Il regista Boris Serebrennikov, al centro, con le protagoniste del suo "Izmena": Franziska Petri, alla sua destra, e Albina Dzhanabaeva (Foto: Anna Casazza)
Aveva dichiarato di non amare particolarmente i festival. "Non mi sento a mio agio. Mi rilasso solo dopo la proiezione del film", confessa nel suo blog. Ma sul red carpet della 69esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il regista russo Kirill Serebrennikov non si dimostra affatto a disagio.
Attorniato da giornalisti e fotografi, Serebrennikov arriva al Lido con tutto il peso dell'eredità lasciatagli da Aleksandr Sokurov, vincitore con il "Faust" del Leone d'Oro all'edizione 2011. Un'eredità pesante, difficile da gestire anche per lui, che in patria si è fatto apprezzare per quella capacità sorprendente di elaborare soggetti classici con rivisitazione più originali, sicuramente stravaganti. Lo ha fatto negli anni con le sue numerose produzioni teatrali, e lo ha confermato nel 2006 con "Izobrazhaya zhertvu" ("Playing the victim"), con il quale ha vinto la prima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.
Ora la sfida si sposta a Venezia e si rivela, forse, ancora più dura, avendo alle spalle quel colosso del Faust che ha lasciato dietro di sé non poche aspettative per quanti amano e seguono il cinema russo. "L'Italia è comunque un Paese che mi porta fortuna", ha confessato, quasi incrociando le dita, sistemandosi il berretto bianco calcato in testa.
Questa seconda giornata di festival, baciata dal sole tiepido di fine agosto, è comunque tutta per lui, che si lascia travolgere dai flash dei fotografi asserragliati nella terrazza dell'hotel Excelsior. Davanti alla piscina con vista mare, Serebrennikov, accompagnato dalle attrici Franziska Petri e Albina Dzhanabaeva, racconta il suo "Tradimento" (il titolo del film in russo è proprio "Izmena", che significa adulterio). Una storia dal sapore antico, che racconta l'incontro tra due sconosciuti che scoprono l'infedeltà dei rispettivi partner. "È un'opera che vuole parlare di gelosia, inganno, delusione - ha spiegato -. Mi sono sempre scontrato con questi sentimenti, così come tutti voi".
Non è la prima volta che partecipa a festival cinematografici in Italia. Che
impressione le fa essere qui a Venezia?
Ho vinto
nel 2006 a Roma con "Izobrazhaya zhertvu". Ma è la prima volta che vengo a Venezia. Per me è una grande gioia. C'è un ottimo programma, bei
film. E un'organizzazione strepitosa.
Sente il
peso di dover in qualche modo competere con il "Faust" di Sokurov?
Direi
proprio di no. Nell'arte non ci deve essere competizione. E soprattutto, non è una cosa misurabile: non si può contare quanto ci separa da un film come quello di
Sokurov. L'arte è soggettiva.
Film russi a Venezia |
Conosce
gli altri due registi russi presenti insieme a Lei a Venezia, Alexei Balabanov e Lubov Arkus?
Certo.
Sono registi bravissimi. Alexei Balabanov è da diversi anni uno dei
direttori più affermati sul panorama
cinematografico russo. Tutti i suoi film sono molto noti. E realizza pellicole
sagge ed emozionanti.
E gli
italiani?
Conosco
perlopiù i registi vecchi, quelli che
hanno fatto la storia. Adoro Fellini, Pasolini. Ma se dovessi fare il nome del
mio regista italiano preferito, direi senza ombra di dubbio Visconti.
Tornando
al Festival. Chi vincerà secondo lei il Leone d'oro?
Non nego
di fare il tifo per noi, ovviamente sostengo il cinema russo. Ma se non
assegnano il premio a Thomas Anderson, giuro che mi butto in piscina in questo
istante (ride).
Perché ha deciso di affrontare un film proprio sul tradimento?
Con
questo film ho voluto indagare a fondo dentro me stesso e dentro il genere
umano. Volevo studiare uno dei tanti aspetti dell'amore. Capire come reagisce
l'uomo davanti a situazioni così difficili. Intendiamoci: si
tratta solo di una delle tante facce dell'amore. Ovviamente non è l'unica. Ci potrebbero essere mille altre cose da dire e
da raccontare.
C'è forse una cosa che accomuna questa pellicola al suo film
precedente, "Izobrazhaya zhertvu": il passaggio dalla condizione di
vittima a quella di carnefice. È così?
Effettivamente, direi di sì. Nel film precedente era un
tratto evidente. Ma anche qui si percepisce. Al giorno d'oggi il confine tra
vittima e carnefice è molto sottile. Si fa presto a
passare dall'altra parte della barricata.
Cosa ne
pensa del futuro del cinema?
Se
parliamo di industria cinematografica, non c'è
dubbio che per i prossimi anni saremo ancora molto legati a Hollywood e
Bollywood: per il semplice motivo che si tratta di un apparato di produzione
immenso, al quale ben presto si aggiungerà anche la Cina. Se invece facciamo
riferimento al cinema inteso come manifestazione artistica, allora bisogna
investire di più, tenere vive la tradizioni
cinematografiche. Credo infatti che gli investimenti statali in questo campo
siano molto importanti, perché si trasformerebbero automaticamente
in investimenti culturali. Sarebbe un po' come spingere il Louvre, l'Hermitage
o gli Uffizi. Una cosa che ovviamente vale anche per il teatro.
Quanto conosce dell'Italia?
Sono stato moltissime volte a Roma, dove ho diversi amici, così come a Venezia, dove ho trascorso momenti splendidi, però solo come turista. L'Italia è ovunque. Vivo in Russia ma sono circondato da pezzi di Italia: mangiamo italiano, vestiamo abiti italiani, ascoltiamo musica italiana. Mi ritrovo ogni giorno in Italia pur rimanendo a casa mia. L'Europa a fin dei conti è un mondo molto vicino. Siamo tutti uguali, e lo volevo dire con questo film: i problemi che oggi ha la gente sono gli stessi per qualsiasi Paese. Non cambiano solo perché si è di nazionalità diversa. Il dolore parla la stessa lingua. Sofferenza e disperazione non hanno bisogno di essere tradotti.
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