Ogni due settimane una delle tante lingue parlate nel mondo muore. L’estinzione è un concetto solitamente associato al mondo animale. Ma può riguardare anche le varie forme di comunicazione: su 7.000 lingue parlate al giorno d’oggi nei vari continenti, 2.680 sono considerate in pericolo.
È impossibile quantificare l’esatto numero di lingue scomparse nell’arco della storia dell’uomo, ma i linguisti ritengono che negli ultimi cinque secoli siano svaniti 115 idiomi solo negli Stati Uniti, e altri 75 fra Europa e Asia Minore.
La Russia ovviamente non è immune a questo fenomeno. Nel paese si contano 40 gruppi etnici “minori” e 151 lingue, “18 delle quali a rischio estinzione poiché sono parlate solo da una ventina di persone madrelingua, ormai anziane”, come spiega Igor Barinov, capo dell’Agenzia Federale degli Affari Etnici.
Nonostante il programma statale avviato ai tempi dell’URSS per proteggere le lingue indigene, la Russia negli ultimi 150 anni (compreso il periodo post-sovietico) ha assistito all’estinzione di 14 lingue!
Perché una lingua muore?
Il crescente fenomeno della migrazione e la rapida urbanizzazione stanno spingendo vari gruppi etnici a modificare il proprio stile di vita tradizionale. I membri di queste comunità stanno adottando le lingue dominanti per garantirsi una partecipazione sociale e una maggior integrazione economica: ciò significa che sempre più spesso nelle famiglie si decide di insegnare il russo ai propri figli, a scapito della propria lingua madre.
Il Caucaso del Nord è una delle regioni dove si registra il più alto rischio di estinzione delle lingue indigene. “Alla fine del secolo scorso, regioni come il Daghestan non mostravano quei segnali di declino che invece già si registravano nella Siberia del Nord e nell’Estremo Oriente”, spiega Rasul Mutalov, ricercatore senior presso l'Istituto di Linguistica dell'Accademia Russa delle Scienze (RAS).
“La situazione ha preso una svolta nell’ultimo decennio, quando le persone che vivevano sulle montagne hanno iniziato migrare verso le pianure, le città e i villaggi, adottando il russo come lingua principale per comunicare. Ora le giovani generazioni non parlano quella che dovrebbe essere la loro lingua madre. Le lingue stanno morendo proprio sotto ai nostri occhi”.
Anche i Chelkan, che vivono nella regione russa dell’Altaj, stanno abbandonando il proprio idioma: secondo un censimento del 2010, oggi si contano solo 1.113 discendenti di questo gruppo etnico, i cui antenati hanno parlato la stessa lingua per secoli. Ma poiché si tratta di una lingua non scritta, solo orale e perlopiù legata alla comunicazione in ambito familiare, sta venendo piano piano sostituita dal russo.
Un patrimonio culturale da difendere
Le lingue indigene sono un supporto all’identità dei gruppi etnici e aiutano a preservare un patrimonio culturale unico e fragile, oltre a usanze, tradizioni e modi di pensare secolari. Quando un gruppo etnico perde la propria lingua, perde anche la propria identità.
Inoltre, così come fa notare Andrej Kibrik, direttore dell’Istituto di Linguistica della RAS, “più lingue esistono, più il nostro mondo è ricco; quando invece tutto è più o meno uguale, risulta monotono e più povero”.
Le iniziative
Il 2019 è stato dichiarato dall’UNESCO l’Anno Internazionale delle Lingue Indigene. E la Russia ha organizzato numerosi eventi per sensibilizzare l’opinione pubblica. Ma non esiste ancora una ricetta specifica per garantire un cambio di rotta.
Secondo i linguisti, bisognerebbe fare in modo che le popolazioni indigene considerino la propria lingua un bene, anziché un ostacolo. Per riuscire in questo intento però è necessario adottare una serie di misure complesse.
Negli ultimi anni, le autorità russe si sono impegnate per riconoscere e proteggere le lingue minoritarie, introducendo un programma nazionale e istituendo il Fondo per la Conservazione e la Ricerca delle lingue native russe a sostegno delle lingue indigene. Il Fondo sta attualmente lavorando a un nuovo programma per l’apprendimento e l’insegnamento degli idiomi cosiddetti “minoritari”: un sistema non ancora introdotto nel paese.
La Russia ha inoltre iniziato a promuovere l’approccio del “nido linguistico” già applicato in alcune parti della Nuova Zelanda, dove i madrelingua più anziani prendono parte al processo di istruzione dei bambini, con l’obiettivo di migliorare il “trasferimento linguistico” tra generazioni.
Dal 2013 questo approccio è stato implementato in cinque scuole materne nel circondario autonomo degli Khanty-Mansi, con risultati positivi nell’insegnamento delle lingue Khanty e Mansi ai bambini. Nel 2018 al progetto hanno partecipato 139 bambini.
Ma gli studiosi sostengono che bisognerebbe fare di più: Vasily Kharitonov, co-fondatore di Strana Yazykov (il paese delle lingue), un progetto no-profit finalizzo alla promozione e alla creazione di un database delle lingue indigene russe, sottolinea l’importanza dell’organizzazione di eventi e della promozione di attività online. Kharitonov ha creato anche un sito web per la promozione della lingua Nanai, che oggi conta solamente 50 persone madrelingua, tutte di età superiore ai 50 anni.
“Penso che la nostra generazione abbia la responsabilità del trasferimento delle nostre lingue e delle nostre conoscenze alle generazioni future. Non possiamo stare con le mani in mano. Dobbiamo agire!”, conclude Mutalov.