Cechov come una preghiera

Nina, spettacolo liberamente ispirato a “Il gabbiano” di Anton Cechov, in scena al Teatro Libero di Milano dall’1 al 6 aprile 2014 (Foto: Ufficio Stampa)

Nina, spettacolo liberamente ispirato a “Il gabbiano” di Anton Cechov, in scena al Teatro Libero di Milano dall’1 al 6 aprile 2014 (Foto: Ufficio Stampa)

Intervista a Fabrizio Visconti. Che al Teatro Libero di Milano, dal 1 al 6 aprile, mette in scena "Nina", spettacolo liberamente ispirato a "Il Gabbiano" del drammaturgo russo

Una donna sola sul palco. La luna, un baule e un treno da prendere. Una scelta da fare: la vita, l’amore e l’arte. Sono questi i temi e le parole chiave di Nina, spettacolo liberamente ispirato a Il gabbiano di Anton Cechov in scena al Teatro Libero di Milano - dall’1 al 6 aprile - per la regia di Fabrizio Visconti e con Rossella Rapisarda. Come spiega il regista Fabrizio Visconti, l’adattamento del testo cechoviano non è stato affatto semplice e ha necessitato una lunga gestazione, ma dopo averlo visto “esci che hai voglia di crederci nella vita!”.

Come mai avete scelto l’adattamento de Il gabbiano di Cechov per Nina?

È stato in realtà un innamoramento. Per caso abbiamo incontrato un maestro russo, Jurij Alschitz, con cui abbiamo studiato a Mosca per tre anni e il primo testo a cui abbiamo lavorato è stato appunto Il gabbiano di Cechov. Il gabbiano racconta come tutti questi personaggi che vivono in campagna, che hanno vite diverse, che fanno anche fatica a trovare un senso, attraversando il parco di questa villa improvvisamente si trovano davanti a questo teatrino e di fronte ad esso tutti coloro che arrivano si fermano e cambiano la qualità delle domande che si fanno, cominciano a domandarsi del tempo, del senso di invecchiare, dell’amore e quindi racconta come in qualche modo il teatro e l’arte in generale ti sposti verso la possibilità di percorrere la strada che dia un senso più compiuto all’esistenza umana. 

Chi è e cosa rappresenta la Nina protagonista dello spettacolo?

Nina è diventata il simbolo di tutto Il gabbiano, perché compie un percorso di avvicinamento, di sogno e illusione, di cambiamento di vita: lei va Mosca, immagina di avere una vita grande nell’arte, poi non succede niente e fallisce, ritorna indietro alle radici, al lago, dove tutto era iniziato e lì prende in mano questa scelta non più perché sogna qualcosa ma perché riconosce in questo qualcosa la propria identità, la propria natura, e per questo le parole con cui poi Nina va via sono “adesso io capisco che tutto quello che conta nella nostra vita non è quello che sognamo ma è avere fede”.

"Call Me God" incanta Mosca

Il testo gioca tutto sul parallelo tra Nina e Rossella, l’attrice che la interpreta.

Si, la storia dello spettacolo è quella di un’attrice che deve interpretare in un’ora 4 atti de Il gabbiano tutto da sola ma in un’ora deve anche decidere se prendere o no un treno per partire ad essere un’artista. In questo teatro lei sta aspettando il suo amore, Augusto, che non si presenta perché non crede nel teatro. Lei ha quest’unica ora per decidere a chi affidarsi: ai fantasmi o alla vita reale cioè a questo Augusto che potrebbe aspettarla se lei si liberasse del teatro. Tutto lo spettacolo si sviluppa intorno a questo conflitto che si svolge attraverso situazioni comiche in cui Rossella si identifica con Nina oppure si allontana a seconda del fatto che veda lei come attrice che incarna un sogno o i fallimenti che Nina ha dovuto attraversare.

Avete avuto delle difficoltà nell’adattare il testo di Cechov?

