Aleksandr Tsekalo
Press PhotoAleksandr Tsekalo. Foto: ufficio stampa
È l’uomo che ha aperto le porte di Netflix (e del mondo) alle serie tv russe. Lui si chiama Aleksandr Tsekalo e in patria è conosciuto soprattutto per la sua carriera di cantante e di uomo dello spettacolo. Ma oggi Tsekalo è sceso dai palcoscenici nazionali per intraprendere una strada ben più ambiziosa: quella del successo internazionale. Lo scorso inverno infatti la sua società di produzione “Sreda” ha venduto a Netflix i diritti di trasmissione di cinque serie tv: “Metod” (Il metodo) “Sarancha” (Locusta), “Farza” (vendita e scambio di denaro illegale ndr), “Territoriya” (Territorio) e “Sparta”. Si è trattato del secondo accordo siglato tra le due parti, visto che la società di Tsekalo già in passato aveva venduto a Netflix un’altra serie russa, “Mazhor”.
Dalla collaborazione con gli americani alle potenzialità delle serie tv russe, Aleksandr Tsekalo ha raccontato in esclusiva a Rbth i dietro le quinte degli accordi con Netflix. E i suoi progetti futuri per far conoscere gli show televisivi russi agli spettatori di tutto il mondo.
L’accordo con Netflix si è svolto in due tempi. Si può interpretare come la volontà di Netflix di vedere quale fosse la reazione degli spettatori rispetto a “Mazhor” per decidere se fosse il caso o meno di comprare altre serie TV di “Sreda”?
No, non è andata proprio così. “Mazhor” faceva parte del contratto con il nostro distributore internazionale che ha proposto a Netflix di acquistarlo. Per le altre serie tv non ci siamo affidati a un distributore: dopo “Mazhor” abbiamo provato a lavorare senza intermediari. Siamo riusciti a vendere altre tre serie tv, ma abbiamo comunque deciso di lavorare in futuro attraverso un distributore. Non ha niente a che fare con i soldi, si tratta di comodità. La rete di agenti è molto sviluppata all’estero, non come da noi. In Russia gli agenti svolgono il ruolo di intermediari, in Occidente è tutto molto più complesso, la collaborazione con gli agenti fa parte del gioco. Continuiamo tuttavia a mantenere un rapporto diretto con Netflix visto che non c’è soltanto l’intenzione di vendere i contenuti: abbiamo in mente anche altri tipi di collaborazione.
Siete impegnati anche nella vendita di format, quando in altri Paesi decidono di fare un remake di un vostro progetto. È più redditizio della vendita di contenuti?
La vendita di un format è da sempre più vantaggiosa dal punto di vista finanziario. Il format costa più di un prodotto già finito. E all’estero “Sreda” vende entrambi. A breve per esempio verrà girato il pilot del remake americano di “Mazhor”. È una storia a parte, slegata dall’accordo con Netflix. C’è poi anche una terza strada, la co-produzione, che al momento è la più in voga.
Tra i vostri progetti c’è qualcosa che è specificatamente pensato per un pubblico internazionale?
Sì, soprattutto dopo l’ultimo Festival delle serie tv di Cannes che di fatto ruotava soltanto intorno alle co-produzioni. Abbiamo conosciuto tra gli altri alcuni show runner di serie occidentali che ora possiamo provare a portare qui da noi. È un momento importante perché si tratta delle persone che contano di più nella produzione dei serial. Se uno show runner famoso, con alle spalle progetti di successo, si interessa a un tuo prodotto dopo è un gioco da ragazzi.
Abbiamo pacchetti di proposte che abbiamo già presentato a diversi show runner stranieri a seconda della loro esperienza professionale passata. Se mostreranno interesse, se nelle loro agende fitte di impegni troveranno un minuto libero e se noi saremo disposti ad aspettare il tempo necessario, tutto andrà per il meglio. In ogni caso non stiamo fermi.
Aleksandr Tsekalo. Fonte: ufficio stampa
Perché Netflix ha notato proprio la produzione della vostra società?
La risposta a questa domanda c’è e non c’è. All’inizio degli anni Duemila cantavo e ballavo (Tsekalo faceva parte del duetto di cabaret “Akademia”, ndr). Non immaginavo neppure che mi sarei occupato di serie televisive. Ma ho sempre fatto quello che mi piace. E se qualcosa ti appassiona davvero e non sei proprio stupido e privo di gusto puoi ottenere molte cose. Nell’industria televisiva russa di serie tv brutte ne giravano già parecchie. Lo spettatore però aveva trovato una soluzione: poteva guardare una quantità enorme di serial stranieri, aveva la possibilità di fare un confronto. E le persone hanno iniziato a scegliere. In Occidente ora non ci sono serie tv scadenti; possono essere brutte, noiose, al di sotto delle aspettative, ma sono tutte di alta qualità. E quando lo spettatore si abitua a un certo livello di qualità non ti resta che adeguarti con un’offerta che lo soddisfi. Non avevo nessuna voglia di sprecare le mie energie per qualcosa fatto in modo approssimativo. “Sreda” è una società molto giovane, l’abbiamo lanciata nel 2011 con “L’altra faccia della luna” (remake della serie tv britannica “Life on Mars” ndr), è stata la nostra prima serie televisiva. Da allora sono passati sei anni durante i quali abbiamo realizzato sei serial, che non è molto, però sono stati tutti acquistati all’estero e per i prossimi progetti ci sono già degli accordi.
C’è anche da dire che non esiste soltanto Netflix, noi collaboriamo anche con altre aziende internazionali. Anche se Netflix è coraggiosa, è bello lavorare con loro. In confronto a loro siamo una piccola azienda, ma serviamo a loro quanto loro servono a noi.
Dopo aver siglato l’accordo siete riusciti a capire quali sono i criteri con i quali Netflix sceglie i prodotti stranieri?
Per rispondere alla domanda vi racconto questa storia: una volta ho incontrato il rappresentante di Netflix. Alla fine della chiacchierata mi ha chiesto: “Che cos’altro avete?”. Avevo già presentato tutti i nostri progetti, restava soltanto “Farca”. No, meglio di no – ho pesato – questo si spara se gli racconto che è una serie ambientata negli anni Sessanta in Urss dove i protagonisti comprano dagli stranieri i dollari per una cifra e li rivendono per un’altra e con il ricavato comprano merce di contrabbando che poi rimettono in circolo e con i rubli guadagnati comprano altri dollari e tutto il processo si chiama “fartsovka” e all’epoca era perseguito dalla legge. Ho deciso così di raccontare la vicenda da un altro punto di vista. Ho detto che si trattava della storia di quattro amici, ciascuno dei quali voleva diventare qualcuno, ma non ci riusciva perché preferiva aiutare il proprio amico, commettendo qualche crimine. E poi ho detto quali fossero i crimini in questione. Gli occhi del mio interlocutore sono schizzati fuori dalle orbite e mi ha detto: me lo mandi. Dopo averlo visto ci hanno comunicato che l’avrebbero comprato. Sono rimasto molto sorpreso, ma circa sei mesi dopo ho visto la serie “The Get Down” che Baz Luhrmann ha realizzato per Netflix. E ho capito tutto. “The Get Down”, di fatto, è la versione americana di “Fartsa”. Ma nessuno può prevedere con certezza chi farà centro a livello internazionale o rimarrà famoso soltanto entro i confini nazionali. Come vede, a volte hanno successo cose che non sembrano esportabili.
Nel complesso come valuta il potenziale delle serie tv russe per quanto riguarda la loro diffusione nell’arena internazionale?
Un paio di anni fa sono intervenuto al pitch di Los Angeles e ho espresso la mia idea, rivolgendomi ai produttori americani: prima c’è stata un’ondata di successo mondiale dei serial scandinavi che continua ancora oggi. Poi è stata la volta di quelli israeliani. Appena arriverà il turno della Russia ci sarò io ad attenderla. Ora ne sono ancora più convinto perché tutti gli altri stanno seguendo le orme di “Sreda”. Il buon esempio è sempre contagioso.
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