"Vi racconto com’è la guerra in Siria"

A destra, Sargon Hadaya, corrispondente in Siria del canale RT in arabo.

A destra, Sargon Hadaya, corrispondente in Siria del canale RT in arabo.

RIA Novosti
Un corrispondente russo, attaccato insieme alla sua troupe durante alcune riprese nel villaggio di Daghmashlia, svela cosa sta succedendo in quella regione. “Facevano sul serio: volevano ucciderci”. E sul suo incontro con il pilota del Su-24 abbattuto dall’aviazione turca: “È veramente lui ad aver rilasciato l’intervista. Non hanno mostrato il volto per ragioni di sicurezza”

Un giorno prima che l’F16 turco abbattesse il caccia russo Su-24, il 23 novembre, tre giornalisti russi erano stati feriti in Siria. Durante le riprese, la vettura su cui si trovava la troupe è stata attaccata con razzi antimissile. Uno dei giornalisti colpiti, Sargon Haddaya, corrispondente di un canale televisivo arabo, omologo del russo Rt, ha raccontato a Rbth la sua missione di tre settimane in Siria.

La missione in Siria è stata una sua iniziativa personale?

Avevo già partecipato ad altre missioni militari in Ucraina. Sono stato io a manifestare il desiderio di andare in Siria. Mi sembrava interessante osservare la situazione dall’interno dato che avevo seguito tutto il processo di regolamentazione politica del conflitto in quell’area, avevo intervistato Bashar al-Assad ed effettuato dei servizi sui negoziati di Ginevra, Vienna e Mosca.

Eravate preparati a ciò che vi aspettava?

Eravamo consapevoli di andare in una zona di guerra e la guerra non è come la si vede in televisione. È una tragedia. Ed è fatta di esperienze dure da sopportare. Non mi aspettavo che avrebbero potuto colpire anche dei giornalisti e che la nostra vita fosse appesa a un filo. Quando si cominciano a uccidere piloti e giornalisti diventa chiaro che saltano tutte le dottrine sulla guerra e che non esistono più tacite regole rispettate dai soldati.

Ci racconti il giorno in cui la vostra troupe ha subito l’attacco dei razzi antimissile.

Dovevamo effettuare delle riprese nel villaggio di Daghmashlia che era stato liberato dall’esercito governativo siriano. Avanzavamo su tre jeep. Il primo razzo ci ha colpito di lato. Le prime due vetture viaggiavano davanti a noi. Noi ci trovavamo sulla terza. Il secondo razzo ha colpito il nostro veicolo. Aleksandr Zhukov, un reporter di guerra, ha ripreso per tutte le tre ore successive, mentre le truppe siriane governative cercavano di guidarci verso una zona sicura. Mentre ci conducevano attraverso dei giardini distrutti e sminavano il terreno, nel quadrato in cui avanzavamo sono caduti altri tre, quattro missili.

Che sensazioni ha provato in quel momento?

Mi sono reso conto che facevano sul serio, che volevano eliminarci e bisognava concentrarsi per sfuggire al fuoco. La cosa più complicata è stata mettersi in contatto coi parenti che l’indomani avrebbero appreso la notizia dalla televisione. Noi eravamo sopravvissuti a tutto, ma loro dovevano ancora affrontare questa esperienza e vedere quelle immagini. Ho telefonato ai miei per spiegargli che non dovevano preoccuparsi, che andava tutto bene, che le gambe, la testa erano al loro posto e che quello che avrebbero mostrato in televisione era già passato.

Pensa che volessero deliberatamente colpire lei e i suoi colleghi?

È difficile dirlo. Giravamo con i giubbotti antiproiettile regolamentari con la scritta Press e con gli elmetti blu previsti per i reporter dalle regole internazionali. Come è stato poi confermato a colpirci sono stati dei Tow (missili anticarro guidati via cavo, ndr) che hanno un localizzatore, quindi dovevano sapere che eravamo dei giornalisti.

Forse aspettavano l’arrivo di qualche alto funzionario e si erano preparati. Ma i nostri elmetti blu erano come dei “bersagli luminosi” per chi voleva attaccarci.

L’area in cui ci hanno colpiti e quella dove hanno abbattuto il caccia e colpito il nostro elicottero russo avevano all’incirca lo stesso perimetro. Sui Monti Nuba. Queste aree sono controllate dai combattenti del fronte Al Nusra, di Ahrar al-Sham e dai cosiddetti “turcomanni”.

Non possiamo non parlare del suo incontro con il pilota del Su-24.

Non è stato gravemente ferito e si reggeva ancora in piedi. È veramente lui ad aver rilasciato l’intervista mandata in onda dai media. Non hanno mostrato il suo volto per ragioni di sicurezza e anche per proteggere i suoi familiari. A spiegare il resto sarà il Ministero della Difesa.

Com’è cambiata, secondo lei, la situazione in Siria dopo l’intervento russo?

Ora la situazione dell’esercito governativo siriano e dei suoi alleati può essere definita positiva: sono stati ottenuti dei successi su più fronti, inclusa la zona a Nord di Latakia.

Parallelamente sono state stipulate delle tregue e tutti insieme questi fattori agevolano l’avvio di un processo di regolamentazione politica. Ma ora la priorità viene data alla lotta al terrorismo. Una volta che saranno definiti i nodi cruciali, si potrà parlare di un vero avanzamento nel processo politico promosso dalla conferenza di Ginevra e dai colloqui di Vienna. Ma questo accadrà in futuro, mentre ora le sorti si decidono sul terreno.

E come reagiscono ai russi e alla presenza russa i siriani?

A Latakia, Homs, Tartus e Jabal, dove siamo stati, la gente era contenta e riconoscente. Ma non va dimenticato che dopo cinque anni di guerra, malgrado la gioia per l’arrivo dei russi, il dolore resta. Dovunque ci sono vittime e morti. L’arrivo dei russi non restituirà i bambini persi nel conflitto da entrambe le parti.

Non tutti gli oppositori sono dei terroristi. Ciò è stato più volte ribadito sia dal Ministero degli Esteri russo che dal Presidente della Federazione Russa. Per questo l’intervento della Russia può forse accelerare il processo di regolamentazione politica del conflitto. La gente può cominciare finalmente a sperare. Se i siriani siano soddisfatti, è difficile dirlo. La lira, la valuta siriana, perde di valore, il costo della vita aumenta, non ci sono soldi, il lavoro scarseggia e l’inverno è alle porte. 

Perché avete deciso di tornare a Mosca?

Le nostre fotografie, pubblicate dai media russi, sono uscite anche in un sito della cosiddetta “opposizione moderata siriana” con il titolo: “Giornalisti russi feriti durante un attacco russo contro la popolazione siriana”. Seguiva il commento: “Non sono morti, ma li elimineremo”. Le nostre facce erano riconoscibili, sono state ripetutamente lanciate minacce contro i giornalisti russi. Ci siamo consultati e abbiamo deciso che era meglio non mettere a repentaglio né la propria vita, né quella degli altri colleghi perché avevamo attirato l’attenzione su tutta la troupe.

La seconda ragione è che i nostri medici in Siria non sono riusciti a rimuovere una scheggia che è penetrata in profondità sotto l’ascella. Dovrò farmi operare in un ospedale militare di Mosca.

Se la sente di tornare in Siria dopo la guarigione?

La Siria per il momento per me è off-limits. Dopo Capodanno potrebbero riprendere i negoziati politici. Sono in buoni rapporti col governo siriano, con tutti i partecipanti ai negoziati e con i ragazzi dell’opposizione, e per il momento mi occuperò di questo tema.

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