Come le ballerine russe insegnarono all’Europa a danzare

Nella prima metà del Novecento le parole “balletto” e “russo” erano quasi sinonimi. Grazie al successo fenomenale delle “Stagioni russe” di Sergej Djagilev, la danza, considerata in Europa un’arte quasi superata, fece il suo ritorno trionfale sui palcoscenici di tutto il mondo

All’inizio del secolo scorso, per ballare in una compagnia di balletto professionale bisognava essere russi e per imparare la danza si dovevano prendere lezioni da una ballerina dei Teatri imperiali: una di quelle che a seguito della Rivoluzione russa del 1917 furono catapultate dalla magnificenza delle sale della scuola di danza in via Teatralnaja a Pietroburgo nello squallore di studi piccolissimi, quasi senza luce, di Parigi, Nizza, Londra, Berlino, New York e Shanghai.

“Devo dire che la mia formazione, come danzatore, la devo agli insegnanti russi, ai solisti dei teatri imperiali che insegnavano a Parigi”, ricordava il leggendario danzatore e coreografo Maurice Béjart (1927-2007). “Quando sono arrivato a Parigi c’era già un’intera colonia di insegnanti russi che adesso sarebbe difficile descrivere. Era un mondo che non c’è più. Era come se fossero scappati da qualche racconto di Chekhov o di Gogol”.

Ecco le ballerine che hanno insegnato al mondo la danza classica.

Olga Preobrazhenskaja 

La ballerina Olga Preobrazhenskaja in una scena del balletto “Il cavallino gobbo” di Cesare Pugni

A differenza della maggioranza delle sue colleghe, Olga Preobrazhenskaja aveva iniziato a insegnare la danza molto tempo prima di emigrare all’estero. Allieva prediletta del famoso Marius Petipa, riusciva ad essere espressione visibile della musica, ad elevare i componimenti di Cesare Pugni ai livelli di Pjotr Chajkovskij. Fisicamente, non era proprio un classico esempio della ballerina, ma aveva una mente analitica. Nella sua pratica di insegnamento usava tutto quanto di meglio aveva appreso da varie scuole di danza. Del suo aiuto si avvalsero Agrippina Vaganova e Ljubov Egorova, più tardi anche Olga Spesivtseva. Dopo la Rivoluzione, la Preobrazhenskaja insegnò nella scuola dove aveva studiato. I suoi esperimenti, miranti a fondere l’irruenza del virtuosismo italiano con la morbidezza dei movimenti francese e la musicalità russa, contribuirono a creare lo stile inconfondibile del balletto russo che in seguito fu formalizzato nel metodo formativo della Vaganova.

Olga Preobrazhenskaja emigrò dalla Russia soltanto nel 1921. All’estero insegnò danza a Buenos Aires, Londra, Milano e Berlino, prima di insediarsi definitivamente a Parigi. “Malgrado le urla che accompagnavano le sue lezioni, era chiaro che tra Olga e i suoi allievi c’era un rapporto di rispetto reciproco”, ricordava la ballerina Nina Tikhonova, figlia di emigrati russi. “Ecco perché gli allievi, sebbene l’ira di lei li prendesse spesso di mira, non si sentivano mai offesi. Lei non aveva neanche un’ombra di volgarità, la sua ironia non sfociava mai in insulti. Credo che gridasse soltanto per creare nei suoi allievi lo stato della massima tensione. Nel balletto occorre sapersi controllare e non perdere la testa”.

Lo studio della Preobrazhenskaja in Boulevard des Capucines, come una calamita, attirava ballerini da tutta Europa. Non tutte le accademie di danza potevano vantare un simile elenco di studenti. Basti ricordare Irina Baronova, Margot Fonteyn, Igor Youskevitch, George Skibine, Miloran Mishkovich, Nadia Nerina, André Eglevskij, Pierre Lacotte; generazioni di artisti a cui dobbiamo il volto del balletto contemporaneo.

Ljubov Egorova

Ljubov Egorova nel balletto “La dalia azzurra” (coreografia di Marius Petipa e musica di Cesare Pugni)

“Ho studiato con una donna fantastica, Ljubov Erogova. Per me è stata come una madre, ha fatto tantissimo per la mia cultura. Quando sono venuto in Russia per mettere in scena ‘La figlia del faraone’, mi sono recato al Museo teatrale per informarmi sulla storia di questo balletto. Nella prima cartella che ho aperto c’era una foto della Egorova nel ruolo di Aspicia, che lei adorava. Per me è stato un segno. Era di nuovo qui per proteggermi”, ha ricordato il coreografo Pierre Lacotte.

Contemporaneamente a Lacotte, dalla Egorova prendeva lezioni anche Maurice Béjart. Era in corso la guerra, nello studio parigino faceva freddo. Quando il freddo diventava insopportabile, Egorova, che all’estero aveva sposato il principe Nikita Trubetskoj, chiamava suo marito:

– Principe, ci porti del carbone!

In quel periodo Béjart a malapena riusciva a pagare le lezioni. Anni dopo il maestro ha ricordato come Egorova gli fatturava innumerevoli lezioni in coppia con ragazze prive di talento.

