Volga Volga (1938)

Grigori Aleksandrov (Foto: RIA Novosti)

Grigori Aleksandrov (Foto: RIA Novosti)

Portare in un musical le ambiguità del potere staliniano. Tra burocrati incolti e artisti di provincia. Grigori Aleksandrov passa in rassegna gli intoppi della Rivoluzione

È stato etichettato genericamente come una delle manifestazioni, palesi e indiscutibili, della propaganda. Come parte del dispositivo attraverso cui lo Stato Sovietico controllava e indirizzava le espressioni artistiche. Ma Volga Volga è tanto altro. Troppo altro, per meritare un giudizio così approssimativo e riduttivo. Perchè nel musical girato dal 1936 al 1938 da Grigori Aleksandrov, convivono dimensioni e sfumature opposte, diverse tra loro.

Talmente diverse che è possibile scorgere, dietro la leggerezza donata dalla forma espressiva scelta - il musical appunto - un intreccio nel quale convivono sì la forza dello Stato e l'idea di narrare il farsi della vita nel suo sviluppo rivoluzionario. Ma anche gli "intoppi" della Rivoluzione. Burocrazia di ritorno, ideologizzazione dell'intera esistenza. E soprattutto: in Volga Volga, sotto la patina di divertissement vive una critica al "Grande Terrore" staliniano, all'apice proprio in quegli anni.

L'idea iniziale è del 1936. Grigori Aleksandrov, decide sin da subito di muoversi all'interno di uno specifico filmico distante anni luce dal lavoro della Avanguardie degli anni '20. E sceglie il modello opposto rispetto alle lezioni dei suoi Maestri. Ovvero: Hollywood. Non solo come "modello industriale": niente formalismi, solo storie per il pubblico. Quella era quasi una necessità. Nel senso che lo Stato sovietico aveva già predisposto organismi nei quali decidere quali film dovessero essere prodotti. Cioè, solo quei lavori che avrebbero tradotto in immagini la linea del partito.

Aleksandrov sceglie Hollywood anche come modello narrativo. La struttura di Volga è quella "tipica" del musical americano: l'avventura di un provinciale che decide di "conquistare" la grande Città. Che lotta per quest'ambizione e che alla fine, in quanto portatore del nuovo, ci riesce. Fin qui, tutto in linea. Con il partito, naturalmente. Solo che Aleksandrov usa come Cavallo di Troia della propria volontà di critica, proprio il personaggio principale. Il burocrate Byvalov.

Passo indietro: la critica alla burocrazia era permessa, proprio perché la Rivoluzione proponeva uno Stato a misura dei cittadini. In Volga Volga, Byvalov fa di tutto proprio per non incappare nelle ire del Potere. Fa di tutto per rendere media, e mediocre, la propria esistenza. Su binari in cui la rivoluzione diventa conformismo e le proprie capacità devono essere sacrificate se non si vuole rischiare di uscire dal terreno ideologico e valoriale predisposto dai vertici delle Istituzioni. E la forma-musical, appunto, maschera tutto questo. Lo rende fruibile, innocuo, Ma non lo cancella. Generando la più riuscita parodia del Potere presente in un film prodotto durante l'era di Stalin.

E il Grande Terrore colpì anche alcuni dei tecnici che erano impegnati alla realizzazione della pellicola. Come Vladimir Nilse, l'operatore principale, e Zachar Darevskij, il produttore del film. Scomparsi da un giorno all'altro sia dai titoli di testa che dalla vita pubblica tout court. Giustiziati o deportati a causa dei loro trascorsi da dissidenti del regime.

A fare da contraltare al burocrate Byvalov, Strelka. Una ragazza, musicista, autrice in incognito della canzone che da il titolo al film. E archetipo del cittadino ideale. Quello a cui il socialismo è pronto a dare ogni tipo di opportunità: scalare la società. Arrivare fino in cima, se se ne hanno i talenti. Peccato che, a valutare quei talenti, ci siano proprio burocrati alla Byvalov. A secco di cultura, senza propensioni artistiche e in attesa soltanto che il tempo fino alla prossima promozione, passi senza nessun intoppo.         

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