Khodorkovsky diventa un film

Uno screenshot del film

Uno screenshot del film

L’ex magnate del petrolio, incarcerato per crimini fiscali, è il soggetto di una pellicola arrivata al Festival del Cinema di Berlino.

Nelle prime inquadrature del film “Khodorkovsky,” lo schermo è completamento nero. Dopo poco, una sottile striscia blu inizia ad allargarsi sempre più, dall’alto del margine superiore dello schermo verso il basso, come se lo spettatore sbirciasse da una camera al buio il cielo luminoso. L’inquadratura si allarga, mettendo in evidenza dopo poco due pompe che estraggono petrolio, in pieno deserto siberiano ammantato di neve.

Il film, rimasto a lungo un’opera poco conosciuta per poi essere accolta calorosamente e con enorme successo al Festival del Cinema di Berlino, ha ricevuto grande attenzione dopo che la pellicola era stata trafugata dall’ufficio del regista poco prima di una proiezione a un pubblico ristretto, creando così grande scalpore.

Sono ormai trascorsi sette anni e quattro mesi da quando l’uomo più ricco di tutta la Russia, il magnate del petrolio Mikhail Khodorkovsky, è stato arrestato all’aeroporto di Novosibirsk con l’accusa di truffa, dopo essere rimasto coinvolto in uno scontro aperto con l’allora presidente Vladimir Putin. Il suo caso ha incuriosito vari creativi e intellettuali in tutto il mondo, tra i quali il regista tedesco Cyril Tuschi che ha diretto il film su Khodorkovsky.

La lunga carcerazione ha trasformato l’imprenditore russo in una vera e propria icona. Negli Anni Novanta furono moltissimi gli oligarchi russi che per accumulare ricchezze aggirarono o applicarono soltanto in parte le leggi, ma Khodorkovsky è stato l’unico a essere arrestato per frode. Secondo i suoi avvocati ciò dipese dal suo crescente coinvolgimento e interesse per il movimento politico di opposizione.

Il caso ha già trasformato questo ex oligarca in una sorta di filosofo-scrittore, ormai accolto dagli artisti russi alla stregua di un collega. Dovendo svolgere ricerche per la sua pellicola, il regista Cyril Tuschi per cinque anni ha viaggiato e intervistato alcuni testimoni in tutta la Russia, per poi riflettere sull’uomo che alle udienze appare sempre stranamente sereno nella gabbia di vetro del tribunale di Mosca.

Il regista ha rivelato di essere rimasto “sopraffatto dall’alone di martirio” che circonda la figura di Khodorkovsky. Per intervistarne amici e colleghi, Tuschi si è recato a Mosca, Londra e Israele. A New York ha incontrato il figlio dell’ex oligarca, Pavel. Per concludere le riprese si è spinto addirittura nella remota città siberiana di Chita, dove è recluso Khodorkovsky, per intervistarne i compagni di prigionia.

Il documentario tedesco è stato presentato ufficialmente poco dopo che un tribunale russo aveva condannato Khodorkosvky e il suo socio in affari Platon Lebedev ad altri sei anni di reclusione. Il processo ha accentuato ancor più l’attenzione per altro in costante aumento che si presta a tutto ciò nell’arte e nella letteratura,  che sempre più spesso prendono Khodorkosvky come soggetto. In Russia, dalla storia  traboccante di repressioni politiche, esili e arresti per generazioni e generazioni, molti scrittori hanno avuto legami e motivazioni personali per essere coinvolti dalla politica, tenendosene alla larga o affrontandola.

Il ritorno del Samizdat?

Il movimento Samizdat si affermò tra scrittori e poeti dissidenti alla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta come un genere letterario, in reazione al ritorno delle politiche repressive dell’era stalinista, dopo la morte del leader sovietico Nikita Krusciov.

Secondo la celebre scrittrice russa Lyudmila Ulitskaya, il caso Khodorkovsky ha riportato in vita quella tradizione. Nel settembre scorso, infatti, Ulitskaya e Khodorkosvky hanno ricevuto un premio letterario per le missive che si sono scambiati mentre il secondo era a Chita, scritti premiati per i loro meriti letterari e pubblicati ogni mese sul quotidiano russo Znamya. Alcuni brani della corrispondenza sono stati pubblicati anche sul quotidiano indipendente Novaya Gazeta.

Entrambi i nonni della Ulitskaya furono incarcerati, per venti anni, e anche alcuni suoi amici degli anni Sessanta subirono la medesima sorte. Per questo motivo la scrittrice ha preso contatto con Khodorkovsky, simbolo emblematico delle sofferenze inflitte alla società russa e archetipo della sua letteratura.

