Le performance d’arte in Russia, così come nel resto del mondo, sono il riflesso di come gli artisti reagiscono agli eventi sociali e politici. Spesso la forma di espressione scelta è la provocazione, a volte illegale. Tali performance si sono concluse non di rado con arresti o procedimenti penali. Ricordiamo quelle che hanno creato più scandalo nella storia della Russia moderna.
Nel 1991 i giovani artisti del collettivo E.T.I. (Ekspropriatsija territorii iskusstva; “Espropriazione del territorio dell’arte”), in piena Piazza Rossa misero in piedi la performance “Э.Т.И.-текст” (“E.T.I. Test”), come segno di protesta contro la nuova legge che proibiva l’uso di parolacce in pubblico. Il 18 aprile, con i propri corpi sdraiati sul selciato, formarono la nota parola russa di tre lettere che indica volgarmente l’organo sessuale maschile.
La performance durò neanche un minuto, dopo di che la milizia (come allora si chiamava la polizia) portò tutti i partecipanti al commissariato, ma li rilasciò poco dopo.
Ad ispirare la protesta fu Anatolij Osmolovskij, uno dei fondatori dell’azionismo moscovita degli anni Novanta, che per questa performance fu denunciato per vandalismo. Ma non arrivò fino al processo; il caso fu archiviato per mancanza del corpo del reato…
Oleg Kulik iniziò il suo percorso nel mondo dell’arte come direttore artistico e artista nella galleria privata di Mosca “Ridzhìna”, fondata da Vladimir Ovcharenko.
Quando prese la decisione di andarsene, rimase senza un posto di lavoro stabile. In una delle sue interviste ricorda scherzosamente che strisciò ai piedi del famoso collezionista Marat Gelman e si offrì di fare la guardia all’ingresso della sua galleria, promettendo di essere fedele, come un cane alla catena.
Nel 1994 Kulik annunciò la sua prima performance: “Cane rabbioso”. L’artista, nudo, imitava un cane e si scagliava, correndo a quattro zampe, sui passanti. Per strada, lo portava al guinzaglio un altro performer, Aleksandr Brener.
La figura di uomo-cane si è fissata addosso a Kulik negli ultimi vent’anni. La performance è stata replicata a Zurigo, dove abbaiando e ringhiando spaventava i visitatori della mostra di Niko Pirosmani (un pittore georgiano primitivista, vissuto dal 1862 al 1918) ed è arrivata persino a New York, nel 1997, con il titolo “Io mordo l’America, l’America morde me”.
Come afferma lo stesso artista, prima di lui, in Russia, nessuno aveva fatto niente di simile. E quindi: anno 1995. Fabbrica di gelati “Ajs-Fili”, apertura della mostra “Arte del gelato”. L’Imperatore VAVA (pseudonimo di Vladimir Aleksandrov) si siede nel foyer e con un bisturi si ritaglia una corona sul petto. Quindi raccoglie il sangue che esce copioso dalle ferite, lo cola come uno sciroppo sulle coppette di gelato, le dispone su un vassoio e inizia a girare tra gli ospiti scioccati, chiedendo loro di servirsi e provare quella delizia.
“Quando feci questa perf[ormance] i flash di decine di macchine fotografiche erano come impazziti, scattavano continuamente (a proposito, non ne ho mai più visti tanti, dopo)”, scrisse nel 2009 l’artista sul suo blog su Livejournal.
Nel 1995, il già citato Aleksandr Brener decise di lanciare il guanto di sfida al primo presidente della Federazione Russa, Boris Eltsin. In un gelido giorno di febbraio, Brener si presentò sulla Piazza Rossa in pantaloncini e guantoni da pugile e iniziò a gridare: “Eltsin, vieni fuori!”.
La performance è passata alla storia come “Il primo guantone” (“Pervaja perchatka” era il titolo di un noto film sovietico sulla boxe del 1947) ed era una protesta contro il decreto firmato da Eltsin per lo spostamento delle truppe in Cecenia.
Secondo le memorie del gallerista Marat Gelman, la milizia fermò il “boxeur” solo dopo mezz’ora di performance e lo rilasciò poco dopo.
Al picco della crisi del 1998, con il default del debito, gli artisti Avdej Ter-Oganjan e Anatolij Osmolovskij si inventarono una performance di massa con la costruzione sulla via Bolshaja Nikitskaja di una vera e propria barricata. Chiusero il transito con una barriera di scatole di cartone e sulla cima issarono striscioni con slogan in russo e in francese, in onore dei trent’anni dalla Rivolta studentesca francese del 1968.
Gli artisti presentarono una lista di richieste alle autorità, che includevano un pagamento mensile di 1.200 $ per tutti i partecipanti all’azione, il permesso di usare droghe e il diritto di viaggiare liberi e senza visti in tutto il mondo.
Dopo 3 ore, la colonna si spostò verso il Cremlino, scandendo le parole “Abbiamo vinto! Andiamo passeggiare nella città sconfitta!”. Dopo di che fu dispersa dalla polizia.
