Il ritardatario perpetuo: le radici della Russia in poche parole

Negli ultimi anni l’economia fiorente della Russia ha forgiato legami forti fra gli imprenditori russi e europei, e lo scambio culturale non è mai stato cosi facile come adesso. Tuttavia, tanti europei non hanno ancora una prospettiva chiara della Russia e si meravigliano perchè tutto lassù ha un aspetto europeo ma non sempre funziona in egual modo.

Una volta un’amica italiana è tornata da San Pietroburgo e mi ha detto che la città era “bella, ma molto artificiale, come fosse costruita dal papier-mache”. Sotto un certo punto di vista questo non è un giudizio sbagliato. Non che la città sia inconsistente, ma che essa fu costruita per volontà e decreto di una singola persona (Pietro Romanoff, nei primi anni del Settecento) come un castello giocattolo, e conseguentemente fu costretta ad esistere, non nascendo da sola come tutte le capitali, compresa Mosca, la capitale precendente della Russia.

Pietro il Grande sognava di occidentalizzare la Russia che - pensava - nella sua storia di ottocento anni (dalla fondazione dello Stato di Kiev) era diventata, o rimasta, buia e arretrata. In effetti, la civiltà – nel senso moderno del termine – raggiunse la terra che oggi comprende Ucraina-Russia solo nel medioevo, molto tempo dopo che le civiltà d’Europa, l’Estremo Oriente, il Medio Oriente e l’Africa del Nord avevano messo radici. Il territorio russo non fu mai parte dell’Impero Romano o del Sacro Romano Impero, non partecipò al Rinascimento europeo, alla Rivoluzione Scientifica, alla colonizzazione del Nuovo Mondo, all’Illuminismo. Mentre l’Europa riscopriva i classici greco-romani durante il Cinquecento, la Russia stava combattendo il giogo tartaro-mongolo, che aveva fatto del Paese una terra da spremere.

L’occidentalizzazione della Russia svolta da Pietro, proprio come la cristianizzazione dello Stato di Kiev svolta da Vladimiro il Grande nel X secolo (che portò Kiev più vicino a Bisanzio) fu un processo di modernizzazione della nazione. Questo processo fu iniziato dalla cima della gerarchia sociale e impiegò un modello straniero per rendere la vita in Russia più ordinata ed efficiente. Il processo quindi non fluiva da un’evoluzione naturale del popolo russo, al contrario, i due furono in forte contrasto. La Russia fu letteralmente trasformata – non solo cambiata – perché il sovrano lo pensava necessario, non perché il popolo lo chiedeva. (La cristianizzazione dell’Impero Romano fu risultato dell’instancabile diffusione della religione da parte di missionari pieni d’abnegazione)

Dopo il regno di Pietro, il fulcro del Baltico continuava a svilupparsi secondo i modelli europei, ma nell’Ottocento la società russa era divisa: i filo-occidentali si scontrarono con gli slavofili, che non consideravano la Russia come uno stato europeo, piuttosto come una roccaforte dei popoli slavi, popoli la cui storia e tradizioni erano molto diversi da quelli dei popoli europei. Gli slavofili incolpavano l’occidentalizzazione diffusa da Pietro per aver corrotto e deformato l’identità nazionale, e desideravano rianimare il retaggio russo.

La visione di Pietro durò duecento anni. La Rivoluzione d’Ottobre non fu soltanto una rivoluzione proletaria, essa fu una ribellione contro i valori materiali e spirituali occidentali (sia il capitalismo che la religione vennero considerati nemici acerrimi del popolo), una ribellione che inevitabilmente portò all’isolamento completo della Russia dal mondo. (Forse fu una ribellione contro il mondo?) Scontento per la ingiusta posizione geopolitica, storica, economica e culturale della Russia nel mondo, Lenin riteneva che la vera identità del paese consistesse nel comunismo (anche questo sistema fu disegnato da un straniero), come lo pensava la maggior parte della popolazione. Sebbene la Rivoluzione d’Ottobre fosse una pura rivoluzione popolare e quindi, probabilmente, l’unico momento nella storia russa in cui il popolo prese cura del proprio destino, il comunismo richiedeva il sacrificio assoluto dell’identità privata al nuovo Dio: lo Stato. L’URSS alla fine diventò un’influente superpotenza mondiale ma è anche vero che essa scivolò indietro nello stesso pantano buio e disumanizzante che la possedeva prima delle riforme di Pietro.

Il sogno – o incubo – comunista durò settant’anni. Gli anni che seguirono subito la dissoluzione dell’Unione Sovietica non potevano che essere distinti da disordine, anarchia e criminalità dilagante; e ovviamente, come poteva prevedere qualsiasi studente della storia russa, prima o poi questi anni avrebbero annunciato un regime duro e autoritario che avrebbe tenuto a freno i fuorilegge, creato ordine e stabilità e centralizzato il suo potere. In realtà questo processo può accadere in qualunque paese. Ma in Russia tutti i processi sociali si svolgono in un modo estremo ed esacerbato.

Eppure, un governo forte, determinato e monolitico è quello che la maggior parte dei Russi vogliono vedere. La dialettica e la politica bipartitica erano solitamente estranee allo schema politico russo. La democrazia non ha mai avuto una terra fertile dalla quale poteva crescere perché le condizioni severe e intrattabili del territorio costrinsero il popolo a pensare più alla propria sopravvivenza che allo sviluppo dell’individualismo. I Russi che volevano e vogliono fondare un governo liberale, basato sul modello democratico occidentale, da sempre costituiscono una minoranza. Sfortunatamente, questa minoranza, quando aveva l’opportunità di creare quel tipo di governo, non poteva convincere la moltitudine delle sue riforme e finiva per litigare al suo interno. (Basta ricordare le narrative sulle vecchie tribù slave che nel IX secolo invitarono il capo nordico Rurik per governare le comunità perché le loro lite continue non approdavano a nulla). Inoltre, questa minoranza spesso non poteva liberarsi dall’inconscio collettivo russo e dimostra il rovescio della medaglia: mentre la maggioranza vede il governante assoluto come un faro che la guida fuori dal caos sociale, la minoranza lo vede come un capro espiatorio per la stessa condizione. Entrambi non riescono a rendersi conto (o preferiscono non accorgersi) che la condizione è in realtà dovuta ad una mancanza di responsabilità, imprenditorialità e reciproca stima.

La Russia oggi sta ancora attraversando un periodo di grande transizione – sotto tutti gli aspetti della vita. La modernizzazione del Paese che sta pianificando il presente governo è di nuovo mirata a far si che la Russia raggiunga l’Occidente, e di nuovo proviene direttamente dalla cima della piramide sociale, non come un graduale risultato di una naturale evoluzione civica. Se la Russia un giorno potrà vivere come l’Europa, questo è irrilevante rispetto al rapporto tra le due realtà. Quello che è importante, però, è che ci sia un riconoscimento e comprensione delle ovvie differenze e una volontà di tenere la porta di questa comprensione sempre aperta.

Sergei Tseytlin è uno scrittore russo-americano che risiede in Italia

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