Uno degli scrittori russi che ha pubblicato più opere, Boris Akunin, una volta paragonò l’imprigionamento di Khodorkovsky all’arresto e all’esilio subito da Andrei Sakharov nel 1979 a Gorky, oggi Nizhny Novgorod. Nel momento in cui si mandava in esilio uno scrittore, nessuno poteva credere che l’Urss avrebbe vissuto cambiamenti in senso positivo, ricorda Akunin. Invece, l’eco morale dell’intera vicenda – che vedeva protagonista l’inventore della bomba a idrogeno russa, diventato avversario della superpotenza che aveva contribuito a creare – alla fine non poté più essere ignorata. Perché la popolazione potesse credere nel vento del cambiamento bastò soltanto una telefonata: quella che il segretario generale Mikhail Gorbaciov fece a Gorky.

Akunin oggi dice: “Finché Khodorkovsky non sarà uscito di prigione, tutte le belle parole sulla società civile, i tribunali indipendenti e la lotta contro la corruzione suoneranno vane”. Dopo 22 mesi di udienze, il nuovo verdetto di colpevolezza emesso dalla corte e le molteplici condanne al carcere per i sostenitori di Khodorkovsky, il prigioniero russo più celebre ha fatto il suo debutto letterario, con una serie di articoli, interviste e conversazioni.

Negli Anni Novanta, Victor Shenderovich - commediografo famoso e autore di satire – aveva inserito Khodorkovsvky nell’elenco dei russi più ricchi e aveva detto: “Non appena è stato messo in prigione, il suo vero destino ha preso in mano le redini della sua vita. Oggi Khodorkovsky è il barometro del nostro cambiamento: il giorno in cui sarà libero, il mondo saprà che per la Russia è iniziata una nuova era, un’era migliore”.

In Russia il prezzo da pagare per chi indaga e vuole far luce sull’ingiustizia e la corruzione può essere davvero molto salato, dicono gli scrittori. La giornalista Anna Politkovskaya, l’attivista per i diritti umani Natalya Estemirova e gli avvocati Stanislav Markelov e Sergei Magnitsky sono sempre più considerati dagli scrittori simboli di chi ha perso la vita nella battaglia per la verità e la giustizia.

Forse, come forma di rispetto per l’idea tradizionale di Anton Chekhov secondo cui il protagonista di un’opera deve necessariamente lasciare la Russia o morire, né Shenderovich né altri scrittori o registi russi erano riusciti finora a fare di Khodorkovsky il protagonista di un’opera.

Nondimeno, il suo destino continua a far convergere e diventare una vera comunità coesa un numero sempre maggiore di attivisti dell’élite culturale russa più in vista. Lo scrittore Yuri Rost, nonché artista riconosciuto a livello internazionale, ha detto di essere andato al processo di Khodorkovsky per osservare l’uomo chiuso nella gabbia di vetro e rendere omaggio al “vero coraggio”.

Il regista tedesco Tuschi ha detto di essersi particolarmente interessato alla vicenda per la sfida lanciata da Khodorkovsky, per l’ammirazione nei confronti di un uomo che avrebbe anche potuto chiedere asilo politico agli Stati Uniti ma ha preferito tornare in Russia a bordo del suo jet privato, consapevole del fatto che sarebbe stato rinchiuso in un gulag.

Il film tedesco indaga in che modo i soldi e la prigione possano trasformare la personalità, ma è improbabile che avrà una grande distribuzione e ancor meno che possa influire sulla sorte del protagonista. Mentre la pellicola era ancora in lavorazione, Tuschi si è recato a conoscere Arvo Pärt, il compositore estone, per verificare la possibilità di utilizzare alcuni brani della sua sinfonia “Los Angeles” come colonna sonora del film. Il regista ha detto di aver “sentito del feeling” nei confronti di Arvo Pärt, un altro artista spinto a dedicare una propria opera, in questo caso una sinfonia, al prigioniero russo.

Un feeling simile ha indotto anche 45 dei più celebri scrittori, direttori di teatro, poeti e giornalisti a scrivere tutti insieme una lettera indirizzata ad Amnesty International, nella quale si chiede che Mikhail Khodorkovsky e il suo socio Platon Lebedev siano riconosciuti “prigionieri di coscienza”. I primi a firmare questo appello sono stati Boris Akunin, Lyudmila Ulitskaya, Victor Shenderovich e Yuri Rost, seguiti da molti altri scrittori, produttori cinematografici e scienziati.

In una scena molto particolare del film di Tuschi, Khodorkovsky nuota in una piscina piena di petrolio e di monete d’oro, e pare sul punto di annegare. A mano a mano che si avvicina al bordo della vasca, però, le monete si diradano e l’acqua si fa sempre più trasparente. E a quel punto Khodorkovsky torna nuovamente a nuotare.

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