In fondo, dal punto di vista dell’osservatore occidentale la Russia suscita l'impressione di un Paese assolutamente maschile dove sembra che tutto venga deciso dagli uomini. I maschi sono sempre indaffarati, fanno molto chiasso e fanno continuamente a gara a chi è il più figo tra di loro. Ma basta che un tale modello di macho entri in casa perché si trasformi subito in una creatura ubbidiente che si comporta in modo addirittura servile (in alcuni casi) con la propria moglie: “Sì, cara. Certo, cara. Come dici, cara?”. Volendo fare una statistica, in 8 casi su 10 il quadro sarebbe proprio questo. Non è un caso se i viaggiatori stranieri di passaggio in Russia spesso prestavano attenzione alle modalità delle relazioni tra l’uomo e la donna (evidentemente, non venivano invitati dentro le case). Color che visitavano il Paese nel XVI e XVII secolo descrivevano nei loro diari la pesante situazione delle donne russe (che sarebbero state poco sviluppate mentalmente, dall’aspetto avvilito e chiuse dentro le case dietro alte recinzioni da mariti crudeli). Insomma, un quadro triste e raccapricciante.
Al tempo stesso, però, il principe russo Vladimir Monomakh, vissuto nell’XI secolo, scriveva nel suo precetto paterno ai figli: “Amate la moglie, ma non datele il potere su di voi”. Probabilmente, il problema delle mogli che comandavano a bacchetta i mariti era scottante già mille anni fa e riguardava pure i rampolli dei nobili. E’ anche vero che gli osservatori stranieri erano differenti. Così, il noto avventuriero italiano Giacomo Casanova, il quale in virtù della sua natura di gran seduttore conosceva le donne molto da vicino, scriveva sulla Russia rosa del XVIII secolo: “Sembra che la Russia sia un Paese in cui i sessi si sono confusi. Le donne governano, sono a presidenza delle società scientifiche, partecipano all’amministrazione e alla diplomazia. In questo Paese alle bellezze manca un solo privilegio, quello di comandare le truppe”.
Certamente, le idee della lotta per l’emancipazione femminile e l’uguaglianza dei diritti non potevano mancare anche in Russia. Nella seconda metà del XIX secolo queste idee sono penetrate in Russia dall’Europa insieme con il crescente movimento rivoluzionario. I rivoluzionari, appunto, dichiaravano che la questione femminile era di vitale importanza e, probabilmente, proprio per questo alla rivoluzione russa hanno preso parte numerose donne.
E già subito dopo l’avvento dei bolscevichi al potere si accende, per le donne, il semaforo verde sulla loro libertà di scegliere e di contare. Come dichiarava Vladimir Lenin, “Ogni cuoca potrà governare il Paese”.
Sicuramente, il capo del proletariato intendeva che al potere sarebbero saliti i rappresentanti degli strati più poveri della popolazione. Ma, tuttavia, ha detto “cuoca”, e cioè “femmina” e non “cuoco” (maschio). In URSS non c’era una discriminazione in base al sesso, il lavoro femminile, infatti, veniva pagato in misura uguale di quello maschile. E affinché la “donna lavoratrice emancipata” non si scordasse della famiglia e dei suoi obblighi, lo Stato le garantiva un folto elenco di agevolazioni, tra cui il lungo congedo di maternità con indennità e i sussidi per bambini. A proposito: gli echi del socialismo di questo genere sono vivi tuttora. Stando ai dati del recente resoconto della Banca Mondiale “Donne, business e legge – 2010”, le donne russe godono di una tutela delle proprie condizioni socio-economiche e lavorative maggiore rispetto a numerosi Paesi Europei e agli USA. Un esempio: il congedo di maternità pagato in Russia è pari a 140 giorni e quello non pagato a 540 giorni.
Perciò, quando si propone, alle donne russe, di lottare per i loro diritti non capiscono sinceramente di che cosa si tratti, in quanto non si sentono lese nei diritti rispetto agli uomini. Mentre la “critica preferita” che le donne russe muovono agli uomini locali è che sono troppo deboli. “Ma non ci sono più i maschi forti e io devo fare tutto da sola”, si lamenta una donna d’affari e di successo con un’amica. Ma vi assicuro, qualora un qualche uomo fiducioso volesse prendere a cuore queste lamentele e provasse a comandare la “sfortunata”, verrebbe rimesso subito al suo posto.
E questo non è un problema solo di oggi, anno 2010. La Russia è stata sempre un Paese di donne forti. Nelle fiabe russe, che rispecchiano abbastanza precisamente alcune peculiarità del carattere nazionale, la protagonista salva spesso dalla morte il suo amore. Anche la letteratura classica russa insegna le stesse cose: c’è un uomo debole che si dimena e non sa come agire, mentre la donna prende tutta la responsabilità sulle proprie spalle. Va così, pure nel XXI secolo. A Irina Khakamada, una delle donne russe più note e di maggior successo, attivo esponente pubblico e politico, recentemente hanno chiesto cosa ne pensa di femminismo. Ha risposto in questi termini: “Io sono postfemminista. Vivo nella situazione in cui una donna non lotta per i suoi diritti, non deve dimostrare niente a nessuno e gli uomini per lei sono un oggetto di gioia. Come un’auto di lusso, come un bel orologio. Perché e’ in grado di fare da sola tutto il resto: guadagnare i soldi, partorire ed allevare i bambini”.
Certo, paragonare gli uomini nella vita di una donna ad un’auto o un orologio per loro può risultare offensivo. Ma forse è, appunto, il culmine del femminismo visto come indipendenza delle donne. Che gli uomini ci portino soltanto gioia, tutto il resto lo faremo da sole.
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