Nel marzo del 1962 Eduardo De Filippo giunge per la prima volta in Unione sovietica, tappa di una lunga tournée che lo porta in giro per mezza Europa. Sue rappresentazioni sono previste a Mosca e Leningrado, come viene chiamata in quel periodo la città di San Pietroburgo.
Il successo di pubblico è straordinario. Lunghe file ai botteghini, ovazioni in sala, richieste di autografi. Eduardo è stupito e commosso per l’enorme affetto che il pubblico russo gli riserva. Le persone accorrono in massa per vederlo recitare dal vivo in lingua originale.
Ma De Filippo è già conosciuto e apprezzato nella versione di G. S. Batyreva, prima traduttrice del commediografo napoletano e curatrice, negli anni Ottanta, della pubblicazione delle sue commedie più famose. È un trionfo che supera le barriere linguistiche e le criticità di una trasposizione che deve fare i conti con espressioni del parlato dialettale e con elementi propri della cultura partenopea.
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La copertina del libro |
Natale Fioretto, docente di Traduzione dal russo all’Università per stranieri di Perugia, affronta questo tema nel saggio “Dal Vesuvio alla steppa. Il teatro di Eduardo in russo” (Graphe.it Edizioni) e racconta la sua passione per De Filippo, "espressione di una napoletanità non folcloristica".
De Filippo stesso considerava universali e perciò traducibili in qualsiasi lingua i temi delle sue commedie. Eppure delle discrepanze tra testo originale e traduzione sono inevitabili.
La sintesi sta nel concetto di adattamento: il traduttore si sforza di comprendere ciò che l’autore vuol dire realmente e di esprimerlo, adattandolo, a quanto ciascuna lingua può offrire in termini lessicali e culturali. Un’operazione che a volte riesce alla perfezione, altre meno. Un esempio? Natale in casa Cupiello, in cui il personaggio di Luca si dedica animo e corpo alla costruzione del “presepio”, un’usanza che a Napoli assume connotati del tutto particolari. In russo non esiste un termine equivalente: la Batyreva lo tradusse con “greppia”, “grotta”, che è comunque lontano dall’idea cattolica della Natività.
Cosa, invece, si conserva intatto del teatro di Eduardo in lingua russa?
La grandissima umanità dei personaggi. De Filippo porta sulla scena una nuova immagine dell’italiano, lontana dallo stereotipo dello spaccone. I suoi protagonisti sono spesso uomini incapaci di vivere, di misurarsi con una realtà di fronte alla quale sono destinati a soccombere. A volte anche fisicamente, come Luca Cupiello. I personaggi maschili di Eduardo sono vicini a quelli di Dostoevskij, hanno il medesimo dissidio interiore. Quelli femminili, invece, sono dei giganti.
La tournée di De Filippo in Unione Sovietica ricevette un’accoglienza trionfale. Come si spiega una tale popolarità?
La critica dell’epoca lo considerava un fenomeno unico nel suo genere: attore, autore e regista al tempo stesso. Il pubblico affollava i teatri per assistere ai suoi maggiori successi, per l’occasione rappresentati in lingua originale con traduzione simultanea in russo. L’entusiasmo in sala era alle stelle. Ma già negli anni precedenti le trasposizioni di Natale in casa Cupiello e Filumena Marturano, solo per citare le più famose, ebbero decine di repliche. È un fenomeno che si spiega facilmente: la cultura italiana è amata in maniera assoluta, quasi idolatrata. Di Eduardo, in particolare, veniva apprezzata anche la sua dedizione al sociale, oltre alla capacità di raccontare storie e situazioni universali: nelle sue opere, Napoli è il mondo stesso e il dialetto napoletano solo uno dei possibili mezzi d’espressione. Ancora oggi è molto amato: tanti dei miei studenti russi, qui a Perugia, lo conoscono e lo apprezzano.
Perché i russi sono così attratti dalla cultura italiana?
È una passione che ha radici antiche. La Russia si è aperta alla cultura occidentale seguendo le orme dello zar Pietro il Grande, un instancabile viaggiatore. Da quel momento in poi, i canoni culturali europei, soprattutto italiani e francesi, hanno influenzato moltissimo l’arte, la letteratura, il teatro, la musica, l’architettura. Pensiamo a San Pietroburgo, dove celebri architetti italiani hanno lasciato la loro impronta indelebile. Oppure ai tanti politici e scrittori che soggiornarono nel Belpaese e se ne innamorarono.
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