L’affare Zhivago e quel libro passato per l’Italia

Boris Pasternak (Foto: Itar Tass)

Boris Pasternak (Foto: Itar Tass)

Nella diffusione del manoscritto che avrebbe conferito il Nobel all’autore de “Il dottor Zhivago” c’è un grosso contributo italiano. Ma l’intrigo va ben più a fondo. E coinvolge anche la Cia. Una vicenda sulla quale hanno indagato due studiosi, la cui trama sarebbe degna delle migliori spy story

Gli studiosi e giornalisti Petra Couvée e Peter Finn hanno trascorso molti anni a indagare i segreti e scoprire la verità riguardante la prima pubblicazione in lingua russa del romanzo di Pasternak, avvenuta in Occidente con l’aiuto della Cia. Hanno raccontato a Rbth le loro ricerche sul materiale raccolto per il loro nuovo libro intitolato “L’affare Zhivago”. Nel 1956, dopo averci lavorato su per interi decenni, il celebre poeta russo Boris Pasternak portò finalmente a termine il suo romanzo più importante. Storia leggendaria di amore e sofferenza, “Il dottor Zhivago” era però in assoluta controtendenza rispetto all’estetica approvata a livello ufficiale, che esaltava e incoraggiava i lavoratori eroici e i messaggi ideologici positivi. Le autorità russe si rifiutarono di pubblicare il romanzo, ma il manoscritto fu portato di nascosto in Italia, e in conclusione finì nelle mani della Cia.

Fu proprio la Cia, infatti, a far stampare la prima edizione russa del romanzo e a distribuirla alla Fiera mondiale di Bruxelles del 1958. La fiera era uno dei rari eventi ai quali aveva l’opportunità di essere presente un gran numero di ordinari cittadini sovietici: il Belgio, infatti, aveva rilasciato circa 15mila visti ai visitatori provenienti dall’Unione Sovietica. Per la Cia quella fu un’opportunità incredibile da cogliere per distribuire il romanzo appena stampato. “Quel libro ha un enorme valore propagandistico”, si legge in un appunto della Cia spedito ai responsabili delle filiali della Divisione sovietica russa dell’agenzia, “non solo per il suo messaggio intrinseco e la sua natura provocatoria e ben ponderata, ma anche per le circostanze della sua pubblicazione: abbiamo l’occasione di far sì che i cittadini sovietici si interroghino su cosa c’è di sbagliato nel loro governo, tenuto conto che la splendida opera letteraria di un uomo considerato il migliore scrittore russo vivente non è neppure disponibile nel loro paese”.

 
"La mia Russia insieme a Pasternak"
L'italiano che ha contribuito
a far conoscere il capolavoro russo
 

L’edizione del 1958 fu soltanto la prima: l’anno seguente la Cia pubblicò il romanzo in un’edizione tascabile e in formato ridotto, attribuita a un editore fasullo, affinché fosse consegnata agli studenti sovietici e dell’Europa orientale che presero parte al Festival mondiale della gioventù per la Pace e l’Amicizia del 1959, che si svolse a Vienna.

Le voci si rivelano vere

La notizia sorprendente del coinvolgimento della Cia nella prima pubblicazione in lingua russa del romanzo di Pasternak è al centro del nuovo libro di Petra Couvée e Peter Finn intitolato “L’affare Zhivago”, pubblicato di recente da Pantheon. “I retroscena della storia del romanzo, dalle sue origini alla polemica per il Premio Nobel, valevano da soli la pubblicazione” dice Couvée, docente all’Università di San Pietroburgo: a mano a mano che i due studiosi hanno cercato di fare luce nei vari livelli di segretezza che caratterizzano la loro pubblicazione, la trama dell’intera vicenda si è fatta ancora più complessa e interessante. Couvée ha scoperto, per esempio, anche quale ruolo rivestì l’intelligence olandese (BVD) negli anni Novanta, quando un ex funzionario dei servizi le riferì che il BVD su richiesta esplicita della Cia diede una mano a far stampare in russo il romanzo in Olanda. “Il mio primo articolo sull’argomento fu una ricostruzione degli avvenimenti, sulla base di materiale olandese, belga, francese, russo, tedesco e americano” racconta Couvée. L’articolo è stato pubblicato nel luglio del 1998 da una rivista letteraria di Amsterdam con un “finale per certi aspetti irrisolto”, che ha portato a un documentario per la televisione che nel gennaio del 1999 ha riscosso grande successo.

