L’operazione delle forze aerospaziali russe in Siria contro i gruppi terroristici ha avuto inizio il 30 settembre 2015.
: APIl leader russo Vladimir Putin ha assegnato al ministro della Difesa, Sergej Shojgu, l’incarico di avviare il ritiro di gran parte del contingente russo dalla Repubblica Araba di Siria. “Ritengo che la missione del Ministero della Difesa russo sia ormai giunta al termine e ordino pertanto a partire da domani (oggi per chi legge, ndr) il ritiro della gran parte del contingente militare russo dalla Repubblica Araba di Siria”, ha dichiarato Putin il 14 marzo.
Come ha puntualizzato, prima del ritiro le forze militari della Federazione Russa dovranno garantire la sicurezza della base navale nel porto di Tartous e della base aerea di Hemeimeem che continueranno a essere operative.
Dal 27 febbraio, per iniziativa della Russia e degli Stati Uniti, è in vigore nel territorio siriano una tregua che però non si estende ai combattenti dell’organizzazione terroristica dello Stato islamico.
“Una parte delle nostre forze armate è storicamente dislocata in Siria ormai da molti anni, ma oggi dovrà adempiere a una funzione della massima importanza: vale a dire assicurare che venga rispettato il cessate il fuoco e favorire le condizioni per un processo di pace”, ha aggiunto il capo di Stato russo.
Ce ne andiamo, eppure continuiamo a restare
A detta di Fedor Lukyanov, direttore della rivista La Russianella politica globale, la Russia ha ormai adempiuto alla sua missione principale in Siria, impedendo al Paese di duplicare la situazione libica e di trasformarsi in un focolaio del tutto incontrollato di destabilizzazione della regione.
“La finalità principale dell’operazione delle forze aerospaziali russe non era solo quella di contrastare l’Is, ma anche di imprimere una svolta alla soluzione della guerra civile in Siria. Grazie ai nostri attacchi aerei, l’esercito governativo è riuscito a cacciare una parte delle forze dell’opposizione estremista e del terrorismo islamico dalle maggiori città del Paese”, ha rilevato l’esperto.
A suo avviso la Russia seguirebbe la stessa strategia attuata dagli Usa in Afghanistan, vale a dire il ritiro di una parte considerevole del contingente militare, pur conservando delle strutture della Federazione Russa strategicamente e politicamente importanti, come quelle stanziate in territorio siriano nella base navale del porto di Tartous e nella base aerea di Hemeimeem.
Come ha puntualizzato, prima del ritiro le forze militari della Federazione Russa dovranno garantire la sicurezza della base navale nel porto di Tartous e della base aerea di Hemeimeem che continueranno a essere operative.
Secondo Vladimir Evseev, direttore della Sezione per l’integrazione eurasiatica e per lo sviluppo dell’organizzazione di Shangai per la Cooperazione (Sco) dell’Istituto di Studi sui paesi della Csi, la riduzione del contingente militare riguarderebbe solo le forze di terra e quelle aerospaziali. “La flotta continuerà a essere operativa nel Mar Mediterraneo e così i sistemi Pro e Avi e l’intelligence. La Russia intende avviare un processo di pace nella regione e perciò è pronta a ritirare una parte delle sue forze militari”, ha dichiarato a Rbth l’esperto.
Come ha rilevato Evseev, se gli eventi dovessero prendere una piega negativa, e la Turchia e l’Arabia Saudita dovessero approfittare della riduzione della presenza militare russa, Mosca ridispiegherebbe per intero il suo contingente nella regione.
“Finora non è stata conseguita nessuna vittoria sul terreno. La Russia cerca di imprimere una svolta alla congiuntura attuale per ridurre il numero di attori stranieri coinvolti nella crisi siriana. Per ottenere con gli attuali ritmi militari degli esiti positivi occorrerebbero perlomeno altri otto mesi di combattimenti e di cannoneggiamenti, il che provocherebbe la distruzione delle infrastrutture e la perdita di civili. E nessuno lo vuole”, aggiunge l’esperto.
A suo avviso, la Russia ha condotto dei negoziati a porte chiuse con gli Usa e ha avviato il ritiro dei suoi contingenti a patto di un minore coinvolgimento della Turchia nella crisi siriana. “Solo a queste condizioni si riuscirà a risolvere in tempi più rapidi la crisi. Vincoli analoghi potrebbero venir richiesti anche ai partner dell’Arabia Saudita”, precisa Evseev.
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