Lo spettacolo "Onegin" di Boris Eifman (Foto: H. Kudryashova / Ufficio Stampa)
Torna in Italia Boris Eifman, il coreografo russo che con i suoi appassionati balletti ha conquistato le platee di tutto il mondo. L’occasione e il palcoscenico sono speciali: il debutto nazionale del suo Onegin, al Teatro La Fenice di Venezia (da mercoledì 18 a domenica 22 dicembre 2013, www.teatrolafenice.it). Generoso di storie e sentimenti, il sessantasettenne artista si presta come sempre a raccontare come nascono i suoi entusiasmanti dance-drama.
Maestro Eifman, alla trasposizione in danza
del romanzo in versi di Pushkin, libro sacro per i russi, si è accostato solo
di recente, da artista celeberrimo. Forse ne aveva un po’ paura?
È vero:
ci sono libri che, se si vogliono ripensare artisticamente, bisogna arrivare a
introiettare. Ma se per molti anni non ho osato accostarmi ai Fratelli Karamazov di Dostoevsky per
trarne un balletto, per il romanzo in versi Eugene
Onegin di Pushkin l’idea mi è balenata in testa spontaneamente e mi ha
immediatamente divorato. Ho iniziato a lavorare in uno stato di estasi, senza
nessun dubbio sulle mie scelte. Il risultato è una delle pièce più interessanti
e di successo nella nostra recente storia teatrale.
Lo spettacolo "Onegin" di Boris Eifman (Foto: V. Baranovsky/ Ufficio Stampa)
Perché, a Suo parere, i personaggi e la
vicenda di “Eugene Onegin” appaiono così contemporanei?
La
grandezza di Pushkin è nella sua abilità a tracciare il ritratto della sua
epoca, ma anche a presentare personaggi eterni e situazioni drammaturgiche
universali. Nel XIX secolo Eugene Onegin
era detto “enciclopedia della vita russa”, perché lo scrittore documentò la
società a lui contemporanea con assoluta accuratezza. Ma se il significato del
romanzo fosse limitato a questo, non parleremmo di opera immortale. La cosa più
importante invece è che Pushkin delineò un ritratto dell’anima russa profondo e
archetipico, ponendo i suoi personaggi in circostanze che in ogni tempo sarebbero
state comprensibili per il lettore: proprio per questa ragione appaiono ancora
così vivi.
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Appassionante Boris Eifman Ballet Leggi l'intervista precedente |
Perché ha trasferito la vicenda del
balletto ai giorni nostri?
Nei
miei balletti non traspongo mai i capolavori letterari parola per parola: è il
mio principio e mi garantisce la necessaria libertà creativa. Ho voluto fare
l’esperimento di collocare i personaggi di Pushkin nella nostra epoca non per
scandalizzare né per seguire una moda; ero piuttosto interessato a riflettere
su come la loro intima natura poteva rivelarsi negli anni Novanta e Duemila. Scelti
perché, sia nel crudele periodo di confusione seguito alla caduta dell’Unione
Sovietica che nella successiva decade del materialismo globale la natura umana
si è manifestata nella sua interezza. Così ho capito che l’animo umano non è
cambiato, il tempo non ha potere su di esso e lo stesso si può dire della
cultura. Forse è una verità ovvia, ma l’artista non deve smettere di mostrarla
al pubblico, specialmente nel nostro tempo cinico e indifferente.
Lo spettacolo "Onegin" di Boris Eifman (Foto: V. Baranovsky/ Ufficio Stampa)
Nel suo balletto i personaggi sono diversi
dal romanzo?
L’essenza
di ognuno di loro rimane intatta: Tatiana è nobile e pura, Lensky appassionato
e ingenuo, Onegin è lo stesso “uomo inutile” che simbolizza la sua epoca e allo
stesso tempo ne è disgustato. Ma non voglio fare un’analisi dettagliata del
confronto tra il mio balletto e il libro: gli spettatori possono decidere quali
sono le differenze e le similitudini. Perché il teatro è impossibile senza un
certo lavoro del pubblico, mentale e spirituale.
Quali sono le peculiarità coreografiche di
questo balletto?
Da
un lato continua la ricerca estetica che il nostro teatro porta avanti da 37
anni, per creare un nuovo linguaggio del balletto psicologico moderno, dall’altro
desidero sempre che ogni nostra produzione sia diversa dalle altre. Perciò il
linguaggio plastico del balletto Onegin,
mantenendo le principali caratteristiche dell’individualità artistica
dell’Eifman Ballet, ne mostra al contempo nuovi aspetti.
Tra le musiche ha scelto anche Tchaikovsky:
qualche riferimento all’opera lirica?
A
mio parere non si dovrebbe paragonare il nostro balletto all’opera. Sono lavori
di generi artistici, epoche e filosofie diverse. La cosa più importante per me
era dimostrare un approccio riverente alla fonte letteraria e al suo grande
autore, preservandone lo spirito.
Qual è stata sinora l’accoglienza del
pubblico?
Abbiamo
presentato questo balletto sui principali palcoscenici russi, americani ed
europei, ogni volta con notevole successo. Ne sono molto soddisfatto, perché
anche per il nostro teatro è uno spettacolo originale e ardito. Il rischio ha
pagato.
Quali aspettative avete per questo debutto
italiano a Venezia?
È un
grande onore per noi esibirci sul famoso palcoscenico del Teatro La Fenice. Non
vediamo l’ora di incontrare il pubblico italiano, la cui passionalità e
generosità apprezziamo sinceramente. Spero che la gente non solo recepisca le
emozioni dal palcoscenico, ma saluti la compagnia con energia. Dunque non mi
resta che invitarvi tutti alla nostra prima veneziana del balletto Onegin.
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