Il Presidente turco Erdogan.
: ReutersErano 36 anni che in Turchia non accadeva un golpe militare, vale a dire dal 1980. Ma ecco che il signor Erdogan è riuscito a provocare questa rivoluzione, trascinando il Paese nel caos e minando il suo prestigio nell’arena internazionale. Cosa ha spinto i militari a opporsi alla leadership turca?
In primo luogo tra l’esercito, tradizionalmente ritenuto il garante della laicità dello Stato turco, e l’attuale governo islamico esiste un profondo conflitto di natura ideologica. Per molto tempo si è avuta l’impressione che il Presidente Erdogan, attuando una politica strisciante ma spietata di islamizzazione, avesse prevalso e soffocato la resistenza dei generali, costringendoli ad accettare la negazione dei principi laici di Ataturk, sbarazzandosi della “quinta colonna” all’interno dell’esercito ed “epurando” i quadri ufficiali con il ricorso a una serie massiccia di procedimenti penali. Ma poi si è scoperto che in effetti non era così.
In secondo luogo, agli occhi di molti cittadini turchi e di gran parte della sua élite, il Presidente è responsabile di aver destabilizzato la situazione politica all’interno del Paese. La società è disgregata e a testimoniarlo sono state le proteste di massa del 2013. Inoltre, il governo si è rifiutato ostinatamente di prestare ascolto agli oppositori, limitandosi ad adempiere al mandato sociale dei suoi elettori che rappresentano circa la metà della popolazione turca.
In terzo luogo, il Presidente Erdogan ha di fatto provocato la ripresa della guerra civile nel Kurdistan turco. A detta di molti politici turchi e degli stessi curdi, sarebbero stati proprio i suoi interventi a produrre una recrudescenza delle azioni militari e a cancellare tutti gli sforzi compiuti in questi lunghi anni per avviare un dialogo di pace. In ultima analisi, il Paese si trova oggi in uno stato di guerra, sebbene fino a un paio di anni fa non ve ne fossero né i presupposti, né le ragioni.
Infine, in politica estera la leadership turca è riuscita a deteriorare i suoi rapporti con quasi tutti i principali attori politici nel mondo e nella regione. Gli effetti del governo di Erdogan sul piano diplomatico sono deprimenti. In Siria gli eventi stanno evolvendo in modo affatto diverso dallo scenario prefigurato da Ankara. In Egitto l’islamista Mohamed Morsi, gregario del signor Erdogan, è stato deposto dalla carica di Presidente. Le relazioni con l’Unione Europea si sono deteriorate e lo dimostra nel 2015 il riconoscimento del genocidio armeno da parte della Germania. Ankara non ha praticamente più alcuna chance di entrare a far parte dell’Ue in un prossimo futuro, mentre era proprio questo l’obiettivo che per molti decenni si era posta la leadership del Paese. La questione curda ha provocato seri attriti con gli Stati Uniti e l’abbattimento del cacciabombardiere russo ha causato una crisi senza precedenti nei rapporti con Mosca, ritenuta fino a poco tempo fa uno dei partner prioritari della Turchia. In definitiva Ankara, che aveva proclamato a suo tempo la formula “zero problemi con i vicini”, si ritrova oggi quasi senza alleati nella regione, ad eccezione forse dell’Azerbaigian.
Sono stati probabilmente tutti questi fattori a spingere gli avversari del Presidente turco a intervenire in modo drastico. Una parte dei militari potrebbero essere giunta alla conclusione che è venuto il momento di liberare il Paese da un uomo la cui politica sta distruggendo il Paese, portandolo alla disgregazione e forse al collasso.
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