Il regista Klim Shipenko (1983-) aveva già diretto un film “spaziale”, girato, però, sulla Terra. Nel 2017 era uscito il suo thriller “Salyut-7”, basato su eventi reali. È la storia di due cosmonauti russi che nel 1985 riuscirono a rianimare la stazione orbitante sovietica con la quale era stato perso il contatto. Stavolta, però, il regista è davvero andato nello Spazio! Insieme all’attrice Julia Peresild ha trascorso due settimane sulla Stazione Spaziale Internazionale, dove sono state girate le scene chiave del film “La sfida” (“Vyzov”), il primo nella storia a essere ripreso nello Spazio. Il film racconta l’odissea di una donna chirurga che si trova costretta, praticamente senza addestramento speciale, ad andare sulla Stazione Spaziale Internazionale per salvare la vita a uno dei cosmonauti.
Si potrebbe dire che la trama del film racconti praticamente la storia sua e di Julia, due persone di professioni terrestri che all’improvviso vanno nello Spazio.
L’idea era proprio questa. La trama è nata dalle circostanze reali. Se nel caso di “Salyut-7” era già disponibile il copione del film, e poi abbiamo pensato alla regia, questa volta, quando siamo andati nello Spazio, non esisteva nessuna storia. È stata inventata dopo. Eravamo condizionati dalle possibilità reali, pertanto dovevamo decidere, che cosa potesse essere filmato sulla Stazione Spaziale Internazionale, quali altre scene fossero da realizzare nel corso dell’addestramento, ecc. Sono state le circostanze a suggerirci le sequenze, l’atmosfera da creare. È un esempio di “cinema verità”; abbiamo filmato la vita nello Spazio per come l’abbiamo vista. Quando i film ambientati nello Spazio vengono girati negli studi cinematografici, di solito si cerca di abbellire il tutto. “La sfida”, invece, mostra come le cose stanno veramente.
Non temeva che i capelli “fluttuanti” di Julia Peresild potessero avere un effetto opposto a quello desiderato? Julia, con quei capelli impazziti, fa un po’ ridere, mentre la storia è drammatica.
Francamente, non ci abbiamo pensato. Certo, sapevamo di questa particolarità. A un certo punto, durante l’addestramento in terra, ho pensato: “Che cosa ciò significa per noi?” A pensarci bene, non significa nulla. È soltanto una conseguenza naturale. Per noi, però, questo effetto è positivo: si vede subito che tutto è vero. Sulla Terra filmare una scena così sarebbe stato impossibile. Per questo motivo, Sandra Bullock, in “Gravity” [film del 2013 diretto da Alfonso Cuarón], ha i capelli corti. E anche Anne Hathaway in “Interstellar” [2014; Christopher Nolan] li ha corti. Mostrare come si comportano i capelli lunghi a gravità zero, sulla Terra è praticamente impossibile. Noi, per creare questo effetto, non abbiamo dovuto far niente.
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Sulla Terra, senza andare fino nello Spazio, è possibile imitare la libertà di fluttuazione in assenza di gravità come la vediamo nel vostro film? In “Gravity” tali scene sono meno numerose, ma d’altra parte, il film è uscito dieci anni fa. Da allora la tecnologia sicuramente ha fatto passi avanti…
Io adoro “Gravity”. Credo che sia un film geniale, non tanto per il modo in cui è stato diretto, quanto per l’idea, la storia che è stata inventata. Tuttavia, dal punto di vista tecnico, ci vedo gli stessi problemi che ho dovuto affrontare io, durante le riprese di “Salyut-7”. Alfonso Cuarón aveva più soldi, le scene durano più a lungo, la stazione spaziale è disegnata brillantemente. Eppure, quando Sandra Bullock “vola” dentro la stazione, si vede che l’attrice è sospesa a delle corde. Notate che non c’è neanche un episodio, in cui gira su se stessa, per il semplice motivo che la corda è attaccata alla schiena e mostrare le spalle non è possibile.
Con “Salyut-7” abbiamo cercato di fare quello che in “Gravity” non c’è. Per esempio, abbiamo messo in verticale la nostra stazione spaziale, calando poi dall’alto, sulle corde, i nostri attori, Vladimir Vdovichenkov e Pavel Derevjanko, per creare l’effetto di “volo” attraverso i portelli. In “Gravity” si vede che le scene analoghe sono state disegnate e in tutte la Bullock è stata filmata in posizione orizzontale. Ogni suo “volo”, lo fa a pancia in giù. Noi, invece, avevamo addirittura una sequenza dove la cosmonauta fa una capriola come in assenza di gravità. Ci eravamo riusciti, perché avevamo usato un sistema diverso per fissare le corde. Tuttavia, c’è stata una marea di altre limitazioni, che non siamo riusciti a superare.
Sulla Terra, l’unico modo per raggiungere la libertà dei movimenti, dimostrata da Julia in “La sfida”, sarebbe la computer grafica. Avremmo dovuto disegnare l’attrice, cioè usare delle immagini generate al computer, come, appunto, avviene in “Gravity”, nelle scene ambientate nello spazio aperto. Di vero c’è soltanto il viso di Sandra Bullock, filmato negli studi, con luci accuratamente impostate. Tuttavia, fare tutto con la tecnica di computer grafica è molto difficile e costa troppo. Probabilmente, anche sulla Terra si potrebbe creare tanta gravità zero, quanta se ne vede nel nostro film, ma sicuramente non sarebbe costato di meno. E, finora, non mi è mai capitato di vedere un film, fatto in questa maniera.
