Le mie serate siberiane al "Russkij klub"

Ci venne concesso in azienda di seguire, direttamente in loco, corsi di lingua straniera. E così, mentre i miei colleghi emigravano in massa a studiare inglese sulle spiagge di Malta, io decisi che era venuto il tempo di coronare un vecchio sogno e di imparare il russo. Scelsi la Siberia e l’università di Novosibirsk, dove la professionalità e l’esperienza dei filologi avevano raggiunto standard altissimi per l’insegnamento della lingua russa agli stranieri. Telefonai alla mia vecchia compagna di studi: «Pronto, Lucia? È fatta, si va!». Lei lavorava come chef in alcuni dei migliori alberghi della Toscana e sognava di aprire una propria attività a Mosca. «Ma no, Lucia, ma quali tempeste di neve a ottobre?! Ma di quali orsi parli, ma dai, ma che bestialità vai dicendo, andrà tutto bene».

Partiti da Mosca eravamo in volo ormai da cinque ore, nonostante le rassicurazioni dell’Aeroflot che per arrivare a destinazione non ne sarebbero servite più di quattro. Quando finalmente nel cuore della notte atterrammo, quello che a bordo era stato un mormorio di disappunto si trasformò in un grido di terrore: lontano nella tormenta brillavano cinque enormi lettere AB..KAN, cioè Abakàn, capitale della repubblica autonoma di Khakasia, che dalla frenetica consultazione degli atlanti risultò essere un migliaio di chilometri più a sud. «Nevicata foooorte» ripeteva un inserviente dell’aeroporto a me e Lucia. «Niente Novosibirsk!». Per mia malasorte Lucia, che di russo capiva poco o niente, conosceva però bene le parole “forte” e “nevicata” e ringhiò sommessamente qualcosa tipo «non ci sono nevicate a ottobre, ha parlato il meteorologo». Riuscii con mezzi di fortuna a telefonare alla segreteria dell’Università. «C’è stato un contrattempo. Il nostro aereo è atterrato ad Abakàn. Ma no, non datevi pena per noi. Ce la caveremo». E ce la cavammo. Siamo romani, gente che un tempo ha dominato il mondo, prendemmo il coraggio a due mani e… ce ne andammo con un tassì in centro a pranzare. Tornammo che era già sera e il volo era stato annunciato.

Il mattino seguente io e Lucia fummo accolti nell’ufficio della dirigente della sezione per gli studenti stranieri. Ci diede tutti i ragguagli necessari, ci accompagnò amorevolmente alla porta e disse: «Un’ultima raccomandazione: nel bosco siate particolarmente prudenti, quest’anno abbiamo avuto un autunno particolarmente caldo, gli orsi non sono andati in letargo e si aggirano a ridosso della città in cerca di cibo». Lucia mi fulminò con lo sguardo, roteò gli occhi e disse: «Lo sappiamo bene». Era chiaro che da quel momento non avrei più avuto su di lei il benché minimo ascendente.

Cominciò la nostra felice vita studentesca. Gli orari erano abbastanza impegnativi, le lezioni coprivano l’intero arco della giornata, io apprezzavo in modo particolare le ore di letteratura, quando era possibile confrontarsi con gli studenti locali. All’inizio, a causa dell’età, mi scambiavano per un insegnante e mi lanciavano lunghi sguardi sospettosi, poi col tempo la tensione si attenuò e si instaurarono ottimi rapporti, tanto che con alcuni ci scambiamo ancora lunghe lettere. I sogni, le aspirazioni, i desideri di questi ragazzi, le loro pesanti sconfitte e le brillanti vittorie, le lacrime e le speranze di ciascuno di loro, tutto questo lo porto ancora nel cuore. Un fatto mi colpì: non un solo studente aveva messo in preventivo di restare a Novosibirsk alla fine degli studi, tutti progettavano di trasferirsi a Mosca o a Pietroburgo, i più audaci negli Usa, gli economisti in Inghilterra, gli informatici in Asia, romantici e poeti in Italia.

Le sere del sabato erano consacrate al cosiddetto Russkij Klub, un incontro informale fra studenti russi e stranieri, per conversare amabilmente davanti a una tazza di tè sui temi più disparati. Io fin dall’inizio mi ero imposto di disertare questo sinistro appuntamento, un po’ perché mi ricordava le sedute di autocritica nei campi di concentramento sovietici, un po’ perché avevo il presentimento di dover far fronte a quelle domande micidiali che di solito si riservano agli italiani all’estero, tipo Roberto Baggio, la mafia o gli spaghetti al dente. Quando nella cassetta della posta trovai una specie di richiamo scritto non mi restò altro da fare che presentarmi. Ricordo ancora la prima domanda di una ragazzetta rossiccia: Scilla e Cariddi nella mitologia grecoromana. «Vabbè ragazzi, oggi vi spiegherò come cuocere gli spaghetti al dente».

Simone Corazza è traduttore e interprete, vive e lavora a Roma e collabora con il sito di cultura russa www.russianecho.net

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