L’idiota compie 150 anni: 5 buoni motivi per leggere uno dei massimi capolavori della letteratura

Cultura
OLEG EGOROV
Con questo libro Dostoevskij voleva rappresentare l’uomo perfetto, in grado di comprendere gli altri in un mondo fatto di persone malvagie e meschine. Ne è uscito un capolavoro complesso e profondo, ritratto fedele della Russia a lui contemporanea. Straordinaria la descrizione che il protagonista-autore fa degli ultimi attimi di vita di un condannato a morte

1/ Un uomo perfetto in un mondo crudele
Ma io sono davvero una buona persona o sono forse una cattiva persona? Ci sono volte in cui la gente si interroga sulla propria bontà. Può capitare durante una sbronza o dopo aver tagliato la strada a qualcuno nel traffico. “Perché non posso essere anche io perfetto? Perché non posso essere quell’essere umano buono e altruista che tanto sogno di essere?”. Quesiti che spesso affiorano da soli in momenti di vario disagio. Rilassatevi! Come ci insegna Fyodor Dostoevskij nel suo “L’idiota”, a volte essere perfetti non è per niente una buona idea.

Il protagonista del celebre romanzo, il principe Lev Myshkin, è l’incarnazione dell’uomo ideale. “L’idea di Dostoevskij era quella di rappresentare l’uomo perfetto, amato e benvoluto da tutti, capace di comprendere gli altri in un mondo fatto di persone malvagie e meschine”, si legge sull’autorevole portale online di letteratura “Polka”.
Dostoevskij voleva rappresentare Myshkin come “il principe Cristo” e il ritratto che ne deriva è davvero quello di un Cristo del XIX secolo: una figura carica di amore e perdono, lontano dai sentimenti di rabbia e odio.
Ma le persone che lo circondano iniziano a prenderlo per un imbecille, un idiota. Credenze alimentate anche dal fatto che egli soffre di alcuni problemi di salute. Alla fine, la bontà del protagonista non sembra dare i frutti sperati...
2/ Personaggi indimenticabili

Ogni personaggio del libro (e credeteci, ce ne sono davvero tanti!), ad eccezione del principe Myshkin, è in qualche modo ossessionato da qualcosa o da qualcuno.
Come al solito, l’autore riesce a far emergere il lato più mistico e profondo dei suoi personaggi. “Ogni volto appare brillante e colorato, illuminato da una qualche luce elettrica che li fa brillare in modo soprannaturale e viene voglia di osservarli ancor più in profondità”, ha scritto nel XIX secolo il pubblicista russo Apollon Maykov.
3/ Un esperimento raro e coraggioso

Durante la stesura de “L’Idiota”, Dostoevskij si ritrovò a dover tagliare la storia. Inizialmente il progetto prevedeva di scrivere un libro su un ladro alla ricerca di Dio, ma poi l’autore cambiò idea e decise di dedicarsi alla scrittura di un libro nel quale l’interrogativo principale fosse incentrato sulla domanda se l’ideale cristiano (incarnato da Myshkin) fosse ancora auspicabile nel mondo moderno.
L’autore desiderava essere il più fedele possibile alla realtà: così si mise a scrivere senza aver delineato un finale preciso nella propria mente: si limitava a proporre varie circostanze e a vedere come avrebbero reagito i protagonisti della storia seguendo il filo del carattere e dell’indole di ognuno. Un compito tutt’altro che semplice.
“La mia testa era un vortice. È una fortuna che non sia uscito di senno”, scriveva Dostoevskij a un suo amico.
E il finale del libro (che ovviamente non vi riveleremo) non è stato per niente facile per l’autore.
4/ Una finestra sulla Russia del XIX secolo

In un certo modo, fu la vita a suggerire a Dostoevskij cosa scrivere nel suo romanzo: i suoi personaggi, ad esempio, leggevano gli stessi articoli pubblicati sui giornali dei suoi contemporanei. Inoltre nel libro “L’Idiota” l’autore ha preso spunto da un omicidio vero avvenuto nella Russia di quegli anni.
“Dostoevskij ha scritto ‘L’Idiota’ finché viveva all’estero – si legge in un articolo pubblicato su Arzamas dedicato ai segreti dello scrittore -. Lui percepiva il timore di non essere in contatto con la propria madrepatria e voleva che il libro fosse intriso di interesse per la contemporaneità. Egli continuava a leggere i giornali russi e prestava particolare attenzione alla cronaca”. Quindi, se vi attira sapere come si viveva nella Russia del XIX secolo, non perdetevi questo straordinario libro, un vero e proprio punto di riferimento per scoprire la vita dell’epoca.
5/ È stato in grado di descrivere la sua esperienza pre-morte

In uno dei primi capitoli, il principe Myshkin narra la storia di un uomo condannato a morte. “Queste descrizioni degli ultimi momenti di vita di un condannato a morte sono tra i passaggi più elettrizzanti della letteratura russa – ha scritto in un suo articolo il professore Gary Saul Morson dell’università di Northwestern -. Tanto più che non sono state inventate”.
Infatti Dostoevskij era stato condannato a morte nel 1849 per aver fatto parte di un circolo rivoluzionario. Ma pochi minuti prima dell’esecuzione gli venne annunciato che lo zar Nicola I aveva sostituito la sua condanna con alcuni anni di lavori forzati. Per giorni il grande scrittore attese invano la morte e questa terribile esperienza gli cambiò per sempre la vita.
Le parole di Myshkin su un condannato a morte sono particolarmente potenti. Non perdetevi questo capolavoro della letteratura!


Vodka a colazione. E tanti dolci. Sapete cosa era solito mangiare Dostoevskij a tavola? Scopritelo qui