Tra il pubblico che lo vide c’erano altri due agenti del BVD in pensione che erano stati coinvolti nell’“operazione Zhivago”. Uno di loro, Kees van den Heuvel, a quel punto ha voluto raccontare qualcosa di più. “Sono andata a trovarlo due volte” dice Couvée. “Era un signore affascinante, di aspetto giovanile per i suoi 80 anni, cordiale, carismatico. Mi ha raccontato che a ideare il progetto Zhivago e a portarlo a termine era stata la Cia. Quella è stata la prima prova concreta del coinvolgimento della Cia nell’‘affare Zhivago’”. Peter Finn, attualmente direttore di “Sicurezza nazionale” ed ex responsabile capo dell’ufficio di Mosca del “Washington Post” aveva parlato di questa storia già nel 2007, e due anni dopo aveva contattato la Cia per chiedere che gli fossero mostrati i documenti relativi al caso. Ma il permesso gli è stato negato. “La prima risposta che ho avuto è stata un no secco” dice Finn. “Ma naturalmente, essendo un giornalista, non mi accontento mai di un no come risposta”. “Peter ha parlato con molti agenti in pensione” continua Couvée. “Gli ex agenti hanno portato l’argomento all’attenzione della Divisione documentazione storica, e gli storici di quella sezione dell’agenzia hanno subito espresso un grande interesse”.

Finalmente, tre anni dopo la domanda iniziale presentata da Finn, gli autori della ricerca hanno ottenuto i documenti che avevano chiesto di visionare. Del coinvolgimento della Cia nell’edizione russa del 1958 “era corsa voce, e si erano fatte subito molte congetture in proposito non appena pubblicato il libro”, spiega Finn, ma soltanto a quel punto “l’agenzia d’intelligence ha ammesso il ruolo avuto nell’operazione”. Momenti folgoranti Sia Couvée sia Finn descrivono l’arrivo della tanto attesa documentazione della Cia nell’agosto 2012, come il “momento migliore”. “La spedirono per posta normale all’indirizzo di casa di Peter in Virginia” racconta Couvée. Un mese dopo i due autori si sono recati a Milano a intervistare il figlio di Giangiacomo Feltrinelli, l’editore italiano che per primo nel 1957 aveva pubblicato l’edizione italiana de “Il dottor Zhivago”. Racconta Couvée: “È stato a quel punto che Peter mi ha dato i documenti. Era una splendida giornata e così mi sedetti tranquillamente a un tavolo da picnic in un parco a leggere la documentazione. E rimasi folgorata. Avevo iniziato la mia ricerca nel 1997: era quello, dunque, il gran finale delle mie indagini?”. “Capii immediatamente che la Cia era profondamente coinvolta nella pubblicazione del primo ‘Il dottor Zhivago’ in lingua russa”, dice Couvée. La documentazione ricevuta era pronta per la stampa, ma gli autori sono riusciti a “ottenere i nomi” e ad aggiungere maggiori informazioni sui personaggi estrapolando notizie da archivi e interviste. Secondo Finn, un altro momento folgorante è quello in cui ha preso in mano il manoscritto originale, quello contrabbandato di nascosto per Feltrinelli: “Le pagine erano tenute insieme con lo spago e le pagine erano annotate a mano da Pasternak”, ricorda lo studioso. “L’affare Zhivago” inizia nel maggio 1956, con un giornalista italiano, Sergio D’Angelo, che si dirige al villaggio di dacie di Peredelkino per convincere Pasternak a dargli il manoscritto de “Il dottor Zhivago” per portarlo di nascosto all’estero. Gli autori della ricerca hanno incontrato e intervistato D’Angelo che ha scritto il libro “Il caso Pasternak”. “Da allora siamo sempre rimasti in contatto via posta elettronica” dice Couvée di D’Angelo. “Era ed è una persona affascinante e cordiale: dopo l’intervista ci ha portati al ristorante a mangiare cinghiale e porcini”.

Misteri ancora da risolvere

A conferire una sensazione di freschezza e di autenticità di prima mano al libro è l’incontro dal vivo dei sopravvissuti al cerchio degli intimi di Pasternak. Anche se gli eventi che il libro descrive si sono svolti più di cinquant’anni fa, l’azione è spesso piena di suspense, come un thriller di spionaggio. A causa della riorganizzazione della Cia, i documenti sono stati resi accessibili al pubblico soltanto all’inizio di quest’anno e quindi mentre lavoravano al loro libro Couvée e Finn hanno avuto un accesso esclusivo al materiale. Ma c’è di più: dalla documentazione risulta anche un coinvolgimento delle forse di sicurezza britanniche. Un anonimo funzionario dell’intelligence riuscì a fotografare il manoscritto del “Il dottor Zhivago” e a passarlo alla Cia. Ma, secondo quanto afferma Finn, restano ancora alcuni misteri da risolvere: “Una delle questioni più importanti sulle quali si deve fare luce è il nome della fonte anonima che passò il manoscritto all’intelligence britannica”.

Secondo Finn “durante le ricerche, ci sono state scoperte di ogni tipo, piccole e grandi, dal frammento in un diario o in una lettera a un appunto del console di Monaco al Dipartimento di Stato su una conversazione con una delle persone coinvolte nella traduzione del ‘Il dottor Zhivago’”. Dalle prime scoperte di Couvée alla fine del Ventesimo secolo alla pubblicazione quest’anno del loro coinvolgente libro, gli autori hanno apprezzato ogni istante della loro avventura letteraria. Finn, infatti, dice che “è stata sempre un’avventura meravigliosa”.

Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta

Questo sito utilizza cookie. Clicca qui per saperne di più

Accetta cookie