Chi è Manizha, la cantante che rappresenterà la Russia all’Eurovision song contest 2021

Valerij Sharifulin/TASS
Arrivata a Mosca da bambina, come profuga ai tempi della guerra civile in Tagikistan, appoggia il movimento Lgbt e si presenta con un testo dai forti contenuti femministi

Come risultato di un voto del pubblico, Manizha, cantante di 29 anni, di origine tagika, sarà inviata dalla Russia all’edizione 2021 dell’Eurovision song contest di Rotterdam, che si terrà dal 18 al 22 maggio (l’Italia sarà rappresentata dai Måneskin, con la canzone “Zitti e buoni”, che li ha visti vincitori a Sanremo). Manizha, che è partita con l’indie a inizio carriera, e poi è passata all’elettronica e alla musica etnica, si è presentata al concorso di qualificazione con la canzone “Russian Woman” un particolare collage linguistico e stilistico, che combina inglese e russo, hip-hop e musica popolare russa. La parte più significativa è proprio il recitativo in russo.

“Шо там хорохориться? Ой, красавица

Ждёшь своего юнца? Ой, красавица

Тебе уж за 30, алло, где же дети?

Ты в целом красива, но вот похудеть бы

Надень подлиннее, надень покороче

Росла без отца, делай то, что (не хочешь)

Ты точно не хочешь? (Не хочешь, а надо)

А, послушайте, правда, мы с вами — не стадо

Вороны, прошу, отвалите-е-е”

“Ma cosa fai la spavalda? Ehi, bellezza

Aspetti il tuo sbarbatello? Ehi, bellezza

Hai già più di 30 anni, e allora, dove sono i bambini?

Saresti anche carina, ma dovresti dimagrire

Indossa qualcosa di più lungo, indossa qualcosa di più corto

Sei cresciuta senza padre, fai quello che (non vuoi)

Davvero non vuoi? (Non vuoi, ma devi)

Ascoltate, davvero, noi non siamo un gregge per voi

Corvacci, vi prego, andatevene via-a-a”

“Questa è una canzone sulla trasformazione dell’autocoscienza della donna negli ultimi secoli in Russia. La donna russa è passata in modo straordinario da un’isba di contadini al diritto di eleggere ed essere eletta (tra le prime al mondo), dalle officine di fabbrica ai voli spaziali”, dice Manizha del suo pezzo. Ha scritto la canzone lei stessa, l’8 marzo dello scorso anno. E sono state proprio le parole sulla forza e l’indipendenza della donna russa a provocare un’ondata di commenti negativi contro Manizha sui social network.

Profuga da Dushanbe

Manizha Sangin è nata a Dushanbé, capitale del Tagikistan. Quando aveva tre anni, il Paese dell’Asia Centrale fu travolto dalla guerra civile, e nel 1994 una granata colpì la sua casa.

“Miracolosamente, un minuto prima, la mamma era uscita con me tra le braccia per stendere il bucato. Non restava niente dell’appartamento. E allo stesso modo, della vecchia vita non rimase nulla”, ha raccontato in un’intervista.

Subito dopo, la famiglia è fuggita a Mosca e ha cominciato una nuova vita, “senza diritti, senza soldi e senza un tetto sopra la testa”. La madre, Nadezhda Usmanova, fisica nucleare per formazione, dovette lavare i pavimenti e vendere magliette ai passaggi pedonali per dar da mangiare ai suoi cinque figli.

Ora Manizha dice di essere “felice” di cantare e scrivere canzoni in russo per un pubblico di lingua russa, ma la sua origine tagika è diventata la ragione principale dell’odio nei confronti della cantante. Nonostante sia stata scelta dal voto del pubblico, a molti non è piaciuta questa scelta di una “straniera”, e i social network sono stati inondati di commenti come: “Come può una donna tagika cantare di noi donne russe!? Non sono una nazionalista, ma questo mi fa impazzire!”.

Manizha ha dovuto affrontare stereotipi e xenofobia fin dall’inizio della sua carriera in Russia. Ha studiato musica fin dall’infanzia, e da piccola è stata premiata al IV festival-concorso internazionale “Kaunas Talent”. Ha girato tutti gli Stati baltici e le sue canzoni sono state ascoltate sulle stazioni radio tagike. La prima “grande” popolarità le è arrivata a metà degli anni Zero del Duemila, quando aveva appena 15 anni. I produttori russi l’hanno notata e hanno investito nella promozione della cantante. Tuttavia, le fu vietato di esibirsi con il suo nome, “troppo musulmano”, e così si inventò lo pseudonimo di Ru.Kola.