Immaginate una camera ardente con una bara al centro. Risuona una musica funebre, le persone avanzano in fila, e si avvicinano per dare l’ultimo addio al defunto. E ora immaginate che la bara con il capo del proletariato mondiale, Lenin, sia in realtà una torta, e che la gente si avvicini per mangiarne un pezzo.
La performance ironica di Jurij Shabelnikov ebbe luogo in una galleria d’arte nel 1998, e riscosse una generale ostilità. Probabilmente, il ricordo dei miti dell’Urss era ancora troppo forte.
I giornali dell’epoca scrissero che solo “persone completamente anormali, con una psiche malata e schizoide, potevano dar vita a questo atto amorale e blasfemo”. E “il cinico abuso della memoria del grande leader” fu persino discusso in Parlamento. Uno dei deputati fu invitato alla performance, ma si rifiutò di prendere parte a “quell’atto di cannibalismo”.
Alla fiera d’arte di Mosca, il 4 dicembre 1998, Avdej Ter-Oganjan organizzò questa performance: dapprima appese riproduzioni di icone negli stand, tra i dipinti, e poi invitò i visitatori a profanarle per una cifra ragionevole. Non riuscì a trovare persone disposte a farlo. Quindi l’artista stesso iniziò a fare a pezzi le riproduzioni delle icone con un’ascia. Fu interrotto da una guardia di sicurezza chiamata dai visitatori indignati.
Alessio II, che era il patriarca della Chiesa ortodossa russa a quel tempo, criticò aspramente la performance. Venne avviato un procedimento penale ai sensi dell’articolo 282 del codice penale della Federazione russa, che prevede il reato di incitamento all’odio nazionale, razziale o religioso. Ter-Oganjan è fuggito dal Paese e ha chiesto asilo politico nella Repubblica Ceca, dove vive ancora oggi. Nel 2010, il procedimento penale è caduto in prescrizione.
Il nome di Oleg Mavromatti è sempre andato d’accordo con l’epiteto “audace”. È stato direttore di una rivista punk, leader di un gruppo punk, membro del gruppo di arte radicale НЕЦЕЗИУДИК (“netseziudik”; una parola in volapük, una lingua artificiale internazionale creata nell’Ottocento da un sacerdote cattolico tedesco, che significa “superfluo”) e anche regista di film sperimentali.
Il 1º aprile 2000, proprio nel centro di Mosca, Mavromatti organizzò un’azione audace: gli assistenti lo legarono a una croce di legno e gli inchiodarono le mani con chiodi di 10 centimetri. L’iscrizione “IO NON SONO FIGLIO DI DIO” venne scolpita sulla schiena dell’artista, ferendolo fino alla carne viva.
Mavromatti ha spiegato la sua performance in questo modo: “Questa scena simboleggia la vera sofferenza, il vero sacrificio, su cui l’arte ha a lungo speculato”
È stato incriminato in base all’articolo 282 del Codice Penale della Federazione Russa per incitamento all’odio nazionale, razziale o religioso, ma la corte non ha avuto il tempo di emettere il verdetto. Mavromatti è fuggito in Bulgaria. Ora vive negli Stati Uniti.
I membri del gruppo artistico “Vojnà” (“guerra”), l’antenato delle più note Pussy Riot, hanno baciato i poliziotti durante le loro performance, e organizzato un’orgia in un museo. Ma sono diventati davvero famosi, e hanno persino ricevuto per questo il premio statale “Innovatsija” nel campo dell’arte contemporanea per la performance “Cazzo prigioniero all’Fsb”.
Nel 2010, i membri del gruppo hanno disegnato un fallo di 65 metri sulla superficie stradale di metà del ponte Liteinij sul fiume Neva a San Pietroburgo. Quando il ponte levatoio è stato aperto, il disegno “si è eretto” insieme alla campata, proprio davanti all’edificio dell’Fsb, i servizi di sicurezza russi.
L’azione, secondo i membri di “Vojnà”, era stata la loro risposta al rafforzamento delle misure di sicurezza durante il Forum economico di San Pietroburgo. Uno degli attivisti, Leonid Nikolaev, fu per questo brevemente arrestato, e poi multato per vandalismo.
Nel Giorno della polizia, il 10 novembre 2013, Pjotr Pavlenskij, completamente nudo, inchiodò il suo scroto con un chiodo sul selciato della Piazza Rossa. La polizia coprì l’artista con un lenzuolo in attesa dell’ambulanza, e i sanitari aiutarono poi Pavlenskij a liberarsi.
L’artista era già conosciuto per le sue proteste con azioni autolesioniste (si era avvolto nudo nel filo spinato, e si era cucito la sua bocca), ma qui superò semplicemente se stesso. Secondo lui, l’a performance era una metafora dell’apatia politica della società russa.
Come aprire una galleria d’arte contemporanea a Mosca e avere successo
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