Dieci libri di scrittori occidentali sulla Russia

Getty Images; Vasilij Egorov/TASS
Nel XIX e per buona parte del XX secolo, visitare il Paese più grande del mondo era quasi come andare sulla Luna. Molti grandi autori che ebbero il coraggio di partire per questo impegnativo viaggio, ci hanno lasciato opere che vale la pena di rileggere oggi

1 / Theodore Dreiser (1871-1945) – “Dreiser Looks at Russia” (1928)

Dreiser venne invitato a visitare l’Urss in occasione della celebrazione del decimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, nel 1927. Durante i due mesi del viaggio, appuntò tutto ciò che vedeva, e al suo ritorno in America rielaborò il suo diario, trasformandolo in un libro.

Nel saggio Dreiser fornisce molte osservazioni divertenti:

“Lenin. Credo che questo sia un nuovo eroe mondiale. Se il mondo passerà alla dittatura del proletariato, e io penso che lo farà, allora non ci sarà limite alla sua grandezza. Un altro Washington. Un altro Cromwell. La Russia già non riesce a far fronte alla sua gloria. Le sue statue e i suoi ritratti sono così numerosi che creano un’atmosfera speciale. Solo a Mosca ci sono così tanti suoi busti e statue che sembrano costituire un’aggiunta evidente alla popolazione. Qualcosa di questo genere: ‘Popolazione di Mosca: senza statue di Lenin, 2.000.000; con le statue di Lenin, 3.000.000’”.

Scrive anche che gli sono piaciute alcune abitudini russe:

“Mi sembra che i russi non facciano niente, a parte mangiare, e io ho adottato questa usanza”.

2 / John Steinbeck (1902-1968) – “A Russian Journal” (1948) 

Steinbeck visitò brevemente l’Urss nel 1937, mentre nel 1947, su incarico del “New York Herald Tribune” fece un lungo viaggio, dopo di che scrisse “A Russian Journal” (tradotto in italiano in alcune edizioni come “Diario russo” e in altre come “La mia Russia. Ricordi di un mondo nuovo”). Durante il viaggio, venne accompagnato dal leggendario fotografo Robert Capa (1913-1954), e i suoi scatti corredavano il libro.

Steinbeck vide che in Russia tutti parlavano solo del futuro, ma, quanto al presente, veniva fatto poco di ragionevole.

“In Russia, pensano sempre al futuro. Al raccolto del prossimo anno, alle comodità che ci saranno tra dieci anni, ai vestiti che verranno cuciti presto. Se c’è un popolo che sa estrarre energia dalla speranza, allora questo è il popolo russo…”

Inoltre, Steinbeck rimase colpito dall’efficacia della propaganda sovietica.

“Ai russi viene insegnato, e sono educati e incoraggiati a credere, che il loro governo sia buono, che tutte le sue azioni siano impeccabili e che sia dovere della gente aiutare il governo ad andare avanti, e sostenerlo in tutte le iniziative. Al contrario, gli americani e gli inglesi sentono fortemente che qualsiasi governo è in qualche misura pericoloso, che dovrebbe influire il meno possibile, che qualsiasi rafforzamento del potere del governo è un brutto segno…”

3 / John Reed (1887-1920) – “Ten Days That Shook the World” (1919)

Il socialista americano John Reed fu testimone diretto di una svolta epocale nella storia russa: la Rivoluzione d’Ottobre del 1917. In qualche modo, vi prese persino parte: traducendo per il Ministero degli Affari Esteri del nuovo governo bolscevico. Il suo libro, che in italiano è tradotto con il titolo “I dieci giorni che sconvolsero il mondo” (o “10 giorni che fecero tremare il mondo”) fu così apprezzato dai bolscevichi che Lenin raccomandò che tutti gli operai del mondo lo leggessero, e lo stesso John Reed fu sepolto (era morto di tifo) vicino alle Mura del Cremlino!

Una delle caratteristiche principali dei russi, notò nel suo libro, era la brama di leggere.

“Siamo arrivati al fronte dove era di stanza la XII Armata, dietro Riga, con persone scalze ed esauste che morivano nel fango delle trincee di fame e malattie. Vedendoci, si sono alzate per venirci incontro. I loro volti erano sfiniti; attraverso i buchi dei vestiti si intravedeva la pelle ormai bluastra. E la prima richiesta era sempre: ‘Ci avete portato qualcosa da leggere?’.”

