La casa dell'inventore delle prime navicelle spaziali, una collezione di vecchie macchinette da gioco, un leggendario ospedale psichiatrico e il primo acquedotto della Russia. Che cosa li accomuna? La città di Mosca. La nostra inviata ha visitato per Russia Oggi alcuni insoliti musei della capitale russa.
In via Baumanskaja è parcheggiata una vecchia Moskvich blu. Macchine come questa circolavano in Urss negli anni Sessanta. Sulla porta c'è una targa con scritto "Museo delle macchine da gioco sovietiche", ma il museo in realtà si trova nell'hangar adiacente. Dietro le porte di vetro c'è il passato di quarant'anni fa.
All'entrata, un distributore automatico di acqua: in epoca sovietica in questi distributori erano a disposizione dei bicchieri di vetro sfaccettati, e si poteva comprare dell'acqua gassata con o senza aggiunta di sciroppo. A volte le monete restavano bloccate, e allora spesso si ricorreva al buon vecchio sistema: si dava un pugno alla macchina.
Alla cassa del museo, i rubli di oggi vengono cambiati con le monete da quindici copechi dell'era sovietica: le macchinette da gioco accettano solo quelle. Al centro della sala c'è un pezzo raro: la "Battaglia navale", di colore verde. "Avere in casa un gioco come questo era il tipico sogno di ogni scolaro sovietico nato negli anni Settanta-Ottanta". È stato anche il sogno di Aleksandr Stakhanov. Qualche anno fa lui e un suo amico hanno pensato di procurarsi questo gioco della loro infanzia: "Quando avevo 6 o 7 anni ci giocai con mio padre, in un cinema. Da allora mi è rimasto nel cuore. Ed ecco che ne abbiamo trovato uno nella spazzatura del parco giochi Taganskij. Naturalmente non era in condizioni di funzionare, ed è stata proprio l'epopea della ricerca dei pezzi di ricambio a suggerirci l'idea di creare un museo".
I pezzi esposti sono stati raccolti in tutta la Russia: un tempo si trovavano nelle stazioni ferroviarie, nei cinema, nelle colonie dei pionieri. Di norma, con tre macchine fuori uso i fondatori del museo riescono a ricomporne una funzionante. Attualmente il museo ospita circa 60 macchine da gioco prodotte tra il 1975 e il 1991 sul modello di giochi stranieri. Venivano costruite nelle fabbriche militari in cui avanzava della capacità produttiva. Le macchinette sovietiche non erano pensate per giocare a soldi, ma vi si potevano vincere dei premi.
Nel museo si può sparare alle papere meccaniche con un fucile che assomiglia molto a quelli veri, provare a spegnere un incendio, o saggiare la propria conoscenza dei segnali stradali. "L'organizzazione che ideava queste macchinette cercava di far sì che i giochi stimolassero il meno possibile l'aggressività. Però non ci riusciva, e i giochi più amati erano quelli in cui si sparava". Nel museo c'è un gioco chiamato "L'attacco dei siluri". Bisogna guardare attraverso un periscopio, come se si fosse in un sottomarino, e cercare di colpire le navi che appaiono sull'orizzonte marino.
Poco distante c'è una famiglia che gioca a hockey. Il bambino ha un'espressione pacata, in fondo sono cose già viste; i genitori invece, con un sorriso da un orecchio all'altro, giocano con molta più grinta. Naturalmente qui non c'è la grafica dei computer, e il gioco delle corse automobilistiche non ti permette di scegliere né una Porsche né una Ferrari. Ma il bello non sta nella tecnologia, bensì nel colorito, in questa full immersion nella realtà sovietica.
È la stessa sensazione che si prova anche nella casa-museo del più grande ingegnere aerospaziale e costruttore di navicelle dell'Urss; ma qui si tratta di tutt'altro aspetto della realtà sovietica. La casa-museo si trova vicino alla fermata del metrò VDNKh, nel quartiere più "spaziale" della città. Non la si nota subito, immersa com'è tra le nuove costruzioni moscovite.