“Hanno iniziato a rimodellarmi”, ha detto Manizha. Le hanno fatto tingere i capelli in una tonalità più chiara, hanno sostituito gli insoliti costumi etnici con succinti abiti femminili, le hanno vietato di esibirsi con le sue canzoni autoriali e le hanno preparato un repertorio pop. A quel tempo, riceveva 10.000 euro per esibizione (molto più di adesso), e dava almeno 10 concerti al mese. Ha registrato anche il suo primo album da solista, “Prenebregaju” (ossia“ Io disprezzo”) nel 2008. Ma dopo tre anni ha lasciato il progetto per essere più libera artisticamente.

“Mi piaceva esibirmi, ma sentivo che non mi dava niente”, spiega ora.

“Quando hai qualcosa da dire”

Dopo aver lasciato l’ala protettrice dei produttori, la cantante non è riuscita a trovare la sua strada musicale e ha seriamente pensato di mollare tutto, soprattutto dopo i tentativi falliti di esibirsi in un gruppo. Non voleva tornare allo showbiz, quindi ha rifiutato le etichette, comprese quelle occidentali.

Durante questo periodo, è riuscita ad apparire in uno spettacolo europeo, che però non è mai andato in onda, e si è esibita al Palazzo del ghiaccio di San Pietroburgo come artista d’apertura al concerto di Lana Del Rey del 2013, ma questo non ha cambiato radicalmente la sua carriera. “Ero in un baratro psicologico”, ammette Manizha. A cambiare tutto è stato Instagram.

La cantante ha iniziato a pubblicare collage musicali e copertine di 15 secondi sul social network. Questo formato è diventato inaspettatamente popolare. Nel giro di un mese, l’account da 700 iscritti è cresciuto a 5000. Instagram, che “era solo uno sbocco”, è diventato in pochi mesi la sua piattaforma principale e la sua fonte di guadagno.

Nel 2016, ha pubblicato su Instagram l’album indipendente “Manuscript”: facendo uscire una nuova canzone ogni settimana, ognuna con un video Instagram. L’album è rimasto tre settimane nelle prime posizioni della classifica di iTunes e ha riportato Manizha nel mondo della grande musica, con la madre a farle da produttrice e stilista.

Nel 2018, ha pubblicato “Я I AM” un album che è un mix di musica etno-pop, soul ed elettronica. La maggior parte delle sue canzoni sono dedicate ad argomenti sociali e il suo account Instagram è la piattaforma usata per sollevare argomenti seri.

Ha lanciato il flashmob “Travma krasotý” (ossia: “Il trauma della bellezza”), contro gli ideali estetici imposti dalla società, e la campagna sociale SILSILA, un’applicazione gratuita per combattere la violenza contro donne e adolescenti con un pulsante SOS e un database di centri di aiuto. Dal 2019 è ambasciatrice di “Podarì Zhizn” (“Dona la vita”), una fondazione di aiuto ai minori, e da dicembre 2020 è la prima ambasciatrice russa di buona volontà delle Nazioni Unite, dove si occupa delle “persone costrette a fuggire a causa di conflitti e persecuzioni” .

La cantante ha ripetutamente parlato anche del suo sostegno della comunità LGBT. “Sono per un mondo in cui l’orientamento sessuale, il genere, la religione e la razza non siano etichette distintive. Noi siamo più di questo”, ha osservato.

Parlando di Eurovision, ricorda che era ambivalente nei confronti del concorso, e difficilmente avrebbe potuto immaginarsi su quel palco alcuni anni fa. Ma, come tante volte nella sua vita, è arrivata una svolta.

“Sono rimasta molto toccata alcuni anni fa dalla vittoria di un ragazzo portoghese che ha cantato la sua canzone con l’accompagnamento di una chitarra e nella sua lingua, senza fare chissà quale produzione e senza avere indosso abiti super firmati. È uscito sul palco e ha cantato con calma. Vedendolo, ho pensato che quando hai qualcosa da dire, la vittoria è inevitabile.”


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