4 / Curzio Malaparte (1898-1957) – “Il ballo al Kremlino” (1971)

Lo scrittore italiano viaggiò nell’Urss nel 1929 e rimase stupito dalla vita lussuosa che conduceva l’élite del partito in mezzo alla povertà generale della popolazione. Il suo libro sulla “nobiltà marxista di Mosca” non fu mai finito ed è stato pubblicato solo dopo la sua morte. Lo slavista italiano Stefano Garzonio (nato nel 1952) ritiene che questo romanzo-impressione “avrebbe potuto essere un contributo tempestivo alle discussioni politiche del periodo della destalinizzazione”.

“Il popolo russo sentiva che la classe dominante lo aveva tradito. La corruzione di questa classe rivoluzionaria era ovvia. Quando la moglie di Lunacharskij con una costosa pelliccia e tutta ingioiellata uscì dalla macchina di fronte al Teatro Bolshoj, la gente sentì, vide il bagliore del tradimento dietro la luminosità dei gioielli. Ho sentito che tutta questa classe marcia e in decomposizione, un mucchio di puttane costose, finocchi, attori, attrici, vitaioli, speculatori, NEPomani, kulakì, mercanti del mercato nero, funzionari sovietici che si vestono a Londra e Parigi e imitano le maniere di New York e di Berlino (sono diventati di moda grossi sigari, gli stessi che tengono nelle loro gonfie bocche i capitalisti ad Amburgo, a Wall Street, e nelle caricature di Gross), era condannata”.

5 / Lewis Carroll (1832-1898) – “Russian Journal” (1935)

L’autore di “Alice nel Paese delle meraviglie” si recò in Russia su invito di un amico, il reverendo Henry Liddon, nel 1867. Visitò Mosca, San Pietroburgo e Nizhnij Novgorod e, a quanto pare, rimase deliziato sin dai primi minuti del suo soggiorno. Il suo diario di viaggio fu però pubblicato solo postumo.

“L’enorme larghezza delle strade (le strade secondarie sembrano essere più larghe di qualsiasi cosa simile a Londra), i piccoli calesse che si susseguono costantemente, e sembrano completamente indifferenti al fatto che possono investire qualcuno, le enormi insegne luminose sui negozi e le gigantesche chiese con le loro cupole azzurre dalle stelle dorate e l’incomprensibile lingua della gente del posto che ti confonde le idee: tutto ciò ha contribuito alla ricchezza delle impressioni raccolte nella nostra prima passeggiata tra le meraviglie di San Pietroburgo”.

6 / H. G. Wells (1866-1946) – “Russia in the Shadows” (1921)

L’autore di fantascienza viaggiò tre volte in Russia. Prima della Rivoluzione, nel 1914, quindi nel 1920, quando incontrò Lenin, e più tardi, nel 1934, quando gli organizzarono anche una serata con Stalin. Ha scritto il suo libro dopo la seconda visita. Nel 2016 è stato per la prima volta tradotto in italiano con il titolo “Russia nell’ombra” (da Nuova Editrice Berti), con in appendice anche la celebre intervista di Wells a Stalin del 1934.

“La nostra impressione principale della situazione in Russia è il ritratto di un colossale crollo irreparabile. L’enorme monarchia che avevo visto nel 1914, con i suoi sistemi amministrativi, sociali, finanziari ed economici, è crollata ed è andata in pezzi sotto il peso di sei anni di continue guerre. La storia non conosceva ancora una catastrofe così enorme […] I contadini, che erano le fondamenta dell’ex piramide dello Stato, sono rimasti sulla loro terra e vivono quasi come sempre hanno fatto. Tutto il resto è andato a pezzi o ci sta andando”.

7 / Gabriel García Márquez (1927-2014) – “Urss: 22.400.000 kilómetros cuadrados sin un solo aviso de Coca-Cola” (1959)

Lo scrittore colombiano arrivò in Unione Sovietica nel 1957 al Festival della gioventù e degli studenti di Mosca.

Due anni dopo pubblicò su varie riviste una serie di articoli sui suoi viaggi nell’Est europeo, tra cui quello intitolato: “Urss: 22.400.000 chilometri quadrati senza una sola pubblicità della Coca-Cola”. Le frasi aforistiche si susseguivano nel reportage:

“È difficile per chiunque abbia visto le vetrine semivuote dei negozi di Mosca credere che i russi abbiano armi atomiche”.

“La scomparsa delle classi sociali è di una evidenza che lascia di stucco: tutti sono uguali, tutti girano con abiti vecchi e mal cuciti e con pessime scarpe”.

“Le radio sono molto economiche in Unione Sovietica, ma la loro libertà di utilizzo è limitata: puoi o ascoltare Mosca o spegnere la radio.”

“L’Unione Sovietica per tutti i quaranta anni dopo la Rivoluzione ha diretto gli sforzi allo sviluppo dell’industria pesante, senza dare alcuna importanza ai beni di consumo. Così si può capire perché i russi sono stati i primi a presentare l’aeromobile più grande del mondo al mercato del traffico aereo internazionale ma allo stesso tempo mancano di scarpe per la popolazione.”