Circondata da uno steccato verde, è una villetta a due piani dall'architettura rigorosa - un regalo del governo sovietico a Sergej Korolev per aver realizzato il primo satellite artificiale della Terra. Furono le scoperte di questo ingegnere a rendere possibile anche il primo volo dell'uomo nello spazio. Korolev visse nella casetta del 6° vicolo Ostankinskij dal 1959 al 1966. Larisa Filina lavora nel museo ormai da trent'anni, e conosceva bene la moglie dell'accademico Korolev. "Tutto ciò che è custodito nel museo ci venne affidato dalla vedova dell'accademico, Nina Koroleva. Fui diverse volte a casa sua e l'ascoltai suonare il pianoforte. Glielo aveva regalato Sergej Pavlovich negli anni Cinquanta, era della marca tedesca Steinway. A Korolev piaceva molto ascoltare sua moglie suonare e cantare. Il pianoforte è uno dei miei pezzi preferiti nel museo".
Nella casa tutto è rimasto esattamente com'era quando era vivo lo scienziato, perfino gli interruttori della luce. Il frigorifero della fabbrica Zil, le edizioni periodiche dei classici, il televisore «Rubin» - pare quasi di poterlo accendere e scoprire che siamo nel 1961, e che a reti unificate stanno trasmettendo un documentario sul primo volo dell'uomo nello spazio. Accanto alla scala c'è una scultura intitolata «Verso le stelle»: un uomo regge tra le mani un razzo che punta verso il cielo. La statua è firmata dai primi astronauti, che definivano Korolev il loro "padre spaziale". "I Korolev erano molto ospitali, venivano spesso a trovarli amici e parenti. Uno degli ospiti più assidui era Jurij Gagarin, - racconta la direttrice del museo, Larisa Filina. - Festeggiavano insieme le feste comuni e, naturalmente, quelle legate all'astronautica, quando Sergej Pavlovich non era in missione - così si chiamavano le trasferte nei poligoni spaziali". Nel soggiorno ci sono due poltrone sormontate da un quadro, un paesaggio boschivo. Korolev amava leggere qui, diceva che "andava a leggere nel boschetto".
La casa di Korolev è uno di quei musei dove bisogna assolutamente farsi condurre da una guida. Ogni singolo oggetto possiede una storia che basterebbe a riempire un libro. Se la casa di Korolev è un monumento di storia, il Museo dell'acqua è piuttosto un monumento all'ingegneria. Anche qui serve una guida. Il museo si trova nel sito di un'ex centrale di pompaggio, nei pressi del metrò «Proletarskaja». Per entrare bisogna suonare il citofono. Vi sono alcune sale in cui si spiega come l'acqua corrente arriva fino ai nostri rubinetti, e come usarla. Tra gli oggetti esposti vi sono documenti storici, antichi disegni tecnici e plastici funzionanti dei sistemi contemporanei degli acquedotti e delle reti fognarie.
Nel museo è custodito un frammento del primo acquedotto di Mosca, costruito nel XIV secolo per portare l'acqua al Cremlino. I tubi sono ricavati da tronchi di quercia, - spiega Lilija Kolodina, che lavora nel museo. Il primo sistema di approvvigionamento idrico centralizzato, invece, comparve a Mosca solo nel 1804. Fu il primo in Russia. L'acqua veniva convogliata in apposite fontane dalle quali poteva poi essere attinta. Inizialmente ve n'erano solo due in tutta la città, poi se ne aggiunsero altre cinque. Dalle fontane fino alle case l'acqua era trasportata sui carri dagli acquaioli.
Nella sala dedicata alla storia si trova un congegno a prima vista bizzarro, che assomiglia a un largo collare per cavalli: un tempo per le fognature si impiegavano tubi di questa forma. "A Mosca la rete fognaria è comparsa più tardi che in Europa, però in compenso questa è una delle poche città al mondo dove tutti gli edifici e le costruzioni sono dotati di fognatura".