– Lei paga, tu ti eserciti!, ordinava categoricamente Egorova, donna di grandissimo cuore. Infatti, dedicava dieci minuti alla ricca buona a nulla e il resto del tempo all’astro nascente.

Il suo studio di Parigi, aperto nel 1923, fu frequentato anche da Roland Petit, Serge Lifar, Zelda Fitzgerald, Rosella Hightower e da tanti altri. 

Serafima Astafjeva

Serafina Astafieva negli anni Novanta dell’Ottocento

Serafima Astafjeva non ha mai avuto il titolo di ballerina dei Teatri imperiali. Alta, carina e imparentata con lo scrittore Lev Tolstoj, probabilmente non aspirava a una brillante carriera. Si sposò giovanissima, mise al mondo un figlio e si accontentava dei ruoli di solista di secondo piano. Tuttavia, le sue doti erano subito visibili, pertanto Sergej Djagilev la ingaggiò già per la prima edizione delle sue “Stagioni russe”. Un successo particolare accompagnò le sue esibizioni a Londra, dove prese il posto di Ida Rubinshtejn nel ruolo di Cleopatra.

LEGGI ANCHE: Le foto più rare dei “Balletti Russi” di Sergej Diaghilev a Londra e Parigi a inizio Novecento 

Cavalcando questo successo, Serafima Astafjeva decise di restare a Londra e aprì uno studio a Chelsea, in concorrenza con Anna Pavlova. Avendo studiato da Ekaterina Vazem (una delle ballerine più amate da Petipa), la Astafjeva, molto probabilmente, aveva imparato anche la metodologia dell’insegnamento. In vent’anni di attività pedagogica allevò le prime, e le più brillanti, stelle del balletto britannico: Anton Dolin, Alicia Markova e Margot Fonteyn.

Vera Volkova

L'insegnante Vera Volkova (a destra) mostra a Billy Marlin-Viscount e Linda Di Bona un passaggio del balletto “Spring Waters” di Asaf Messerer, 1965

Vera Volkova non soltanto non è mai stata ballerina dei Teatri imperiali, ma da piccola non poté neanche iscriversi alla scuola di danza, perché la sua infanzia fu contrassegnata dalla rivoluzione. Quando poi decise di studiare la danza, era ormai cresciuta troppo. In quel periodo, tuttavia, a Pietrogrado fu aperta una scuola di danza per ragazzi che non corrispondevano ai classici criteri di età. Era la scuola “Baltflot”, nota anche come Scuola di balletto russo di Akim Volynskij. Proprio in questa scuola cominciarono la loro attività di insegnamento Olga Preobrazhenskaja, Maria Romanova (madre di Galina Ulanova), nonché Agrippina Vaganova. Di quest’ultima la Volkova fu una delle prime allieve.

Nonostante la breve durata del corso, la Volkova riuscì a carpire il metodo della danza classica. Non diventò una grande ballerina, non essendo favorita in questo dal suo destino che la sballottò dal Giappone a Mosca e da Shanghai ad Hong Kong.

Tuttavia, dopo essersi ritirata dal palco, non perse la sua passione per la danza. Dopo essere arrivata in Europa nel 1936, frequentò gli studi parigini di Egorova, Kniaseff e Spesivtseva. Dopo l’inizio della guerra si trasferì a Londra, dove riprese a dare lezioni a Peggy Hookham, alla quale aveva già insegnato ad Hong Kong, che già era una stella nascente del balletto inglese che tutti conoscevano come Margot Fonteyn. Questo rapporto, durato tutta la vita, fu cruciale per entrambe: Fonteyn acquisì la sua individualità inconfondibile, e Volkova la sua reputazione.

Venne in seguito invitata alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano e poi alla scuola del Balletto Reale Danese. A Copenaghen, proprio la Volkova fece una rivisitazione critica dell’eredità di Bournonville, in primo luogo, insistendo, affinché il corpo di ballo danzasse in punta “La Sylphide” nella versione del coreografo danese. La perfezione accademica,che Volkova chiedeva immancabilmente ai suoi studenti, grazie a lei assunse forme moderne: i movimenti divennero più dinamici, più veloci e accentuati. Questo attirava a Copenhagen i ballerini di tutto il mondo: dai francesi Zizi Jeanmaire e Roland Petit alla britannica Svetlana Berezova, all’americana Melissa Hayden, a Rudolf Nureev, fuggito dall’Urss, e all’italiana Carla Fracci.

LEGGI ANCHE: Balletto russo: quindici storie da non perdere per essere veri esperti 

Cari lettori, 

a causa delle attuali circostanze, c’è il rischio che il nostro sito internet e i nostri account sui social network vengano limitati o bloccati. Perciò, se volete continuare a seguirci, vi invitiamo a: 

  • Iscrivervi al nostro canale Telegram
  • Iscrivervi alla nostra newsletter settimanale inserendo la vostra mail qui
  • Andare sul nostro sito internet e attivare le notifiche push quando il sistema lo richiede
  • Attivare un servizio VPN sul computer e/o telefonino per aver accesso al nostro sito se risultasse bloccato nel vostro Paese

Per utilizzare i materiali di Russia Beyond è obbligatorio indicare il link al pezzo originale

Questo sito utilizza cookie. Clicca qui per saperne di più

Accetta cookie