Una statua dedicata alla poetessa Marina Tsvetaeva (Foto: Ruslan Krivobok / Ria Novosti)
Quando la madre di Marina Tsvetaeva, l'8 ottobre 1892, diede alla luce una bambina, invece del maschio che ardentemente desiderava, si consolò pensando che “almeno sarà una musicista”.
Tali furono gli auspici che accompagnarono la nascita di Marina Tsvetaeva. Ligia al desiderio della madre, la giovane imparò a suonare il piano, ma con il tempo le sue dita, anziché annotare note sullo spartito, iniziarono a comporre versi appassionati.
Marina Tsvetaeva viveva di poesia e per la poesia. “Per lei, - scrisse il premio Nobel Iosif Brodskij, poeta e scrittore, - non vi era alcuna virgola, alcun trattino tra parola e azione, tra arte e vita: Tsvetaeva le univa con il segno dell’uguale”.
Su un tavolo vuoto, accompagnata da una tazza di tè e una sigaretta, la poetessa si dedicava quotidianamente alla scrittura, traducendo il suo mondo unico in poesie, saggi, prosa o lettere, che scrisse a centinaia, seducevano coloro che le leggevano o le ricevevano.
Al pari dell’amica Anna Akhmatova, Tsvetaeva scrisse dell’amore in tutta la sua intensità. I suoi versi potevano essere crudi e intimistici, e trattare dell’amore conosciuto e inconoscibile:
Ma il mio fiume - col tuo fiume / La mia mano - con la tua mano / potrebbero non incontrarsi mai, gioia mia, finché l’alba non raggiungerà il tramonto
La poetessa Marina Tsvetaeva, 1925, ritratta da Petr Shumov (Foto: Ufficio Stampa) |
La scrittura era il fuoco che alimentava continuamente la sua vita. Amava il marito, Sergei Efron, e i figli Ariadna, Irina e Georgy in maniera possessiva, e a dispetto dei numerosi amanti, uomini e donne, rimase loro fedele sino alla fine dei suoi giorni. Il suo spirto era infinitamente libero.
In un lettera a un amico, Efron scrisse che “Marina è una creatura passionale (…) Nella cultura, idolatra gli eroi, nella vita i poeti e gli amanti”.
Si trattava di passioni terrestri e infatuazioni intellettuali, quasi sempre più intense di quelle reali. Amore e poesia sono i temi centrali della toccante corrispondenza che nell’estate del 1926 Marina Tsvetaeva intrattenne con i poeti Boris Pasternak e Rainer Maria Rilke. Le sue poesie trattano per lo più d’amore, e in esse l’autrice si spoglia senza mai arrossire. “Esistono sentimenti così seri, così autentici, così grandi da non temere vergogna né pettegolezzi”, scrisse.
Ne “Il poema della montagna” e “Il poema della fine” (1924), considerate le sue opere più belle e importanti, la poetessa dichiara a gran voce il suo amore per Konstantin Rodzevich, un ex compagno d’armi del marito, per il quale rischiò di porre fine al suo matrimonio.
Quello che segue è un brano tratto dalla traduzione di Serena Vitale di “Poema della fine”:
Cerca di capire: insieme eravamo più interi. Veri. No, non mi getto nell’acqua. Dovrei lasciare il tuo braccio. Mi stringo mi aggrappo. Non è marito il ponte: eterno tra - rive e vite - passare infinito di amante. Mi vuoi strappare? Con tutte le radici! Edera e zecca. Ventosa!.
Senza una patria
“Odio il mio secolo, perché è il secolo delle masse organizzate, che non sono più un elemento libero”. Marina Tsvetaeva visse in un’epoca strana e turbolenta, contro la quale protestò invano e che l’avrebbe ferita profondamente.
