Li Galli, il rifugio di Nureyev

Il ballerino russo venti anni fa dava l'addio all'isola, eletta capitale della danza dal predecessore Massine. La testimonianza di chi li conobbe

Nel settembre di vent’anni fa, precisamente il 3 settembre 1992, Rudolf Nureyev salutò per l’ultima volta la sua isola, Li Galli, certo che non vi avrebbe più fatto ritorno.

Racconta chi lo vide che prima di salire sulla lancia che lo riportava sulla terraferma baciò più volte quegli scogli selvaggi divenuti suo rifugio. La malattia che pochi mesi dopo, nel gennaio del 1993, avrebbe posto termine alla sua esistenza, lo aveva condotto sull’isola a Ferragosto così minato nel fisico che - ricorda il signor Pietro, oggi amorevole custode di Li Galli, allora fidato traghettatore di Nureyev – era costretto ad indossare un pesante cappotto.

Nella sua ultima estate sul piccolo arcipelago di fronte a Positano il ballerino russo dovette pensare al sogno ormai svanito di fare dell’isola un eden dell’arte della danza, un approdo di sirene tersicoree.

Non per primo si era cullato in quel desiderio: un altro ballerino e coreografo russo, Léonide Massine, ci aveva provato per decenni, certo con più concreti risultati, ma la furia della natura e forse anche l’inedia umana, avevano infine avuta la meglio. Una trama di relazioni russe nel 1917 aveva condotto l’artista dei Ballets Russes di Djagilev (Leonid Mjasin prima della francesizzazione del suo nome), allora in tour al Teatro di San Carlo di Napoli, nel villaggio di pescatori di Positano, ospite del connazionale Mikhail Nikolaevic Semenov – scrittore e pubblicista – che viveva con la moglie in un arroccato mulino adattato a dimora estiva.

Come racconta Massine nella sua autobiografia La mia vita nel balletto (traduzione italiana a cura di Lorena Coppola, Fondazione Léonide Massine, Napoli 1995), la prima notte ivi trascorsa, notò dalla finestra un’isola deserta rocciosa a parecchie miglia dalla costa. Chieste notizie a Semenov il mattino seguente, scoprì che si trattava delle tre isole dei Galli appartenenti alla famiglia locale dei Parlato, che vi si recava solo per la caccia alle quaglie.

Attraccato il giorno stesso sull’isola, Massine fu sopraffatto dalla sua bellezza, tanto da giurare a se stesso che un giorno sarebbe stata sua. L’avrebbe acquistata nel 1924, guadagnandosi il soprannone di “russo pazzo che ha comprato un’isola rocciosa dove solo i conigli potrebbero vivere”. Ancora si racconta a Positano di quando Antonietta Parlato, subito dopo la vendita per 300.000 lire, se ne andasse sulla spiaggia urlando ai quattro venti, in dialetto locale: “Aggio trovato ‘u pazzo chi s’è accattato ‘u scoglio” (“Ho trovato il pazzo che ha comprato lo scoglio”, ndr).

(Foto: Valentina Bonelli)

In effetti Massine dovette combattere costantemente contro le asperità del terreno e la furia del mare: se riuscì a terrazzare un versante dell’isola adibendolo a vigneto (oggi un vasto orto fa mostra di sé), vano fu il suo tentativo di farvi durare un anfiteatro. Lo volle sul modello di quello visto a Siracusa, ma nel 1964 una tempesta lo demolì e la volontà di ricostruirlo non poté nulla contro la forza dei marosi.

Quella natura tanto ostile era però anche fonte di ispirazione per il coreografo che - come racconta ancora il signor Pietro memore dei racconti del suocero che allora lavorava sull’isola – amava accoccolarsi come in un bozzolo in un giaciglio ombreggiato dalle fronde di lentisco, tra i pochi arbusti, insieme al corbezzolo, resistenti al vento e al sale dell’inverno. Anche sul versante più roccioso dell’isola Massine aveva trovato un suo rifugio, sull’estremo lembo proprio a  picco sul mare, dove si isolava a pensare alle sue coreografie. 

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(Foto: Valentina Bonelli)

Più semplice fu edificare Villa Massine, che nella ristrutturazione del 1937 vide la mano dell’architetto Le Corbusier, così come l’ineffabile belvedere con al centro la fontana mosaicata che guarda sui faraglioni di Capri, e dalla parte opposta le varie terrazze aggettanti su Positano e sulla costiera amalfitana.

Nel suo paradiso Massine viveva molti mesi all’anno, insieme al padre: stava sulle sue, non dava confidenza, come ancora ricordano i più anziani abitanti di Positano e i loro discendenti, che vollero comunque dedicargli un’epigrafe sul molo. Perché oltre all’ispirazione che sosteneva gli venisse dalla naturale bellezza dell’isola, il suo obiettivo era fare di essa un centro artistico che riunisse giovani danzatori, coreografi, compositori, pittori, portando avanti in tal modo l’idea di Djagilev.

Purtroppo non vi riuscì: dopo la sua morte, avvenuta nel 1979, il figlio Lorca non riuscì a sostenerne le spese e nel 1989 vendette Li Galli proprio a Nureyev, che se ne era invaghito sette anni prima, quando era stato invitato a Positano per ritirare il Premio “Léonide Massine per l’arte della danza”.

Per lui era prioritario, in quel solo mese di agosto in cui riusciva ad approdarvi, isolarsi dal mondo. Raccontano che in uno dei vari edifici dell’isola aveva fatto predisporre una stanza con le finestre oscurate, dove poteva non sentirsi, come sempre era, sotto i riflettori.

Amante della sofisticata mondanità di Positano, Nureyev scendeva però a terra più spesso di Massine, come evoca una targa sul lungomare, per una festa nelle ville dei conoscenti o una cena al ristorante La Buca di Bacco. Tornato sull’isola si rifugiava nella villa, arredata con il suo opulento gusto orientale: azuleios turchi, tappeti persiani, bronzi anatolici. Ma il luogo che più lo rappresentava era la sala ballo predisposta nella torre saracena, coperta di specchi, circondata da sbarre, con parqué di pino rosso.

Scomparsi Massine e Nureyev, la perla della costiera amalfitana non li ha dimenticati: il Premio Positano intitolato a Léonide Massine è giunto quest’anno alla sua 40° edizione e oggi sotto la direzione artistica di Daniele Cipriani ne tiene in vita il lascito. Anche invitando e premiando i migliori artisti russi, come Uljana Lopatkina, Prima ballerina del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, esibitasi sulla spiaggia grande di Positano nel gala dei premiati dell’edizione 2012.

Quanto all’isola di Li Galli, passata ormai in mano a privati, essa deve tuttavia conservare un soffio dello spirito tersicoreo russo se Uljana Lopatkina, giuntavi in visita privata, non ha resistito all’impulso di immergere i suoi splendidi piedi nell’acqua che la lambisce. Proprio come era solito fare Nureyev non appena vi approdava. 

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