I film con immagini realistiche della gravità zero sono pochissimi, neanche una decina. Lei crede che altri registi non vogliano fare dei film “spaziali”? Lo vogliono sì, ma sono consci delle difficoltà.
Sulla stazione spaziale anche la videocamera non aveva peso. Questo è stato d’aiuto o, al contrario, ha complicato il lavoro?
Entrambe le cose. Volevo che la videocamera fluttuasse nello spazio per dare allo spettatore la sensazione di trovarsi nelle condizioni di assenza di gravità. Tuttavia, quando spostavo la camera, dovevo, allo stesso tempo, regolare la messa a fuoco. Raggiungere questa sincronia (far muovere la camera con una mano e regolare le immagini con l’altra) è stato molto difficile. Ho imparato a farlo soltanto sulla stazione spaziale, sulla Terra è impossibile. Ci è voluto del tempo per abituarmi, ma di volta in volta mi riusciva sempre meglio.
Sin dall’inizio Lei voleva usare la luce “naturale” che entra attraverso gli oblò della stazione?
Sapevamo cha la stazione sorvola il pianeta 16 volte al giorno e che quindi per 16 volte potevamo vedere l’alba e il tramonto. Tuttavia, non sapevamo, quanto fosse utilizzabile questa luce. Sulla Terra non esiste un simulatore che ci aiutasse a capire come cambia la luce nell’arco del giorno. Questo l’abbiamo saputo, quando eravamo già nello Spazio. Io volevo fare un lungometraggio, un’opera d’arte, quindi, anche la luce doveva svolgere una funzione “artistica”, contribuire alla narrazione. Per questo ho cercato di scegliere il tipo di luce per ogni scena – per alcune la luce del giorno, per altre il buio, per altre ancora il sole pieno. La luce cambia ogni mezz’ora, pertanto tocca preparare bene le scene.
Oltre a Julia Peresild, nel film vediamo anche dei cosmonauti veri – Anton Shkaplerov, Oleg Novitskij, Pjotr Dubrov. Hanno recitato bene la loro parte, oppure, lavorare con questi attori non professionali è stata un’altra sfida?
Seppure abbiano impersonato se stessi, per i cosmonauti questo lavoro è stato comunque abbastanza difficile. Ci è voluto del tempo prima che superassero la tensione iniziale e cominciassero a comportarsi con naturalezza di fronte alla camera. Ai cosmonauti queste cose non vengono insegnate. Imparano a fare dei servizi televisivi. Ciò significa la necessità di restar sospeso in aria di fronte alla telecamera e leggere il testo, scritto in anticipo, che compare sul video. Fare l’attore è un’altra storia. Avevo già lavorato con attori non professionisti, quindi so quello che devo fare e dire. Per di più, avevamo fatto parecchie prove, prima sulla Terra e successivamente anche sulla stazione spaziale. Tutto sommato, credo che ci siamo riusciti.
Onestamente parlando, tutto il progetto è stato per me una sfida. Ogni azione per noi è stata difficile. In precedenza, per il mio “Salyut-7”, avevo già fatto delle riprese al Centro di controllo missione, ma ho deciso di rifarle in maniera diversa per non essere ripetitivo.
La stampa riferisce che sulla stazione spazialelei ha fatto riprese per un totale di 78 ore e 21 minuti. Che cosa include questo materiale, oltre ai vari take?
Mi risulta molto di meno. Credo che dalla Stazione Spaziale Internazionale abbiamo portato 30 ore di materiale – i vari take, gli interni della stazione spaziale, le vedute della Terra... Filmavo tutto, ogni particolare, ogni curiosità. In effetti, credo di aver filmato tutto quello che ero in grado di filmare durante la nostra permanenza. Con Julia abbiamo fatto più di quanto avevamo pensato di fare. Non credo che mi sia sfuggito qualcosa.
Non era tentato di girare nello Spazio aperto?
Ci avevamo pensato, ma ci è stato detto: “Si può fare, ma per questo dovete fare altri 6 mesi di addestramento”. Onestamente, la nostra uscita nello Spazio sarebbe stata puramente formale. Che cosa avremmo potuto riprendere? Tutto è stato già filmato dai cosmonauti durante le loro uscite nello Spazio. Filmare un attore durante una “passeggiata spaziale” è incredibilmente difficile; non riesco a immaginare quale potrebbe essere il risultato. Per questo, abbiamo deciso di saltare questa parte.
Secondo Lei, “La sfida” che impatto potrà avere sulla carriera sua e su quella di Julia, e anche sul cinema in generale?
Per quanto riguarda le nostre carriere, non ho una risposta. Per il resto, spero che il nostro film possa riattivare l’interesse per l’esplorazione dello Spazio. Del resto, questo era uno dei nostri obiettivi: far capire che andare nello Spazio è una cosa abbastanza reale. Volevamo che la cosmonautica ricevesse nuova linfa. Credo che, almeno in parte, ci siamo riusciti. Alcuni dei miei amici mi hanno già scritto: “Mio figlio ha visto ‘La sfida’ e ora vuole diventare cosmonauta!”.
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