8 / P. L. Travers (1899-1996) – “Moscow Excursion” (1934)

L’autrice di “Mary Poppins” ebbe la fortuna di visitare l’Urss come turista indipendente nel 1932, mentre altri scrittori venivano spesso portati come parte di delegazioni ufficiali.

“Per vedere davvero la Russia, non dovresti andare lì come turista. Devi imparare la lingua e viaggiare da solo senza la dubbia tutela delle guide statali. Altrimenti, un viaggiatore con una scarsa conoscenza della storia è perduto: la maggior parte degli eventi storici sono stati modificati e reinterpretati fino a divenire irriconoscibili, da tanto che sono corretti dal marxismo e dall’opportunità”.

All’arrivo, consiglia a tutti di andare… a teatro! “Tutti i turisti, per comprendere la Russia, devono essere portati a teatro immediatamente. La vita del Paese è qui! Sedendo in un teatro russo, inizi a capire come lo Stato sovietico sia riuscito a portare il Paese all’estremo: aggiungete la propaganda incessante e i manifesti infiniti alla naturale inclinazione per la recitazione, e potete addomesticare ogni persona all’attuale regime.

La Travers notò anche qualcosa di importante sulla natura del comunismo:

“Ovviamente, i sovietici non si preoccupano tanto dell’ateismo, quanto del fatto che avendo rovesciato un Dio, ne vada esaltato un altro, l’uomo, affermando che il Paradiso ideale è qui e ora. Il paradiso è in terra, Lenin è l’icona, e il coro degli angeli è il Partito comunista. Non c’è popolo più primordialmente religioso dei russi: solo che ora hanno rivolto la loro fede in una nuova direzione.”

9 / André Gide (1869-1951) – “Retour de l’U.R.S.S.” (1936)

Lo scrittore e drammaturgo francese era uno dei più grandi amici dell’Urss in Occidente, ma dopo il suo viaggio in Unione Sovietica nel 1936 molte sue illusioni crollarono e ne espresse alcune in “Ritorno dall’Urss”, pubblicato da Gallimard, e ancor di più un anno dopo in “Ritocchi al mio ritorno dall’Urss” (“Retouches à mon Retour de l’U.R.S.S.”), dove si spinse a scrivere: “Spero che il popolo dei lavoratori capisca che è ingannato dai comunisti, così come loro sono ingannati da Mosca”.

Gide si soffermò sull’indolenza dei russi:

“Ritorno ai moscoviti. Lo straniero è colpito dalla loro completa imperturbabilità. Dire ‘pigrizia’ sarebbe, ovviamente, troppo… Il “movimento Stakhanov” è stata una meravigliosa invenzione per scuotere le persone dal letargo (c’era una volta la frusta per questo scopo). In un Paese in cui i lavoratori sono abituati a lavorare, un “movimento Stakhanov” non sarebbe necessario. Ma qui, lasciati incustoditi, si rilassano immediatamente. E sembra un miracolo che, nonostante ciò, le cose stiano andando avanti. Quanto questo costi ai leader, nessuno lo sa. Per immaginare la portata di questi sforzi, bisogna tenere presente la bassissima ‘produttività’ intrinseca dei russi”.

10 / Lion Feuchtwanger (1884-1958) – “Moskau 1937 : Ein Reisebericht für meine Freunde” (1937)

Nel complesso, il giudizio sull’Urss espresso da Feuchtwanger in questo suo “Mosca 1937: Rapporto di viaggio per i miei amici” fu molto positivo, e in esso traspariva una grande simpatia per Stalin e l’Unione Sovietica (cosa che, in seguito, al momento dell’emigrazione negli Usa, allarmò l’Fbi).

“Non è difficile criticare l’Unione Sovietica, tanto più che i detrattori sono ben visti. Nell’Unione Sovietica ci sono problemi di ordine esterno ed interno; sono facili da rilevare; non sono nascosti. Tuttavia, chi enfatizza le carenze dell’Unione, e delle grandi cose che là vanno bene scrive solo due righe nelle note a piè pagina, testimonia più contro se stesso che contro l’Unione”.

Feuchtwanger non poté non notare la costruzione del culto di Stalin:

“Le immagini di Stalin si trovano a ogni passo, il suo nome è su tutte le labbra, viene lodato in tutti i discorsi. In particolare, in Georgia, in qualsiasi dimora, anche nella più misera, nella più malmessa, vedrai sicuramente un ritratto di Stalin proprio nel punto in cui un tempo era appesa l’icona. Non so cosa sia: adorazione, amore, paura… ma ovunque c’è lui”.


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