“Ciao ragazzi. Mi chiamo Artem Iskhakov e voglio spiegarvi quello che è successo questa notte. Ho ucciso la mia compagna di camera. E poi l’ho s***ata. Due volte”, così comincia la confessione con cui l’assassino descrive l’omicidio della 19enne Tatjana Strakhova. Anche l’autore è morto: si è ucciso dopo averla finita e postata su Vkontake. La polizia ha trovato i loro corpi nell’appartamento.
Una storia orribile
Tatjana studiava alla Scuola Superiore di Economia di Mosca e condivideva un appartamento con Artem, uno studente della Università tecnica statale di Mosca N. E. Bauman. I due, molti anni prima, avevano avuto una storia, ma si erano lasciati rimanendo amici. Stando alla lettera di Artem, lui “amava” ancora Tatjana. Ma poiché lei non corrispondeva i suoi sentimenti, aveva cominciato a impazzire di desiderio e di gelosia. Fino a decidere di ucciderla.
Il 22 gennaio, al mattino presto, Artem ha aspettato che Tatjana tornasse a casa. Poi la ha assalita, colpendola a pugni in faccia, soffocandola e, infine, accoltellandola. Secondo quanto scritto nella lettera, l’avrebbe anche stuprata, due volte mentre era ancora viva e altre ancora, invece, dopo che era morta. Ha poi passato le 12 ore successive a scrivere la lettera di addio, nominando molti amici e conoscenti e facendo delle pause per mangiare e dormire. Poi si è ucciso.
Problemi mentali
Gli psichiatri hanno subito messo in evidenza come Artem fosse affetto da problemi di salute mentale. Come ha dichiarato a Lenta.ru lo psichiatra moscovita Petr Kamenchenko, “Il comportamento di Artem ricorda quello di uno psicopatico: gelosia patologia, desiderio di dominio e fantasie violente nel passato”. Artem aveva accennato che, fin da bambino, aveva avuto la fantasia di uccidere una persona e che si “faceva dei tagli” nel tentativo di mantenere sotto controllo questo inquietante impulso. Era stato anche in cura da uno psicologo e da uno psichiatra e prendeva medicine. Gli psicologi dicono che la cura non aveva funzionato. “Se Artem avesse avuto delle cure psichiatriche appropriate”, scrive Svetlana Bronnikova, psicologa specializzata in traumi, in un editoriale per il sito Takie Dela, “sia lui che Tanja (forma abbreviata per Tatjana) sarebbero ancora vivi”.
Dare la colpa alla vittima
Ma la situazione compromessa della salute mentale di Artem non ha impedito a diversi organi di stampa, insieme a tanti utenti della rete, di concentrarsi sulla personalità della vittima. Hanno puntato il dito sulla relazione, molto stretta, con Artem, sulle sue abitudini e sulla sua vita sociale. REN TV, per esempio, ha pubblicato un’intervista con un amico di Artem – rimasto anonimo: “Credo che sia stata Tanja a spingere Artem a fare quello che ha fatto… con la sua indifferenza [per i suoi sentimenti]”
La situazione poi è peggiorata quando alcuni giornali hanno cominciato a pubblicare le immagini che Tatjana metteva su Instagram e su VK. In molte di queste la si vede in posa con alcolici e sigarette (o marijuana) in mano, in altre è vestita della sola biancheria intima. Secondo alcuni, è solo un modo per spostare il giudizio sulla persona assassinata, o almeno per insinuare una sua colpevolezza.
“Si è scoperto che Tanja Strakhova”, hanno scritto su Dni.ru, “è meno innocente di quanto tutti pensassero”. L’hanno definita “una vittima potenziale” suggerendo che, postando quelle immagini, potrebbe aver “provocato” Artem.
Inoltre, molti utenti hanno lasciato commenti critici sulla pagina Instagram di Tatjana, che il 26 gennaio risultava ancora aperta, chiamandola “puttana” (e peggio). Alcuni dicendo che la sua morte violenta fosse stata provocata dal suo stile di vita.
Nessun motivo per uccidere
Non tutti, come è ovvio, trovano appropriati questi pensieri. La blogger Daria Andreeva, discutendo con Wonderzine, dice che “le reazioni all’omicidio di Tatjana mi hanno fatto venire i brividi. Anche se sei stata brutalmente uccisa all’improvviso, salta fuori che tante persone pensano che te lo sia meritato; solo perché aveva foto di alcolici e di sex toy sul suo account Instagram”.
In tanti condividono questa amarezza. Anastasia, una blogger di Minsk, ha dato vita a una campagna sui social lanciando l’hashtag #этонеповодубить (“questo non è un motivo di uccidere”). Molte persone (in particolare donne) lo hanno utilizzato per accompagnare le loro immagini più o meno esplicite, per dimostrare che mettere in mostra il corpo non è né una provocazione né un motivo per essere ammazzati. Non era necessario caricare fotografie di nudo, comunque. Alcune hanno pubblicato immagini di quadri o hanno aggiunto l’hashtag ai post su Facebook.
Ecco alcuni esempi:
“Tutti hanno un corpo sotto i vestiti. Alcuni lo mostrano”. Non è #Nonèunmotivoperuccidere una persona. Non esiste alcun motivo per uccidere.”
“Gente, che problemi avete? Perché pensate che la vittima debba avere una colpa?”
“Lasciate che vi ricordi che una ragazza può pubblicare le sue immagini spinte e che non è una ragione per ucciderla. Può respingere le vostre avance, e non è una ragione per ucciderla. Potete disprezzarla, ma non è una ragione per ucciderla. Può bere, fumare e avere la sua vita, è non è una ragione per ucciderla. Non esiste nessuna ragione per ucciderla”
Se queste storie vi sembrano un po’ troppo forti, leggete come vivono i moscoviti. (https://it.rbth.com/lifestyle/79932-come-riconoscere-un-vero-moscovita)
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