Un leader per il podio. Per disegnare una parabola vincente, 24 anni dopo quella spezzata in finale per l’Urss contro l’Olanda gli Europei di Germania 1988. La Russia cerca per la spedizione in Polonia e Ucraina un fuoriclasse come Rinat Dasaev, atleta simbolo della gloriosa Cccp battuta a sorpresa dagli olandesi.
Erede del mito Lev Yascin, inserito dall’Istituto di Storia e Statistica del calcio nella lista dei migliori portieri degli ultimi 25 anni. Il custode della perestrojka. I colleghi europei guadagnavano milioni, lui un rimborso spese di 400 rubli (10 euro circa) al mese. Pochi movimenti sulla linea di porta, un innato senso della posizione. Essenziale, nessuna concessione allo spettacolo. Diverso da Zenga, Proud’Homme, Pfaff, i migliori portieri d’Europa in attività negli anni Ottanta. L’ex milanista Marco Van Basten con un destro al volo dall’angolo sinistro dell’area di rigore spezzava il sogno sovietico di diventare campione d’Europa. E la carriera di Dasaev, capitano dell’Armata di Lobanovsky.
Unico singolo in una squadra perfetta, robotizzata, dalla tattica esasperata. Un nuovo script di calcio collettivo dall’Est che perse per un battito di ciglia l’occasione di diventare davvero grande. Sei anni prima in Spagna il portiere dell’Urss era eletto tra i calciatori più belli del Mondiale. Alto, sguardo fiero ma rassicurante. Polaroid dell’atleta perfetto. Alla fine dell’Europeo tedesco, a 31 anni, Dasaev era invece inconsapevole simbolo della fine di un’era sportiva, prima che politica. Il Soviet del calcio chiudeva senza una vittoria, come la nazionale di basket di Sabonis, seconda ai Mondiali del 1989.
;
Cominciava il tramonto dell’eroe propaganda, fedele alla linea del Partito comunista prima e dopo il 1985 ma che gli nascondeva di essere musulmano. Una maschera per un ragazzone dalle gambe magrissime, nato ad Astrakhan, città tartara crocevia verso l’Oriente, assediata da Ivan Il Terribile, contesa da turchi, cosacchi e persiani. Il suo sogno adolescenziale era diventare attaccante, divenne invece un portiere “neoromantico”, come lo definì uno dei fratelli Starostin, leggendari proprietari dello Spartak Mosca dove Dasaev giocò dieci anni, mettendo in fila cinque scudetti.
Dopo l’Europeo perso, il governo russo accettò il trasferimento del suo portiere in Spagna, al Siviglia. Rinat si allontanava così dalla moglie Nela, ex campionessa di ginnastica conosciuta in un ospedale, dove entrambi erano ricoverati per un infortunio, e dalla figlia Elmira. Mosca firmò con gli spagnoli un contratto biennale da circa due miliardi delle vecchie lire, finite nelle casse governative. Per Dasaev poco più di un milione e mezzo mensili, soldi investiti soprattutto in vodka. Beve molto, Rinat. Un incidente d’auto in stato di ebbrezza gli provocò un infortunio alla mano. Il Siviglia voleva mandarlo via, il portiere rifiutò il trasferimento al San Gallo, in Svizzera. Poi un altro schianto, a casa sua, a Mosca, dove tornò nel 1991.
Della perestrojka era rimasto poco o nulla, così come della sua famiglia. Anche i suoi vecchi compagni di squadra erano stati risucchiati dall’oblio. Igor Belanov, Pallone d’Oro 1986, pure lui con problemi di alcolismo, veniva arrestato per taccheggio in Germania. Mikhailichenko, il prototipo del calcio secondo Lobanovsky, finiva alla Sampdoria senza lasciar traccia come gli juventini Aleinikov e Sasha Zavarov. Il portierone si salvò di nuovo dopo un lungo periodo in rianimazione. Poi ancora alcol, depressione, un’esistenza da vagabondo. Oltre 20 anni dopo Dasaev, membro del comitato organizzatore dei Mondiali 2018, è risorto dopo aver perso tutto.
Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta