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Il 25 giugno 1988 l’Olanda batteva l’Urss nella finale dell’Europeo in Germania Ovest. Il mito della Cccp del colonnello Lobanovsky, simbolo dell’Est che metteva all’angolo il calcio occidentale, crollava con il gol al volo di Van Basten. Si chiudeva un ciclo. Prima la matricola ungherese Videoton spaventava il Real Madrid nella finale di Coppa Uefa 1985, l’anno dopo la Dinamo Kiev vinceva la Coppa delle Coppe e Igor Belanov il Pallone d’Oro. Infine la cavalcata sovietica all’Europeo, fermata dai tulipani. Poi l’Urss scompare.
L’impossibile parabola di Van Basten dall’altezza del calcio d’angolo destro spezzava il sogno della Cccp. Rinat Dasaev, ora 55enne, l’osservò senza battere ciglio. Miglior portiere del mondo, capitano-saracinesca dell’Urss che spingeva l’Est a darle all’Occidente nel calcio, non solo nel basket o nell’atletica, Dasaev era il guardiano dell’Armata del Colonnello Lobanovsky.
Un modello di squadra perfetta. Tutti avanti, tutti dietro. Il nuovo calcio professionistico, collettivo e memorizzato. In linea con la perestrojka che provava a riformare la macchina Urss. Lobanovsky era un innovatore, altro che Mourinho. Nei primi anni Settanta mosse un paio di pedine dell’establishment politico-militare, insospettendo anche il Kgb, per ottenere un computer. Vinse quasi tutto con la Dinamo Kiev analizzando al pc le qualità atletiche dei suoi discepoli.
Dieta personalizzata per ogni giocatore, misurazione dei passi e delle zone del campo. “Tutto era un numero”, diceva il Colonnello. Una preparazione tattica e fisica esasperata. L’Urss tra il 1986 (Mondiali in Messico) e il 1988 era una schiacciasassi. Anche perché in porta c’era Dasaev. Alto, magro, fiero. Polaroid dell’Urss che vinceva da imprimere nelle menti dell’Occidente. Sei anni prima in Spagna il portiere era eletto tra i più belli del Mondiale. Un mito in ascesa, prima di Van Basten.
A fine Europeo il governo autorizzò il suo passaggio al Siviglia. Dove comparvero i tristi segnali dell’alcolismo. Tornò a Mosca nel 1991 ma la perestrojka era stata solo un bagliore. Senza la maglia dell’Urss il buio si impossessava del suo tramonto sportivo. Un incidente stradale stava per costargli la vita. I suoi compagni erano risucchiati dall’oblio. Mikhailichenko, il giocatore perfetto per Lobanovsky, passava senza traccia nella Sampdoria. Come gli juventini Aleinikov e Zavarov, che conosceva solo la Fiat dell’Italia e fu pagato da Agnelli 5 milioni di dollari nel 1989.
Poi Belanov, Pallone d’Oro 1986, arrestato anni dopo il ritiro in Germania per taccheggio. Il loro sogno sfumato segnava l’incompiutezza del calcio sovietico e dell’Est, smantellato prima di diventare davvero grande. L’esplosione avvenne nel 1985 con la matricola ungherese Videoton - presente alla prossima edizione della Champions League – in vantaggio 1-0 alla fine del primo tempo in finale di Coppa Uefa sul Real Madrid di Michel e Butragueno. L’anno successivo la Dinamo Kiev vinceva la Coppa delle Coppe con dieci/undicesimi dell’Urss titolare. Pochi mesi dopo a Belanov il Pallone d’Oro. Sino alla parabola di Van Basten.
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