Paolo Villaggio, l'altro Dostoevskij

L'attore italiano, molto amato nella Federazione, riceve il Premio Gogol e racconta il suo amore per la letteratura russa e i film sovietici

Insignito del Premio Gogol in Italia perché "ha dato un seguito all'indagine sull'uomo umiliato e offeso avviata dal maestro russo con il racconto Il cappotto". Parliamo di Paolo Villaggio, attore italiano, padre del tragicomico “Fantozzi”, scelto dalla giuria della quarta edizione del premio italiano, promosso dall’omonima associazione culturale e dalla Fondazione internazionale di ricerche umanistiche Tolleranza, come il più degno a riceverlo.

Alla soglia degli 80 anni, Villaggio, poche ore prima della cerimonia di premiazione del 5 novembre 2012, confessa tutto il suo amore per la letteratura russa e il ruolo fondamentale nel suo percorso di crescita come uomo e come attore. "Penso che mi abbiano dato l’onore di ricevere questo premio perché a chi è venuto ad incontrarmi ho raccontato di conoscere a menadito Memorie dal sottosuolo e Delitto e Castigo di Dostoevskij. Quando ero ragazzino non c’era la Tv e le mie serate le trascorrevo a leggere e a discutere di libri. Sentivo uno strano rapporto di parentela con Gogol e Cechov, mi sentivo molto vicino a loro nell’essenza del carattere, vicino al loro racconto dell’anima".

Tornando al personaggio del sottomesso Fantozzi, come si rapporta al protagonista de Il cappotto, Akakij Akakievich?
La figura del sottomesso è una figura storica. In ogni cultura c’è sempre la distinzione tra il padroni e i sottomessi. Addirittura nell’impero romano l’80 per cento della popolazione era formata da schiavi. La condizione di umiliazione è forse il modo per descrivere esattamente tutto il proletariato russo dalla sua nascita fino ai giorni nostri. Mi sembra che la cosa non sia molto cambiata, c’è ancora una differenza tra il lavoratore russo e i turisti pieni di rubli che invadono il mondo. Fantozzi e Akakievich appartengono alla stessa schiera degli umiliati.

Si racconta che a un Festival di Mosca alla battuta fantozziana “La corazzata Potemkin è una c*g*ta pazzesca” è scattato un applauso fragoroso.
È vero. Ero in sala Lenin, gremita da 12.000 persone, proiettarono prima La corazzata Potemkin e poi Il secondo tragico Fantozzi. Alla battuta ci fu un applauso da esplosione nucleare perché era una liberazione da un’oppressione che ho subito anch’io. Da ragazzo sfigato qual ero, infatti, andavo tutti i sabati insieme a De Andrè a vedere una serie di film sovietici, tra i quali la mitica Corazzata. Del resto “La corazzata Potemkin è una c*g*ta pazzesca”, che adesso dà il nome al mio ultimo spettacolo teatrale, è stata una battuta epocale. Se in Italia perché ha rappresentato un’autocritica contro chi stabiliva delle regole come la Chiesa, per la Russia può essere stata la prima incrinatura vera a tutto il sistema sovietico.

Lei, quindi, ama i film e tutta la cultura russa?
Penso che Aleksandr Nevskij di Ejzenshtejn con la musica di Prokofev sia uno dei più bei film di tutti i tempi. I balletti del Bolshoj sono incredibili, della letteratura russa ho già detto. Non per niente Pierino e il lupo di Prokofev è uno dei lavori che io ho portato in scena.

C’è qualcosa in particolare che ricorda della Russia?
Tre notti trascorse a San Pietroburgo, che penso sia una delle città più affascinanti del mondo, in occasione del compleanno di mia moglie. Il sole che tramontava dopo le 23, colorando le cupole dorate dei palazzi di Rastrelli voluti da Pietro il Grande. Mi piacerebbe andare in Transiberiana, vedere il lago Bajkal del quale si parla ne Il maestro e Margherita, il mar Caspio che, poi, è anch’esso un lago sul quale si affacciano le montagne innevate anche d’estate...

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