Lev Tolstoj con la moglie Sofia. Il loro matrimonio durò quarantotto anni (Foto: Ignatovich / RIA Novosti)
Ne sopportavano vizi e virtù. Rappresentando un punto fermo di un'esistenza in movimento perpetuo. Dietro ad alcuni grandi scrittori russi vi erano le mogli, che svolgevano anche per loro il ruolo di segretarie e agenti letterarie. Per amore dei rispettivi mariti Sofia Tolstoj, Anna Dostoevskij e Vera Nabokov accettarono di buon grado anche le circostanze più difficili.
Sofia Tolstoj
Il matrimonio tra Sofia Bers e il conte Leo Tolstoj, che aiutò il grande scrittore a produrre “Guerra e pace” e “Anna Karenina” e durò quarantotto anni, iniziò con l’abbandono da parte dello scrittore delle abitudini che avevano accompagnato la sua giovinezza. Autore di grande fama, nonché eroe dell’assedio di Sebastopoli, Tolstoj confessò infatti a Sofia la sua passione per il bere, il gioco e le donne, promettendole che “a parte rare eccezioni, che lui non avrebbe favorito né evitato, non avrebbe avuto rapporti con nessuna delle donne del loro villaggio”. Sofia era rimasta colpita dalla semplicità dello stile di vita che Tolstoj conduceva nella sua tenuta di Yasnaya Polyana, dove il conte dormiva in un letto senza coperte e adoperava un servizio di piatti vecchio e scheggiato.
Oltre a far fronte agli obblighi di moglie e di madre, Sofia si prese anche la responsabilità di far quadrare i conti della famiglia. Ciò che più la rendeva felice, però, era aiutare l’amato coniuge nella sua attività di scrittore. Sofia svolgeva infatti per il marito anche le mansioni di segretaria, agente e correttrice di bozze. Ricopiò sette volte l’intero testo di “Guerra e pace” e si occupò persino di promuovere le sue opere (contattò anche la vedova di Dostoevskij, chiedendole consigli al riguardo). “Le mie capacità intellettuali, e persino i miei poteri morali non sono mai stati così liberi, permettendomi così di lavorare al meglio”, scrisse Tolstoj a proposito dei tempi felici del loro matrimonio.
Negli ultimi anni di vita dello scrittore, quando egli iniziò a sviluppare una propria concezione filosofica, la convivenza tra i due divenne più problematica. Benché continuasse a indirizzare alla moglie lunghe lettere d’amore, Tolstoj aveva iniziato a negare i concetti di famiglia e di povertà. “Non saprei indicare con esattezza il momento in cui abbiamo iniziato a prendere strade diverse”, scrisse Sofia, “ma non ho avuto la forza di seguire i suoi insegnamenti”. Alla fine, spinto dalla depressione, Tolstoj abbandonò la tenuta dove risiedeva. Sofia lo raggiunse in una piccola stazione ferroviaria, trovandolo ormai in fin di vita, e lo vide esalare l’ultimo respiro. La determinazione con cui si dedicò al completamento di tutte le opere del marito aiutò la donna a superare il dolore per la sua morte. “Spero che i postumi si dimostreranno tolleranti verso colei che era forse troppo debole per essere la moglie di un genio e un grande uomo”, scrisse.
Anna Dostoevskij (Foto: V. Krechet / RIA Novosti) |
Anna Dostoevskij
Dostoevskij chiese la mano della sua stenografa, la ventenne Anna Snitkina, solo un mese dopo il loro primo incontro. Si era trattato in verità di un mese assai intenso: in soli venticinque giorni, infatti, Anna aveva aiutato Dostoevskij a completare il suo ultimo romanzo, “Il giocatore”, e a mantenere i diritti su tutte le sue opere, a dispetto delle rivendicazioni di un avido editore. Un’impresa che solo l’amore aveva potuto rendere possibile. “Il mio cuore traboccava di compassione per Dostoevskij, che aveva conosciuto un esilio infernale. Sognavo di poter aiutare l’uomo di cui tanto amavo i romanzi”, scrisse Anna nelle sue memorie. In lei, il disincantato scrittore quarantacinquenne trovò una donna completamente votata a lui e al suo lavoro.