Su uno dei banconi è esposta un'enorme palla di cuoio: con queste palle si puliscono le tubature. Accanto ad essa ci sono i plastici di varie costruzioni, tutti si possono accendere e vedere in funzione. Uno schema mostra come vengono purificate le acque nere provenienti dai gabinetti prima di venire reimmesse nei fiumi. L'acqua entra in enormi raccoglitori di diametro simile a quello di una galleria del metrò. Dapprima viene ripulita dai rifiuti più grossi, poi dalla sabbia, poi passa in apposite vasche dove le impurità precipitano sul fondo. Successivamente, nell'acqua vengono immessi dei microorganismi che si nutrono degli agenti inquinanti. Poi di nuovo vasche di sedimentazione, filtri, e solo dopo l'acqua viene versata nel fiume.
"La purificazione dell'acqua è il mio argomento preferito: è molto utile alla città, - dice Lilija, che per lungo tempo ha lavorato in un laboratorio di analisi dell'acqua in entrata nella città di Mosca. - L'acqua subisce un notevole trattamento, è inquinata, e in generale in Russia meno dell'1 per cento dell'acqua è potabile senza essere prima trattata. L'acqua a Mosca viene talmente purificata che la si può bere direttamente dal rubinetto. Se ci finisce dentro qualcosa, basta lasciar depositare le impurità".
L'ultimo indirizzo nella mia lista è quello di un altro museo specializzato. È dedicato al più grande ospedale psichiatrico di Mosca, denominato ospedale n° 1. L'istituto di cure fu costruito nel 1984 e fin dai suoi primi anni di attività venne considerato un centro all'avanguardia. In città lo conoscono tutti, esistono persino delle canzoni che ne parlano. Il museo fu fondato circa trent'anni fa da una delle dottoresse che vi lavoravano, per i pazienti e a scopo terapeutico. Oggi chiunque lo desideri può venire a visitarlo, presentando una richiesta al primario, che deve dare la sua autorizzazione. E ne vale davvero la pena: il museo occupa alcune stanze in uno degli edifici dell'ospedale. Vi si può leggere non solo la storia di questa clinica, ma anche la storia della psichiatria in generale. Vi si racconta dei metodi di cura e dei cambiamenti nell'approccio verso i pazienti.
Arkadij Shmilovich, direttore del museo, lavora nella psichiatria da quando aveva 15 anni: "Ho già 50 anni di anzianità". Parte degli stand sono dedicati ai principali medici dell'ospedale. Arkadij Lipovich mi indica una delle fotografie. "Valentin Morkovkin mi assunse al lavoro, faceva un gran chiasso quando camminava, ma era una persona dal cuore d'oro. Tra l'altro, fu ai suoi tempi che venne introdotta in psichiatria la procedura dell'emodialisi per assorbimento (pulizia del sangue, n.d.a.), che permetteva di eliminare dall'organismo le sostanze tossiche responsabili del deterioramento dello stato psichico del paziente. Viene impiegata ancora oggi". Al centro di una delle sale c'è un tavolo che ha più o meno la stessa età dell'ospedale. È stato restaurato da uno dei pazienti: nel museo sono esposti i loro manufatti e disegni - è la cosiddetta terapia occupazionale. "I pazienti tessevano, intrecciavano canestri, pescavano, pattinavano, lavoravano nel frutteto".
In una vetrina c'è un modulo per l'anamnesi del 1926, è di un paziente con la diagnosi di delirium tremens, che la moglie aveva affidato all'ospedale. Contiene una lunghissima lista di domande sulla vita del paziente: i suoi genitori avevano sofferto di malattie psichiche, ritardo mentale, stranezze del carattere o delle abitudini? Erano bigotti o particolarmente religiosi?
"In base ai dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, attualmente una persona su dieci soffre di un qualche disturbo psichico che richiede l'intervento degli specialisti. Spesso però la popolazione ha un atteggiamento inappropriato verso i malati di mente. E negativo è anche l'atteggiamento nei confronti della psichiatria in generale. Il museo ha appunto lo scopo di cambiare questa situazione".
L'articolo è stato pubblicato in versione ridotta sul numero cartaceo di "Russia Oggi" del 6 settembre 2012
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