Cinque eccezionali musicisti usciti negli anni dal Concorso Chajkovskij

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Sessant’anni fa, nel 1958, si apriva la prima edizione di questo premio musicale quadriennale (ora diretto dal maestro Valerij Gergiev), che ha lanciato pianisti, violinisti, violoncellisti e cantanti d’opera tra i migliori del mondo. Ecco alcuni dei più importanti


Van Cliburn (1934-2013)

Nulla è paragonabile a quello che toccò in sorte a questo pianista al primo Concorso Internazionale Chajkovskij della storia, nel 1958 (da allora si tiene ogni quattro anni, ma nel 2006 è slittato di un anno, quindi il prossimo si terrà nel 2019). A quell’epoca i concorsi non si erano ancora tramutati in un grande business dell’industria musicale, e l’Urss aveva appena riaperto un po’ la Cortina di ferro. Questo ragazzo di 23 anni proveniente dal Texas, suonando il Primo concerto di Chajkovskij e il Terzo di Rakhmaninov nel modo più tradizionale, ricordando la vecchia scuola pianistica russa con la sua libertà e capacità di emozionare, divenne l’idolo dei moscoviti.
Per la situazione politica del tempo a vincere doveva essere però un sovietico. Ma il grande pianista Svjatoslav Richter (1915-1997), che faceva parte della giuria, si oppose fermamente. E così, della questione della vittoria nel concorso musicale, furono interessati addirittura i piani alti del Cremlino, e fu Nikita Krushchev in persona a dare il beneplacito a che il premio andasse a un americano: Van Cliburn, appunto, allievo della russa Rosina Lhévinne.

La vittoria a Mosca aprì per Van Cliburn le porte del gran mondo della musica. Fu il primo musicista classico a vincere un Grammy e la registrazione della sua esecuzione del Primo Concerto di Chajkovskij è stato il primo disco di musica classica a ottenere il disco di platino, riconoscimento che ottenne altre due volte.

Natalia Gutman (1942-)

Al Concorso del 1962 (il secondo) Natalia Gutman arrivò solo terza nella categoria violoncello. Ma questo non le impedì di entrare in quel circolo ristretto di pochi eletti, per i quali nel mondo della musica non esistono nazionalità e confini.
La Gutman era nata durante la Seconda guerra mondiale in una famiglia di musicisti, che era stata sfollata a Kazan. Sua madre era pianista, il suo nonno paterno violinista, Primo violino dell’Orchestra di Stato dell’Unione Sovietica; il suo patrigno era violoncellista.

Da loro prese le prime lezioni. Poi altre persone furono fondamentali nella sua carriera. Al Conservatorio di Leningrado ebbe come maestro Mstislav Rostropovich. Per molti anni frequentò la cerchia di Richter, esibendosi continuamente con lui e partecipando al suo festival “Sere di dicembre”. Un capitolo a parte nella storia della musica merita poi il duetto della Gutman con suo marito, il violinista Oleg Kagan (1946-1990). Oggi Natalia insegna, e tra i suoi allievi c’è uno dei premiati a un recente Concorso Chajkovskij, Aleksandr Buzlov: secondo posto nel violoncello nel 2007.

Gigon Kremer (1947-)
Al concorso del 1970 il lettone Kremer rappresentava l’Unione Sovietica. Diplomatosi al Conservatorio di Mosca, allievo del grande David Ojstrach (1908-1974), aveva già una discreta esperienza, che si era fatto partecipando a prestigiosi concorsi, come il Concours Musical International Reine Elisabeth in Belgio e il Premio Paganini di Genova. Così, a Mosca, Kremer si esibì da favorito. Poteva forse andare diversamente, quando suoni il violino dall’età di tre anni e sei nato in una famiglia di violinisti, ereditando la professione dalle mani del papà e del nonno?
In effetti vinse, ma con questo la vita da predestinato si concluse.

Kremer non divenne mai parte dell’industria musicale internazionale, che prevede una fila continua di concerti, una vita tra aeroporti e aeroplani, tanti alberghi di lusso e poi direttori, orchestre e un repertorio piuttosto ristretto, che ti permette sempre di mostrarti come un grande virtuoso.
Lui, invece, emigrò dall’Urss nel 1980 e fondò un suo festival, una sua orchestra (in Austria, a Lockenhaus) e si concentrò sul lavoro dei suoi compositori preferiti. È in gran parte grazie a lui se consideriamo ormai dei classici nomi come Alfred Shnitke (1934-1998), Giya Kancheli (1935-) e Leonid Desjatnikov (1955-).

Hibla Gerzmava (1970-)

Quando partecipò al Concorso studiava ancora canto al Conservatorio di Mosca e diventò la prima detentrice del Grand Prix, istituito proprio nel 1994. La limpidezza cristallina del timbro, i modi non appariscenti, l’impeccabile addestramento impartitole da una delle migliori insegnanti, Irina Maslennikova (1918-2013), non sembravano rappresentare le “virtù” di solito valorizzate al Concorso, dove si dà tradizionalmente gran peso all’espressività, alla grinta impetuosa, al virtuosismo manifesto. E a quel tempo, ormai oltre vent’anni fa, il successo di questa ragazza abcasa sollevò molte polemiche.

Ma a tutti quelli che allora dubitavano di lei, la Gerzmava ha risposto con la sfolgorante carriera avuta in seguito. Scelse il Teatro musicale accademico di Mosca intitolato a Stanislavskij e Nemirovich-Danchenko, anche se aveva ricevuto la proposta di lavorare al Bolshoj e se più tardi ebbe la possibilità di passare al Mariinskij di San Pietroburgo.
Ma lei ha sempre preferito andare in questi importanti teatri, invitata come solista, così come al Metropolitan di New York o al Covent Garden a Londra (alla Scala di Milano ha debuttato nel 2017 nell’“Anna Bolena” di Donizetti), ma rimanendo sempre fedele al suo Teatro, dove ha fatto tutta la strada, dalla Principessa Cigno (da “La favola dello zar Saltan”) fino alle eroine dei “Racconti di Hoffman” di Jacques Offenbach, dove, caso unico, canta la parte di tutte e tre le protagoniste donne.

Lucas Debargue (1990-)

All’ultimo Concorso, quello del 2005, l’allora ventiquattrenne pianista francese è arrivato solo quarto (ha vinto il russo Dmitrij Masleev, di due anni più grande). Ma per i moscoviti il parigino è diventato il nuovo Van Cliburn; il preferito, il vincitore morale. 
La sua carriera di concertista ormai si sta espandendo alle principali sale mondiali, ma da nessuna parte ha tanto successo quanto in Russia. Qui sembra aver riportato tra gli spettatori quella passione con cui nel XIX secolo discutevano di Franz Liszt. E la finezza del musicista e allo stesso tempo la cortesia gallica di Debargue, la precisione e l’approccio profondamente personale a ogni esibizione non lasciano nessuno indifferente.


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