Artificieri al lavoro (Foto: Alexei Danichev / RIA Novosti)
Non sono ammessi errori o emozioni: quella dell’artificiere è una delle professioni più pericolose al mondo. Tutti i test, le abilitazioni e i documenti sono studiati per gli uomini. Ma in Russia, nella squadra artificieri, c’è anche una donna. L’unica. Lei si chiama Galina Slesareva, ma i colleghi la chiamano "Soldato Jane" e "Lady di ferro”. Galina presta servizio nel Ministero delle Situazioni di Emergenza nella cittadina di Obninsk.
Cecchino e artificiere
Galina Slesareva guida il fuoristrada con disinvoltura e compie missioni di salvataggio. Lo psicologo militare dice che in lei "convivono il principio maschile e quello femminile: l'uno o l'altro prevale a seconda della necessità del momento". Durante la formazione e l'addestramento, i test dimostrarono che la sua idoneità alla professione era del 100 per cento. L'unico "difetto" evidenziato era l'emotività. "Ricordo che domandai allo psicologo come potevo superare questo aspetto - racconta Galina -. La sua risposta fu: 'In nessun modo, è la tua essenza femminile'. Nel suo resoconto, lo psicologo scrisse: 'Personalità armonicamente equilibrata'".
Prima di allora, l'allieva Slesareva aveva studiato con impegno per 15 anni per imparare a padroneggiare le armi da fuoco. Superato l'esame di tiratore scelto, aveva lavorato come istruttrice di tiro. "In realtà, avrei voluto diventare un pilota militare - confessa -. Terminata la scuola, a Mosca superai tutti gli esami. La visione notturna, le capriole, l'apparato vestibolare, era tutto a posto. La mia preparazione fisica era molto buona. Ma a quel tempo non accettavano le donne nell'aviazione militare. E venni scartata. Poi mi appassionai al tiro. All'istituto di fisica energetica c'era un circolo di tiro di buon livello. Nei weekend andavamo sempre fuori città per partecipare a delle gare. Al poligono io alzavo e abbassavo i bersagli, poi aiutavo a tenere conto dei punteggi. A volte gareggiavo al posto degli uomini, se non ce n'erano abbastanza. Per me faceva lo stesso sparare con la pistola o con il fucile".
Quando a Obninsk fu istituito il servizio di soccorso della protezione civile servivano dei tiratori scelti, ma era richiesto anche l'attestato di artificieri. Galina cominciò a telefonare a tutti i centri di addestramento. Alcuni militari in pensione suoi conoscenti la aiutarono a trovare a Mosca dei corsi di bonifica dei terreni commerciali. Gli artificieri dell'esercito che Galina aveva conosciuto nel suo lavoro di ricerca e salvataggio le dicevano: "Vieni da noi, tu sei un'ottima specialista, conosci tutti gli esplosivi tedeschi". Poi, però, la richiamarono scusandosi: "Non ti possiamo prendere. Nello statuto c'è scritto che sono ammesse solo persone di sesso maschile".
"Telefonai al Centro di addestramento del Ministero degli Interni di Brjansk e domandai: 'Prendete le donne?'. Dall'altra parte del filo ci fu un lungo silenzio, poi dissero: 'Che differenza fa, l'importante è che lei paghi il corso'. Quando arrivai, mi guardarono strano. Nessuno aveva preso sul serio la mia telefonata. Ma i soldi ormai li avevo versati. Per me era tutto molto interessante, lavoravo giorno e notte. Studiavo i calcoli su come far brillare gli ordigni esplosivi: che cosa succede se si usa il cemento armato o se si usa la terra battuta... Ci impartirono praticamente il corso di studi completo di un istituto superiore di ingegneria", racconta Galina.
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Professione infermiere |
Quando si recarono al poligono, l'allieva Slesareva eseguì tutti gli esercizi per prima e senza commettere errori. Poi introdusse persino una sua innovazione, un elemento di know-how che i tiratori scelti impiegano ancora oggi.
"Rimasi sorpresa del fatto che i detonatori dei panetti di esplosivo da 200 grammi ancora dall'epoca della guerra venissero legati con una cordicella. Gli uomini hanno le mani grosse, e il detonatore è un piccolo tubicino di alluminio, che continuava a cadere loro di mano... e bisognava legarlo al panetto facendo anche un fiocchetto. Insomma, un vero supplizio. Io mi portai un elastico di cancelleria che usavo per legarmi i capelli. E cercai di ingegnarmi, mi misi a legare il detonatore al panetto con l'elastico. L'istruttore si stupì: "Però, che bella trovata!". La sera cominciarono a venire da me i compagni, a chiedermi favori: 'Galja, hai degli altri elastici?' Da allora la mia idea fu adottata sia nelle truppe dell'esercito che al Ministero degli Interni", ricorda la soccorritrice.
Al termine dell'addestramento, uno dei colonnelli ammise che d'ora in poi avrebbe assunto anche le donne, perché "il loro istinto di sopravvivenza è impostato in maniera diversa, hanno un diverso modo di pensare".
Le bombe sul fondo del lago e nella soffitta di una casa
In tanti anni di lavoro come artificiere, Galina ha disinnescato diverse migliaia di ordigni esplosivi. Anche adesso, se qualcuno trova una granata in una cassetta postale, un fumogeno alla fermata dell'autobus, o una scatola con dei fili nel centro città, contattano l'artificiere Galina Slesareva.
Quando, nella torrida estate del 2010, nel centro della piccola cittadina dal fondo del lago fu recuperata e depositata sulla spiaggia una bomba aerea del peso di 100 chilogrammi, per prima cosa telefonarono a lei.
Secondo l'artificiere, ci si può imbattere in una trappola mortale nei luoghi più impensati. Una volta, ad esempio, nella soffitta di un palazzo di otto piani in costruzione, in una cassetta con gli addobbi dell'albero di Natale un elettricista trovò una mina antiuomo direzionale comandata a distanza. Si seppe poi che l'aveva lasciata temporaneamente lì insieme alle sue cose un poliziotto di ritorno da una missione.
Galina confessa che quando lavora non si sente in pericolo, ma ha paura piuttosto per gli altri. Nonostante la sua grande esperienza, ancora oggi all'artificiere Slesareva capita di scontrarsi con la mancanza di fiducia da parte di qualcuno.
Inutile chiedere a Galina perché abbia scelto un lavoro tanto rischioso come quello dell'artificiere, la risposta è chiara: è stato il lavoro a scegliere lei.
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