Chiaramente non è stato semplice! È stato un percorso molto lungo iniziato nel 2000 e che ha trovato la sua forma definitiva nel 2008: una gestazione abbastanza complessa! Ma è stato una sorta di presa di coscienza, di assunzione di responsabilità rispetto a quello che questo testo dice. Il testo di Nina de Il gabbiano è nascosto all’interno di un altro testo che noi abbiamo scritto che é molto più ideologico, perché poi lo spettacolo è senza quarta parete, è un vero dialogo con il pubblico. Di fatto noi raccontiamo tutto Il gabbiano e i temi che include attraverso un escomatage più giocoso, più semplice per avvicinarci a temi che per noi sono forti in maniera più delicata.

Come è nato il suo legame con la Russia?

A parte da una enorme curiosità personale che c’era ancora prima di incontrarla, dopo di che abbiamo incontrato Juri e questa cosa si è unita. Siamo andati a Mosca a studiare all’Accademia d’arte drammatica, abbiamo lavorato nella casa Museo di Stanislavksij, nel teatrino dove lui metteva in scena le sue cose. Questa esperienza è stata una specie di preghiera, è stato veramente come mettersi nelle mani di chi poteva portarti da qualche altra parte...quindi assolutamente indimenticabile! Siamo andati anche a visitare la casa di campagna di Cechov dove è ambientato realmente Il gabbiano e anche lì è stata un’avventura spettacolare, un vero percorso di ascolto delle radici delle origini di questa cosa. È stata la base per cui tutto quanto è diventata un’esperienza reale. Non pensiamo di aver scelto Il gabbiano per una questione intellettuale ma perché è stata una sorta di dialogo con Cechov, con Stanislavskij. Tutto questo ci ha dato qualche cosa che noi abbiamo cercato di restituire.

Cosa le è rimasto della Russia e dei russi?

Di questo viaggio mi è rimasta una grande voglia di tornare e una grandissima differenza tra noi e loro sia riconosciuta da noi che dai maestri con cui abbiamo lavorato: loro hanno questo grandissimo rispetto per l’arte come strumento fondante per la vita, cosa che noi, paradossalmente in Italia con tutto quello che c’è, abbiamo pochissimo. Quindi un rispetto per l’arte che noi proprio ci sogniamo!

Il vostro viaggio ha influenzato la scelta de Il gabbiano?

Certamente, perché in qualche modo come i personaggi del Il gabbiano si trovano di fronte al teatrino nel parco noi ci trovavamo in quello di Stanislavskij tutti i giorni dalla mattina alla sera a farci una domanda “quanto apparteniamo a questa cosa, quanto ci trasforma?” questa domanda qua ci ha portato poi a quelle del testo reale cioè quanto di fatto nella natura dell’uomo ci sia di legato all’invisibile e quanto al concreto!

Il 2 aprile, dopo lo spettacolo, si terrà una serata con la proiezione del vostro viaggi a Yelets. Che esperienza è stata?

Siamo tornati in Russia nel 2010 in occasione dei 150 anni della nascita di Cechov. Jurij ci disse che avremmo dovuto creare un atto idealistico per festeggiare questo compleanno e abbiamo fatto quello che ha fatto Nina nel quarto atto: abbiamo preso un vagone di terza classe per Yelets - un paesino a una notte di treno da Mosca in cui Nina ritorna alla fine della piece - e abbiamo fatto una serie di giochi e di rituali presi da Il gabbiano. Lì siamo stati accolti dalla cittadinaza ed è iniziata una no-stop di 3 giorni di piccole azioni teatrali. Il tutto doveva culminare nella creazione della base della statua a Nina: si sarebbe dovuta costruire questa statua a Nina, la prima costruita ad una persona mai esistita ma ad un personaggio. La statua è stata appoggiata da 60 persone da tutte le parti del mondo che hanno voluto fare questa cosa e vedere se per una volta fare un’esperienza idealista avrebbe cambiato il loro senso della realtà.

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