-Udè) lo hanno chiuso. Ma nel giro di una settimana ho riacquistato lo stesso esercito di iscritti”, scrive in una di queste community, “World of a Columbiner” l’amministratore, sotto lo pseudonimo di Brock. Sulla pagina del gruppo, la firma EeD (sta per “Erik e Dylan; i due assalitori di Columbine), loro foto, documenti d’archivio, meme e fan art.

Brock e altri tre fondatori del gruppo, con i quali Russia Beyond è entrata in contatto, sostengono tutti più o meno la stessa cosa: il senso del gruppo è spiegare cosa non va fatto, è “una lezione per tutti”, perché a certe tragedie porta la frustrazione di ripetute prese in giro (gli psicologi ritengono che la causa scatenante dei due assalitori di Columbine fosse il bullismo subito per anni a scuola, in quanto “strani” e “sfigati”). E ancora, secondo i fondatori del gruppo, loro aiutano gli adolescenti in difficoltà, perché qui possono trovare altre persone simili a loro e socializzare.
“Noi siamo assolutamente contro la violenza. I gruppi ‘true-crime’ non sono pericolosi, contengono solo informazioni, foto e documenti vecchi di vent’anni, e citazioni, o come nel mio gruppo, quasi solo meme”, dice l’amministratore di “Meme decrepiti su Columbine”, Nikolaj Drazdov. Due giorni dopo il nostro colloquio, la sua pagina personale, risultava cancellata.
Ma nel gruppo di Brock ci sono anche foto con scritte forti del tipo “Se non fai una sparatoria a scuola, allora nella vita non hai fatto un c…zzo”. Nei commenti c’è chi, come un certo Dima Kotov di Sebastopoli, scrive del desiderio “di fare una Columbine”. Sul suo profilo ci sono molti repost dalle comunità true-crime, tutorial sulle armi da fuoco, molti post di odio e scritte tipo “Io vi sparo a tutti” e “Aspettate il 20 aprile”, con la foto di un mitra.

Cosa fanno le autorità
Al Ministero delle Comunicazioni ritengono che tutti i gruppi dedicati al culto di Columbine dovrebbero essere bloccati al pari di quelli che propagandano il terrorismo e il suicidio. “In sostanza, tra di loro non c’è differenza, anche questi gruppi pubblicizzano comportamenti antisociali e distruttivi”, ha affermato il viceministro Aleksej Volin.
Il Roskomnadzor, su disposizione del quale partono i blocchi, afferma ufficialmente che i gruppi chiusi dalle autorità contenevano informazioni che incitavano i minori al suicidio.
Tutto è iniziato con piccoli gruppi. Le prime community true-crime hanno iniziato ad apparire sull’internet russo nei primi anni Duemila, ma a lungo sono rimaste materia di interesse per pochissime persone. Proprio come quelle dedicate a famosi truffatori o a celebri serial killer. La diciottenne Diana si è appassionata a Columbine per caso, vedendo un post sui social network ed entrando in un gruppo. Sul suo profilo la gran parte dei post sono su Harry Potter, Twin Peaks, o canzoni di Alt-J e Hurt.
“Poi la cosa mi ha coinvolto. Ho letto i diari, ho visto le registrazioni di Erik. E il puzzle ha iniziato a comporsi. Era molto interessante per me la psicologia di queste persone, cosa li avesse spinti ad agire. Ma sui gruppi non c’è niente di particolare su di loro. Prendere di mira queste community è semplicemente ridicolo. La nostra società spinge gli adolescenti contro un muro. Se ci relazionassimo in modo diverso, senza etichettarci tutti come ‘secchione’, ‘sfigato’, oppure ‘figo’, ‘sportivo’, vivere sarebbe forse più facile. E nessuno si metterebbe in testa di ripetere una nuova Columbine”, dice Diana.
Nelle community true-crime gli assalti alle scuole di Perm e di Ulan-Udè sono definite delle “gigionate”. “Sono dei deficienti come tanti, che hanno solo preso ispirazione e volevano diventare ‘famosi’”. “Che fossero fan di Harris e Klebold è vero, ma niente di più”, dice Drazdov. “Il motivo della vendetta per l’offesa c’era forse per Pivnev, che ha sparato all’insegnante. Ma il resto delle vittime non c’entrava niente con il bullismo”.
Sui mezzi di comunicazione di massa presentano questi fatti come “una nuova realtà”, e come conseguenza della latitanza di genitori, scuole e istituti nella socializzazione dei bambini. Per esempio, il cattivo lavoro degli psicologi scolastici e la banale indifferenza dei genitori sarebbe evidenziata dal fatto che tutti gli autori dei sanguinosi attacchi in Russia avevano scritto apertamente post sulle loro bacheche in cui annunciavano l’intenzione di fare una carneficina, chiedevano dove poter trovare armi, e uno di loro era persino in cura da uno psicologo. Ma al centro della polemica ci sono soprattutto le community true-crime, che spingerebbero alla violenza e provocherebbero “una reazione a catena”.
“E sapete qual è la cosa peggiore? Dopo questa ondata di notizie sui giornali, in tv, e sui blog più in voga, il tema è diventato ancora più popolare. La crescita dei gruppi è stata improvvisamente enorme”, dice Drazgov. Diana è d’accordo: “È come un’epidemia. Inizia con un gruppetto di persone e poi contagia tutti gli altri”.

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