Russia, una politica estera nuova e moderna. Tra Oriente e Occidente

Un presunto documento riservato del Ministero degli Esteri – una fuga intenzionale di notizie, pubblicate poco fa sul sito Web di Russian Newsweek – ha creato subbuglio tra diplomatici e giornalisti russi. Molti l’hanno considerato la conferma o comunque un segnale inequivocabile di un significativo e gradito spostamento politico in atto in direzione dell’Occidente, ma in realtà si tratta di un’esagerazione.

Contrariamente all’opinione corrente, durante il secondo mandato alla presidenza di Vladimir Putin il Cremlino aveva assunto in politica estera una posizione difensiva, più che offensiva: dalle rivoluzioni “colorate” alla guerra in Georgia del 2008, è sempre rimasto sotto costante pressione e ha subito qualche sporadico attacco da parte di Washington. Adesso, dopo che gli Stati Uniti con il nuovo presidente Barack Obama hanno operato una sorta di “reset”, la pressione si è allentata e Mosca può ritornare a fare business come ha sempre fatto. E ciò è maggiormente di pertinenza degli affari che della geopolitica tradizionale.

La prospettiva della modernizzazione è uno sviluppo più recente: la crisi globale ha colpito e lasciato il segno in Russia, moderando in maniera significativa l’arroganza di cui aveva dato prova negli anni del boom dei prezzi energetici. La crisi ha per così dire scosso la leadership, facendo sì che prendesse atto della dura realtà: la Russia sta perdendo terreno nella scala gerarchica mondiale, ed è indietro in termini di capacità industriali, tecnologiche e scientifiche. Purtroppo, malgrado tutti i proventi ottenuti con le vendite di Gazprom, la Russia è ancora priva di tutto ciò che le servirebbe a diventare nel XXI secolo una grande potenza economica globale e una forza politica. Una relativa abbondanza di materie prime energetiche e i suoi arsenali nucleari non sono sufficienti. Il Cremlino è stato pertanto costretto a venire a patti con il fatto che la Russia non può procedere da sé a un’opera di modernizzazione e necessita di investimenti occidentali e di lavorare in proficuo partenariato con l’Occidente.

Una volta riconosciuto questo, le implicazioni sono chiare. La politica estera russa - come molti analisti politici non fanno altro che sostenere da tempo - dovrebbe smettere di appannare la posizione di un Paese che sta perdendo smalto per l’aggressività di cui dà prova contro l’Occidente. Al contrario, per modernizzarsi la Russia dovrebbe riuscire ad attirare risorse esterne.

Questo acquisizione ormai è ufficiale. Compiuta. La prossima tappa consisterà nell’attirare le risorse che renderanno possibile la trasformazione. Non è difficile constatare che tali risorse si trovano in massima parte nei Paesi che fanno parte dell’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) – ovvero America del Nord, Europa Occidentale, Giappone, Corea del Sud, Australia e Singapore. Sebbene il Bric (Brasile, Russia, India e Cina), l’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, la Comunità degli Stati indipendenti e la Comunità euroasiatica economica siano tutti validi alleati, è evidente che non saranno in grado di attivare in Russia i medesimi investimenti e le stesse partnership d’affari dei centri finanziari e tecnologici più quotati a livello globale.

L’Unione Europea, naturalmente, si colloca al primo posto della classifica per le economie avanzate, l’efficienza tecnologica e la vicinanza effettiva alla Russia dei Paesi che ne fanno parte. I rapporti di quest’ultima con Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi e altri ancora sono talmente stretti che è possibile prefigurare un’emergente comunità economica pan-europea. È altresì evidente che, malgrado il giro d’affari commerciale relativamente modesto tra Stati Uniti e Russia, sono gli Stati Uniti a possedere la chiave per operare i trasferimenti di quelle importantissime tecnologie che la Russia punta ad ottenere. Oltretutto, all’elenco andrebbe aggiunto anche il Giappone, specialmente per i contributi allo sviluppo della Siberia e dell’Estremo Oriente.

Benché la documentazione del Ministero degli Esteri appaia autentica e nell’insieme solida, presenta qualche esclusione che non può che colpire: Polonia e Gran Bretagna, per esempio, per qualche motivo sono rimaste fuori. Potremmo avere a che fare con una bozza incompleta, ma di sicuro alcuni dettagli saranno rifiniti più avanti. Il problema più importante per il momento resta che il tono molto pragmatico e realistico del documento non è suffragato da una strategia a tutto campo e non parla di sintonia tra politiche estere e interne.

In particolare parrebbe che sia il Ministero degli Esteri, sia il Cremlino comprendano che il genere di integrazione economica alla quale aspira la Russia sarà possibile esclusivamente quando i rapporti tra Russia e Occidente saranno demilitarizzati completamente e avverranno in totale sicurezza. La concorrenza tra i Paesi resterà a lungo – forse per sempre – ma bisognerebbe eliminare ogni ostilità dal loro rapporto. Una normalizzazione nei rapporti è stata in buona parte raggiunta con i Paesi dell’Europa Occidentale, e imminenti dovrebbero essere analoghi miglioramenti delle relazioni russo-polacche, mentre gli stati baltici continuano a tenersi in disparte. Per quanto riguarda il ripristino delle relazioni russo-statunitensi, tuttavia, resta ancora moltissimo da fare: il controllo sugli armamenti non basta. Necessari e indispensabili sono una collaborazione e una cooperazione strategiche, che contemplino impegni condivisi volti a fermare la proliferazione delle armi nucleari e progetti comuni di difesa missilistica.

Più vicino a casa, per essere certi che il mondo esterno consideri la Russia uno stato democratico, dotato di una propria economia sociale di mercato e di una politica estera indipendente, occorrerà un bell’intervento di chirurgia plastica e non soltanto qualche ritocco artificiale qua e là. La modernizzazione, intesa in termini strettamente e meramente economici e tecnologici, è troppo limitata per avere successo. Prima di maturare e svilupparsi rigogliosa in Russia la democrazia sicuramente impiegherà molti anni – forse addirittura decenni –, ma rafforzare le istituzioni politiche ed economiche del Paese dovrebbe in effetti essere una priorità immediata della leadership al governo. Più di ogni altra cosa, infatti, sarà questo elemento a determinare se le nazioni più importanti accetteranno o meno la Russia come un partner redditizio e affidabile.

Il presidente Dmitry Medvedev e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov meritano apprezzamento per aver compiuto questo importante passo avanti. Il prossimo passo dovrebbe includere il completamento dell’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio, la trasformazione della “partnership russo-europea per la modernizzazione” nel nucleo centrale delle relazioni russo-europee, il consolidamento e l’espansione della partnership con gli Stati Uniti e la trasformazione del Giappone in una “Germania dell’Est”.

Al tempo stesso, concentrarsi sul mondo sviluppato non dovrebbe andare a discapito delle importanti relazioni della Russia con Cina, India e Brasile o con Kazakistan e Ucraina che andranno coltivate in ogni caso. Non è forse questo ciò che gli altri Paesi candidati stanno facendo? Benvenuta nel club, Russia!

Dmitry Trenin è direttore del Carnegie Moscow Center

Pubblicato in origine su The Moscow Times


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