Grazie al successo di “Album serale” (1912), il suo primo volume di poesie, pubblicato a sue spese, Tsvetaeva entrò a far parte dei circoli culturali di Mosca, dove tutti gli artisti e gli intellettuali seguivano qualche movimento d’avanguardia. Tsvetaeva ammirava molti dei poeti a lei contemporanei, e in particolare Aleksandr Blok, Osip Mandelstam, Anna Akhmatova e Vladimir Majakovskij, ai quali dedicò numerose poesie. Tuttavia, scelse di non identificarsi con alcun movimento letterario: era un’individualista e, dunque, contraria al pensiero dominante che all’epoca imperava nell’arte, e che dopo la Rivoluzione russa del 1917 il partito di Lenin tentò di piegare a proprio vantaggio.
Quando Sergei Efron decise di unirsi all’Armata bianca per combattere i bolscevichi, la Rivoluzione stravolse radicalmente l’esistenza di Tsvetaeva, così come quella di coloro che le erano vicini.
Rimasta sola a Mosca, Marina conobbe la miseria, al punto da riuscire a fatica a prendersi cura delle giovani figlie. In uno dei suoi diari si legge la sconvolgente domanda: “Chi potrò sfamare oggi? Alia (Ariadna) o Irina?”.
Nel 1919 l’artista mandò le figlie nell’orfanotrofio di Kuntsevo, alla periferia di Mosca; solo pochi mesi più tardi Ariadna fu rispedita a casa con la malaria, mentre Irina morì di denutrizione nell’orfanotrofio. Nel 1920, all’età di 27 anni e ridotta in miseria, Marina decise di mettersi alla disperata ricerca del marito. L’undici marzo del 1922, insieme alla figlia Ariadna, lasciò la Russia alla volta di Berlino, dove si riunì a Sergei Efron. Due mesi più tardi la famiglia si trasferì a Praga, dove il marito ottenne un borsa accademica e Marina ricevette un piccolo sussidio da parte del governo ceco.
Gli anni trascorsi in Cecoslovacchia furono per Marina Tsvetaeva i più felici e coincisero con il suo periodo di massima creatività. Il 1° febbraio del 1925 nacque Georgy, detto Mur, il terzo figlio della coppia.
Prima di tornare in Unione Sovietica, la famiglia trascorse quasi diciassette anni in esilio in Francia (in questo periodo Efron fu accusato da molti di lavorare per i servizi segreti dell'Nkvd).
La maggior parte delle opere di Marina Tsvetaeva risalgono a questo periodo: “Separazione”, “Versi a Blok”, “Lo zar fanciulla”, i già citati “La poesia della montagna” e “Il poema della fine” e “Auguri per il nuovo anno” (1926), composta dopo la morte del poeta Rilke.
Le sue posizioni politiche, però, rendevano difficile trovare qualcuno disposto a pubblicare le sue opere e, a partire dagli anni Trenta, Tsvetaeva iniziò a dubitare seriamente che i suoi versi avrebbero mai trovato dei lettori. A dispetto degli sforzi compiuti da Pasternak, i suoi scritti rimanevano sconosciuti sia in Russia che all’estero. “Qui non sono necessaria; lì sono inimmaginabile”.
Una strada senza uscita
Il ritorno di Tsvetaeva in Unione Sovietica, avvenuto il 18 giugno del 1939, si tradusse per la poetessa in una lenta condanna a morte. Ariadna e Sergei furono arrestati, e durante il suo esilio molti dei suoi amici avevano subito gli orrori del regime di Stalin. Marina smise di scrivere: un atto che segnò il suo suicidio morale e, pochi mesi dal ritorno in patria, Mur la trovò impiccata nella sua casa di Elabuga. Gli aveva lasciato un biglietto: “… Sono follemente innamorata di te… Dì a papà e ad Alia - se li vedi - che li ho amati sino all’ultimo e spiega loro che ho imboccato una strada senza via d’uscita”.
Marina Tsvetaeva è scomparsa il 31 agosto del 1941, ma le sue poesie continuano a vivere e negli ultimi decenni hanno trovato nuovi lettori in tutto il mondo.
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