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Dipingere la musica, vederla con gli occhi, dando forma al suono e colore all’invisibile. Nell’ambizioso studio di quel legame che unisce arti figurative e sonore, magistralmente raccontato nella mostra “Vedere la musica” allestita fino al 4 luglio 2021 a Palazzo Roverella a Rovigo, non potevano mancare gli artisti russi.
Il viaggio proposto nell’esposizione inizia alla fine dell’800 con il Simbolismo - corrente artistica che anelava a rappresentare l’invisibile - e fa tappa nell’astrattismo di Kandinskij e nella sua ricerca di un confronto con la musica, prima di approdare alle avanguardie e al futurismo italiano che diede così tanta importanza al suono, come si legge nel manifesto di Carlo Carrà esposto in una teca di vetro. Sessant’anni di evoluzioni pittoriche internazionali raccontati attraverso 170 opere provenienti da 40 musei e altrettanti prestatori privati di 7 paesi europei; una sinfonia di capolavori ispirati al mito di Beethoven (musicista folle, genio incompreso), forgiati dalla potenza evocativa delle opere di Richard Wagner e dalla sua stessa persona, che ispirò una vasta produzione di quadri, stampe, incisioni e sculture. Influenze e suggestioni che hanno stimolato artisti e modellato correnti pittoriche.
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L’esempio russo
Accanto a Pablo Picasso, Gustav Klimt e Oskar Kokosha (solo per citare alcuni degli artisti esposti) spiccano le opere di Vasilij Kandinskij: un prezioso dipinto del 1931, “Sottile e macchiato flessibile”, che ben rappresenta la struttura canonica dei quadri del pittore russo, caratterizzati da colori accostati in consapevoli dissonanze a dispetto di ogni principio di armonia; l’assenza di distinzione tra linee e colori ricorda tra l’altro quella tra melodia e armonia nelle composizioni di Arnold Schönberg, pittore e compositore austriaco di cui è esposto un rarissimo ciclo di opere del 1909 proveniente da Vienna.
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Poco più in là, nella stessa sala, si trovano i cinque bozzetti realizzati nel 1928 da Kandinskij per un curioso spettacolo dedicato ai “Quadri di un’esposizione” del russo Modest Musogorskij, portato in scena al Friedrich-Theater di Dessau, in Germania, e di cui Kandinskij progettò le scene e i costumi. E così come Musogorskij si era ispirato alle opere pittoriche dell’amico Viktor Hartmann per la composizione della sua suite musicale, allo stesso modo Kandinskij realizza il medesimo procedimento ma in forma opposta: si abbandona alla musica di Musogorskij per ricavare giochi cromatici, traducendo così la musica in immagini.
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Due anni più tardi vede la luce il quadro “Violinista in un mazzo di fiori” (1930), che inserisce anche Marc Chagall nel firmamento dei pittori che hanno cercato di dare forma alla musica. Pur rappresentando un caso del tutto individuale, difficilmente ascrivibile a una corrente, Chagall si innamora della musica fin dall’infanzia, e dimostra un autentico interesse verso gli strumentisti kletzmer che nella comunità ebraica della sua città natale costituivano una presenza costante. La figura del violinista, qui ritratta con le tinte del blu e ripresa in molte altre sue opere, evoca un personaggio narrato nella sua autobiografia: un affascinante violinista venuto da chissà dove, che di giorno lavorava in un negozio di ferramenta e la sera dava lezioni di musica, suscitando in Chagall i suoi sogni di bambino.
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La mostra, curata da Paolo Bolpagni, si rivela un’occasione per fare un viaggio non solo nel tempo e nello spazio, dalla fine del XIX secolo agli anni ‘40 del ‘900, addentrandosi nelle correnti artistiche che hanno interessato vari paesi d’Europa, ma si rivela anche una sapiente traduzione (la prima di questa portata) di quei legami invisibili che per secoli hanno intrecciato l’elemento musicale e la pittura.