Foto: Ria Novosti
Ottobre 1941, Mosca. Nella città correvano voci insistenti sull’arrivo dei tedeschi a Khimki; allora iniziò la fuga dalla capitale lungo le strade che portavano all’interno del Paese. Un gruppo di otto giovani scava un profondo pozzo sotto l’albergo “National”. Sono tutti studenti dell’Istituto di Educazione fisica e stanno svolgendo una missione di guerra: minare gli edifici principali del centro della città nel caso di una ritirata da Mosca. Mettere le cariche esplosive nel Bolshoj è stata la cosa più semplice, hanno scavato il pozzo senza alcun ostacolo.
Qualche giorno prima, su decisione del governo, quasi tutta la troupe e l’attrezzatura più importante era stata evacuata a Kujbyshev. La collezione di violini Stradivari e i quadri della Galleria Tretjakov erano stati portati alla stazione Kazanskij. Non appena il treno con le collezioni partì, i bombardieri nazisti lanciarono alcune bombe proprio nel punto in cui si trovava prima la locomotiva.
La troupe trascorse nove mesi fuori città. In quest’arco di tempo l’edificio del Bolshoj rimase vuoto: il colonnato all’entrata fu mimetizzato da alcune decorazioni tratte dall’opera classica “Il principe Igor”, le tele del leggendario balletto “Taras Bulba” furono montate sulle barricate. Sull’asfalto della piazza antistante i pittori disegnarono i contorni del teatro e degli edifici attigui: negli mesi successivi questa trovata avrebbe dovuto proteggere gli edifici dall’arrivo di una bomba. Tuttavia, già il 28 ottobre, dopo l’ennesimo segnale di allarme antiaereo, mentre le persone stavano uscendo dal loro rifugio – la fermata della metropolitana “Ochotnyj rjad” – fu lanciata sopra il Teatro Bolshoj una bomba di 500 chili che scoppiò esattamente sull’ingresso principale dell’edificio.
Proprio in quel periodo Mosca, accerchiata dal fronte, stava aprendo la stagione dell’opera e del balletto teatrale. Quasi tutti gli artisti del Bolshoj erano stati evacuati, il teatro stesso era stato chiuso e lo spazio della sua filiale era stato trasformato in un “club” per chi era rimasto. Dalla fine del 1941, nella città svuotata, lavoravano in tutto due teatri: il teatro musicale Stanislavskij e Nemirovich-Danchenko e la filiale del Teatro Bolshoj, tenuta aperta grazie alla lettera al governo scritta dagli artisti rimasti a Mosca.
“L’apertura solenne, se così si può dire, ebbe luogo il 19 novembre 1941. Fu dato un grande concerto; iniziò alle due di pomeriggio, dopo non si poteva: i regolari bombardamenti lo avrebbero impedito, presto l’oscurità si sarebbe addensata. Il momento d’inizio dei nostri spettacoli era un indizio sicuro di come stavano le cose: quando il nostro esercito avanzava verso Occidente il sipario si apriva in orari più consueti. Il primo concerto fu accompagnato da un grande successo e da tre allarmi antiaerei”, ricorda Mikhail Gabovich, ballerino solista e commissario del battaglione d’assalto di Mosca. “Le rigide direttive imponevano che durante gli allarmi antiaerei interrompessimo le prove e gli spettacoli. Al pubblico si consigliava di proseguire fino alla fermata metropolitana “Ploshad Sverdlov” (Piazza Sverdlov, oggi “Ploshad Revoluciji”, Piazza della Rivoluzione, ndr).
All’inizio gli ordini venivano rispettati, poi gli spettatori si rifiutarono sempre più ostinatamente di alzarsi dai loro posti e pretesero la continuazione dello spettacolo. Il pubblico di allora era costituito da corrispondenti di guerra, operai delle fabbriche di armamenti, attivisti del partito, moscoviti e cittadini evacuati da altre città.
Nel frattempo a Kujbyshev il grosso della troupe si stava già attrezzando. All’inizio del 1942, durante l’evacuazione, risuonò per la prima volta la settima sinfonia di Dmitri Shostakovich, che il compositore dedicò alla sua città natale, Leningrado (San Pietroburgo), e all’inizio della Grande guerra patriottica (per i russi è la Seconda Guerra Mondiale, ndr).
Valerija Dulova, solista dell’orchestra evacuata, ricorda: “Discutevamo su quando avremmo potuto iniziare le prove per la Settima sinfonia. Non c’erano spartiti né copisti. Inviarono da Mosca con un aereo speciale i fogli richiesti, nel momento in cui il nemico irrompeva a Mosca. Nel tempo libero dagli spettacoli e dalle prove ci prendevamo cura dei soldati feriti”.
Nel 1943 gli artisti poterono finalmente fare ritorno dall’evacuazione; le due troupe si ricongiunsero. Intano l’edificio del Bolshoj di Mosca era stato praticamente ricostruito; i lavori di restauro non si erano fermati neppure nell’inverno del 1942, a 40° C sotto zero. Dopo l’esplosione della bomba di 500 chili uno dei muri esterni era stato sostituito d’urgenza con dei rinforzi di legno e nella sala la temperatura era uguale a quella esterna.
Dal 1941 al 1945 gli artisti del Teatro Bolshoj non di rado viaggiarono per sostenere con i loro concerti i soldati sovietici. In quattro anni partirono direttamente per la linea del fronte sedici squadre di artisti del teatro che offrirono 1.939 concerti. Stalin comprese la necessità di mantenere le troupe anche negli anni di guerra e non a caso esonerò dal servizio di leva quasi mille persone, benché molti artisti partirono per il fronte come volontari. Lo staff del Bolshoj si esibì con un concerto sui gradini del Reichstag alla fine dell’aprile 1945.
“A Berlino la nostra squadra diede il suo 140esimo concerto dal momento della sua nascita. Nell’enorme edificio semidistrutto del Reichstag c’era ancora odore di bruciato che proveniva dalle scatole consumate e dai mobili in frantumi. A destra dell’entrata vedo sotto l’attrezzatura tre grandi scatole, messe una sopra l’altra. Intuisco che quello sarà il mio palcoscenico per il concerto”, ricorda l’attrice Natalja Michajlovskaja. “Le mani dei soldati mi aiutano a salire sulle scatole. Fino a poco tempo prima qui si era lottato per ogni gradino. Inizio a cantare e sulla parete dell’edificio di fronte è appeso un manifesto in tedesco: Di fronte a un grande obiettivo nessuna vittima è troppo grande. Da ogni lato di questa insolita sala da concerto arrivano soldati con le giubbe annerite dalla polvere da sparo. Molti camminano sostenendosi l’un l’altro e appoggiandosi ai bastoni”.
La fine della guerra fu festeggiata dal Teatro Bolshoj con le suggestive première dei balletti di Sergej Prokofev “Cenerentola” (1945) e “Romeo e Giulietta” (1946).
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