Igor Stravinskij (Foto: AFP/East News)
Si guardano a distanza. Poi si avvicinano l’un l’altro. Si stringono le mani, occhi negli occhi, sussurrano poche, cordiali, parole. Un incontro silenzioso. Paradossale per i due maestri che all’inizio del novecento hanno riconfigurato l’intero impianto della musica occidentale. Igor Stravinskij e Arnold Schoenberg, il 4 dicembre del 1912, Teatro dell’Opera, Berlino. Il visionario creatore de La Primavera e l’oscuro esploratore dei confini dell’armonia, la mente dietro l’emergere della dodecafonia. Si incrociano soltanto quel giorno. Nonostante le affinità, nonostante le loro due biografie, reciprocamente in corsa attraverso la prima metà del novecento. Vite parallele, in contrappunto. Ricostruite da Enzo Restagno nel suo ultimo libro, “Stravinskij e Schoenberg. Storia di una impossibile amicizia”, edito da il Saggiatore.
E l’anatomia di questo incontro non può non partire da un vezzo. Da quelle righe che Stravinskij affida al suo diario poche ore dopo. Una descrizione fisica del maestro viennese: “Io sono alto quasi un metro e sessanta. E lui è leggermente più basso di me. Ha occhi grandi, una voce morbida da cui viene fuori tutta la forza dell’uomo”. E se non si ritrova un corrispettivo nei diari di Schoenberg, è la sua presenza, quella sera a Berlino, a parlare. All’Opera, infatti, andava in scena Petruska, uno dei capolavori di Stravinskij, con la messa in scena di Daghilev e con l’angelo Nijinskij a completare il tutto. Un omaggio: l’esploratore del caos musicale dodecafonico che va ad ascoltare il folle, eclettico e spaesante neo-classicismo di Stravinskij.
Poi più nulla. Gli anni dieci scorrono, una corsa senza freni prima verso la Grande Guerra, poi verso la Parigi degli anni ’20, baricentro dell’arte, luogo benedetto in cui Stravinskij ama Coco Chanel, adora Pablo Picasso, folleggia con Daghilev e osserva rapito Sua Alterità Greta Garbo. Mentre Schoenberg prepara la sua fuga da Vienna. Gli anni bui, il nazionalsocialismo che scolora l’intera Europa. Prima le avvisaglie. Poi Hitler che prende il potere, la fuga necessaria per chi ancora vuole proseguire nel proprio lavoro creativo. Tutto tradotto in musica: che per entrambi si fa sempre più rarefatta, libera da ordini, pura.
Andranno entrambi in America, negli Stati Uniti, con le famiglie, tra il 1935 e il 1936. Alimentando con la loro arte l’industria culturale americana. Schoenberg attraverso i suoi scambi con Chaplin, Marlene Dietrich, Balanchine. Stravinskij nel nome della sua arte universalmente riconosciuta già in vita, a partire da Thomas Mann. I due compositori resteranno negli Usa fino alla fine dei loro giorni. Sempre a distanza. Ma sempre, quasi, corrispondendosi. Ed è proprio questa corrispondenza di musicali sensi che viene messa a fuoco da Restagno nel suo libro. Particolari, aneddoti, documenti che testimoniano in che modo due geni della musica, che si sono sfiorati solo una volta, hanno contribuito insieme, con le loro opere, a generare quell’ambiente culturale la cui luce brilla ancora oggi.
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