La felicità nel prato

Dall’estate 2006, un festival di arte e architettura contemporanea trasforma le pittoresche sponde del fiume Ugra in uno spazio particolare, nel quale la natura e l’arte si sposano per sublimarsi reciprocamente


Foto di Liza Azarova et Anis Boroznova



«Stanco di lavorare in atelier sotterranei, in città, ho cercato un luogo carico di storia, una vecchia chiesa, un fiume profondo», racconta l’architetto moscovita Vassili Shetinin, fondatore della comunità di artisti di Nicola-Lenivets.

Nel 1989, nell’ultimo scorcio dell’Unione Sovietica, Shetinin arriva sulle sponde dell’Ugra (vicino a Kaluga, a 200 chilometri da Mosca) in cerca di un angolo dimenticato dalla civiltà, e trova un paesino sonnolento, quasi in via di scomparsa.

A eccezione dei maestosi paesaggi, non restava pressoché nulla della grandeur del passato di quell’angolo di campagna nel quale la prima presenza umana risale al terzo millennio avanti Cristo. Avamposto della Russia medievale, la regione è stata soprattutto teatro di molteplici battaglie decisive, tra cui il Grande Scontro sul fiume Ugra che mise fine al giogo tataro-mongolo nel XV secolo.

Seguendo le orme di Shetinine, i suoi amici artisti e architetti sono venuti a stabilirsi nella medesima località. Su invito del pittore Nikolai Polissky, gli abitanti dei dintorni si sono rimboccati le maniche e hanno dato manforte all’artista che creava opere monumentali in legno, fieno o rami. Oggi l’intero paesaggio è modellato dalle sue opere fantastiche, nelle quali la natura si fonde in un connubio perfetto con l’architettura contemporanea.

Nell’estate 2006, la prima edizione del festival Arkhstoyanie (l’Archi-Halte) ha proposto ad alcuni artisti russi e stranieri di partecipare ufficialmente a questa iniziativa e da allora, anno dopo anno, le sponde dell’Ugra servono da laboratorio per la ricerca artistica e spirituale di decine di creativi.





«L’arte è un commento della natura, ciò che ne sottolinea l’aspetto migliore. L’arte sottolinea, ma non riscrive», spiega Oleg Kulik, il commissario invitato dal festival, inventore del tema dell’Arkhstoyanie di quest’anno, “Nove idee di labirinto. Liturgia silvestre”. Quest’anno il festival ha accolto 24 opere di altrettanti artisti o gruppi. La loro partecipazione è “un graduale passaggio dal locale al globale, dai paesaggi naturali ai paesaggi interiori, quelli psicologici, e un tentativo di unirli in un tutt’uno”, ha spiegato Kulik.





Per esempio, gli artisti Ivan Kolesnikov e Serguei Denisov hanno collocato alcuni punti di sutura su un crepaccio, “riparando” il terreno quasi fosse un corpo vivo. Dmitri Аlekseyev e Аleksei Ivanov, invece, hanno creato l’ingresso allo spazio del festival, uno degli obiettivi del quale è quello di infrangere ogni barriera tra i popoli, riavvicinandoli con l’anima e lo spirito. Hanno quindi costruito una specie di cornetta gigante, una struttura di legno sulla quale è teso un tessuto, che “ascolta, vede, coglie le idee sparse di coloro che passano mettendole insieme”, permettendo così di cominciare a vedere e capire il prossimo.

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