Come il protagonista del suo romanzo, Dostoevskij era un giocatore inveterato. Inseguito dai creditori, fu obbligato a lasciare la Russia insieme alla famiglia – e tuttavia anche in Europa continuò a giocare, al punto da essere costretto a volte ad impegnare gli abiti e i gioielli della moglie. Anna considerava quella sua passione alla stregua di una malattia, non di un vizio, e in una circostanza affidò al marito gli ultimi soldi che le restavano per il sostentamento della famiglia, alla quale si era appena aggiunta una bambina. Di fronte a un gesto così disarmante, Dostoevskij si rese conto che Anna era “più forte e profonda di quanto lui avesse creduto”. Accettò il denaro, ma promise alla moglie che non avrebbe mai più giocato e che l’avrebbe resa felice.
Mantenne la parola. Fu con l’aiuto di Anna, segreteria e compagna di vita, che Dostoevskij scrisse i suoi maggiori romanzi. La donna si immedesimava completamente nei personaggi delle sue opere, al punto di commuoversi per loro mentre ne scriveva sotto dettatura le vicende. E sempre grazie alla moglie, che aveva preso in mano le redini dell’economia famigliare, negli ultimi anni della vita di Dostoevskij la situazione economia della famiglia migliorò. Anche dopo la morte dello scrittore, Anna continuò a vivere nel suo ricordo, dedicandosi alla pubblicazione delle sue opere e alla gestione del museo intitolato a suo nome. Non si risposò mai. “Chi potrei mai sposare dopo aver vissuto con Dostoevskij?”, affermava con ironia. “Tolstoij, forse?”.
Vera Slonim, moglie di Nabokov (Foto: Getty Images / Fotobank)
Vera Nabokov
Vera Slonim sposò Vladimir Nabokov, un promettente scrittore del quale adorava le poesie, a Berlino nel 1925. La coppia (lei figlia di un avvocato ebreo, lui figlio di un noto politico russo) fuggì dalla Russia comunista per recarsi prima in Germania, poi in Francia e infine negli Usa. Il loro matrimonio fu caratterizzato da una vicinanza così rara da infastidire i parenti dello scrittore. Nabokov faceva infatti affidamento su Vera per qualsiasi cosa. Era lei che contattava gli editori per suo conto, e rispondeva alle loro telefonate. I due tenevano persino un diario in comune. I Nabokov apparivano in pubblico sempre insieme.
Mentre Vladimir teneva le sue lezioni di letteratura russa alla Cornell University, Vera gli sedeva accanto; secondo alcune voci, se Vera non abbandonava mai il marito era perché era decisa a fargli da guardia del corpo: un ruolo per il quale si era munita, si diceva, di una pistola che portava sempre nella borsetta. Si diceva anche che in realtà fosse Vera, e non Vladimir, a scrivere. Questo perché mentre lei era sempre seduta alla macchina da scrivere, il marito scriveva ovunque – nel bagno, a letto, sul sedile dell’auto – ma mai alla sua scrivania. “In America, l’automobile è l’unico posto tranquillo e senza spifferi”, diceva Nabokov. E Vera, che fungeva anche da autista, lo accompagnava nei boschi per lasciarlo scrivere in solitudine. “Senza mia moglie non potrei scrivere nemmeno un libro”, soleva dire Nabokov. Inoltre senza l’intervento di Vera, che ne salvò ripetutamente il manoscritto dalla spazzatura, lo stesso “Lolita” sarebbe andato distrutto.
Vera condivideva anche la passione del marito per gli scacchi e l’entomologia. Secondo il racconto di un testimone, quando Vladimir, durante una vacanza in Italia, si imbatté per caso in una farfalla rara, anziché tentare immediatamente di avvicinarsi si affrettò a chiamare sua moglie, così che lei potesse vederlo catturare il prezioso insetto. Nelle sue lettere agli amici, Vera si lamentava di quanto fosse difficile persuadere Vladimir a staccarsi dal lavoro. Tuttavia, dopo la morte dello scrittore lei stessa adottò dei ritmi di lavoro intensi, sedendo alla macchina da scrivere anche sei ore al giorno per tradurre i suoi romanzi e correggerne la traduzione. All’epoca aveva ottant’anni. Di certo, ai tempi della Cornell University, Vera non aveva posseduto una pistola. Se seguiva il marito in classe era perché solo a lei Vladimir poteva parlare liberamente e con eloquenza di letteratura russa. E lei permetteva ad altri di prendere parte alla quella loro meravigliosa conversazione.
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