“Ecco come ho scelto i quadri per la grande mostra di arte russa a Roma”

Reuters
Il 19 novembre apre ai Musei Vaticani “The Russian Way. Da Dionisio a Malevich”, una eccezionale esposizione che metterà di fronte capolavori che vanno dalle antiche icone alle avanguardie. Il curatore Arkadij Ippolitov racconta come è nata

La casa editrice Kolibri ha pubblicato il libro “Prosto Rim” (“Semplicemente Roma”) di Arkadij Ippolitov, curatore del gabinetto di incisione italiana dell’Ermitage di San Pietroburgo, scrittore e autore di numerose mostre. Una di queste è “The Russian Way. Da Dionisio a Malevich”, che apre il 19 novembre ai Musei Vaticani. Con il permesso dell’editore, Russia Beyond pubblica un frammento del capitolo “Roma russa” del nuovo libro, dedicato proprio alla preparazione di questa epica mostra. (Traduzione ad opera dei membri della redazione).

Il libro “Prosto Rim” (“Semplicemente Roma”) di Arkadij Ippolitov

<…> Ho lavorato all’articolo introduttivo per il catalogo di una grande mostra di pittura russa in Vaticano, e il testo mi riusciva con difficoltà. La mostra doveva avere luogo niente meno che nel colonnato destro della Basilica di San Pietro, chiamato il Braccio di Carlo Magno, cioè nel Sancta Sanctorum della spiritualità europea, dell’arte, e della storia.
La location era molto impegnativa, e inoltre dalla mostra ci si aspettava che fosse una degna risposta a quella “Roma Aeterna. Capolavori della Pinacoteca Vaticana”, svoltasi a Mosca due anni prima, riscuotendo un successo clamoroso.

Il primo titolo che mi è venuto in mente per la mostra russa è stato “La Russia è fatta a modo suo”, che è la traduzione canonica italiana del verso “У ней особенная стать” della celebre quartina di Fjodor Tjutchev: “La Russia non si intende con il senno, /Né la misura col comune metro:/ la Russia è fatta a modo suo, / in essa si può credere soltanto.”
All’inizio agli italiani il nome è piaciuto, ma poi si sono resi conto che un’insegna in Piazza San Pietro con la scritta “La Russia è fatta a modo suo” era troppo, e hanno chiesto di cambiare il nome. In generale, hanno fatto la cosa giusta, i versi di Tjutchev, sebbene belli, sono da tempo compromessi dalla loro continua citazione a destra e a manca.
La mostra si è così chiamata, in italiano “Pellegrinaggio della pittura russa. Da Dionisij a Malevich” e in russo “Русский путь. От Дионисия до Малевича”. (Il titolo definitivo della mostra è “The Russian Way. Da Dionisio a Malevich”, ndr).
Anche per “Roma Aeterna” avevo studiato io il concept e selezionato le opere. Ma cosa mostrare ora in Italia? Ovviamente dei capolavori, ma proprio qui stava il busillis. Quello che nell’Europa occidentale si sottende per capolavoro o chef- d’œuvre non corrisponde alla comprensione che del termine si ha in Russia.
La parola italiana “arte”, e il suo corrispettivo in francese, spagnolo e inglese, deriva dal latino “ars”, che significa “maestria” e persino “mestiere”. L’accento è dunque sul “saper fare”, e “abilità” o “bravura” è infatti, in primo luogo, quello che “arte” significa. Per cui ci può essere l’arte di cuocere una bistecca come quella di dipingere un quadro, l’arte di cantare una canzonetta popolare e quella si suonare il terzo concerto per pianoforte di Rakhmaninov, l’arte di riparare una conduttura elettrica e quella di far mettere la testa a posto a qualcuno, l’arte di scrivere una relazione di bilancio o il romanzo del secolo. La “maestria”, ovvero l’arte, può essere cattiva o buona.
La parola russa per arte, искусство (iskusstvo), viene invece dallo slavo ecclesiastico искусьство (iskus’stvo) e dall’antico slavo искоусъ (iskous), che ha la stessa radice della parola искус (iskus), “prova”, “cimento”, e che indicava sia la “tentazione” che l’“espiazione”.
Risalendo ancora al latino, alla parola “experimentum”, “esperienza”, l’iskusstvo russo sembra essere “arte”, ma non del tutto. In latino esiste l’espressione, “experimentum crucis”, “esperienza della croce”, che in epistemologia è l’ultimo e decisivo esperimento che permette di risolvere un dilemma. L’arte russa ha sempre preteso di essere un “experimentum crucis”, una via crucis, o quantomeno una processione in cui si porta la croce.

Aleksandr Ivanov, “L’apparizione del Messia al popolo”, 1837-1857

Il quadro più importante della pittura russa è, naturalmente, “L’apparizione del Messia al popolo” di Aleksandr Ivanov. Avendo trascorso vent’anni a dipingerlo (1837-1857), l’artista si dette il compito di creare una grande opera che, basata sull’esperienza della pittura occidentale nelle sue migliori manifestazioni, superasse tutto ciò che era stato creato in precedenza. Ivanov aveva studiato all’Accademia Imperiale delle arti, dove si seguivano fedelmente i modelli europei, ma “L’apparizione del Messia al popolo” fu da lui concepita come il primo quadro con cui nasceva la scuola pittorica nazionale russa, mentre prima, come giustamente riteneva Ivanov, i russi imitavano solo gli europei.

Ma come superare la pittura occidentale, se Raffaello aveva già trovato la perfezione ideale della forma? Solo con il concetto. L’idea doveva essere grandiosa, ma allo stesso tempo originale, moderna e nuova. Così, dopo molti schizzi preparatori, intensi e carichi d’inquietudine, nacque una grande tela, con una composizione perfettamente costruita, splendida nei dettagli, anche se in fondo irrigidita nella sua ingombrante maestosità.

Roma mi tormentava. Gli italiani conoscono due parole: “iconografia” e “avanguardia russa”. Il diciannovesimo secolo russo è sconosciuto e poco interessante per loro, così ho deciso di porre l’enfasi principale sulla profonda connessione interna tra la pittura di icone e il cosiddetto realismo russo. Volevo moltissimo che, presentando l’arte russa da Dionisij a Malevich, l’esposizione non seguisse il principio cronologico, che annoia tutti, ma mettesse a confronto le opere per delle analogie inattese ma che balzano all’occhio.

Di proposito “L’apparizione del Messia al popolo” di Aleksandr Ivanov è stata posta vicino alle icone del XV secolo “Battesimo” e “Trasfigurazione”, entrando in dialogo con la l’immagine dello starez Paisios, la migliore, probabilmente della lista delle “Trinità” di Andrej Rubljov.

“Dolore inconsolabile”, Ivan Kramskoj, 1884

Ed ecco il “Dolore inconsolabile” di Ivan Kramskoj di fronte all’icona “Non piangere per me, madre”, e il suo “Cristo nel deserto”, vicino al penetrante “Cristo in prigione”, una scultura del Settecento proveniente dalla città di Perm. “La vita è ovunque” di Nikolaj Jaroshenko è vicina alla “Madre di Dio Kykkotissa” di Simon Ushakov, che viene replicata per formato e cromatismi da una grande icona proveniente da Solvychegodsk, la “Visione di Sant’Eulogio” posta vis-à-vis con “Sopra la pace eterna” di Isaac Levitan; mentre l’“Apocalisse” del XVI secolo è accanto al “Quadrato nero” di Kazimir Malevich. Tutto termina con la “Settimana della passione” di Mikhail Nesterov e “Gioiscono di te”, icona della seconda metà del XVI secolo, che incarna lo spirito della religiosità russa.<…>

Isaak Levitan “Sopra la pace eterna”, 1894

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