Le memorie di Riccardo

Soldati in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale (Foto: Ufficio Stampa)

Soldati in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale (Foto: Ufficio Stampa)

Riccardo Di Raimondo, 91 anni, siciliano, è uno dei pochi superstiti italiani della spedizione in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale. A distanza di 70 anni, racconta tutto in un libro fotografico

La lunga traccia del dolore. Dal fiume Don (Russia) alla Polonia, 1.300 chilometri di sofferenza. Di fame, freddo gelido, in ritirata sotto l’assalto dell’esercito sovietico. Riccardo Di Raimondo, 91 anni, siciliano, è uno dei pochi superstiti italiani della spedizione italiana in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale. A distanza di 70 anni, ha scritto il libro “La ritirata in Russia. Dal fiume Don a Varsavia (1942-43)" (Book Sprint Edizioni, euro 12,40) per raccontare i cinque mesi - dal dicembre 1942 ad aprile 1943 - vissuti tra neve e gelo, immortalati con una macchina fotografica nascosta tra due bombe a mano. Un inferno bianco, tra morti, fughe disperate, mancanza di cibo, brandelli di amore, nostalgia per l’Italia.

Riccardo Di Raimondo
(Foto: Ufficio Stampa)

Signor Di Raimondo, perché ora, a 91 anni, riaprire le ferite di ricordi così dolorosi?

Mi ha stimolato Liliana, mia nipote, voleva lasciassi un ricordo vivo nella mente delle persone. Dovevo raccontare quello che ho visto. Le sofferenze sono state enormi. Piangevo mentre scrivevo, rivivendo il dolore di quell’inferno. E non ho voluto raccontare tutto quello che ho vissuto nel freddo russo. Oltre 1300 km, dal fiume Don a Varsavia, 40 gradi sotto zero. Senza mangiare, senza vestiti, senza meta. Noi, grappoli umani in fuga con i soldati russi che ci sparavano alle spalle. Mai avrei potuto immaginare tutto questo. Ero partito da Palermo per Bolzano acquisire maggiore padronanza nell’uso delle radio trasmittenti portatili. Poi Roma, Vigevano, il Fronte russo.

Lei sottolinea in ogni passaggio la grande generosità dei russi, nonostante foste voi gli invasori.

Soprattutto perché rivedevano in noi in fuga le sofferenze che potevano provare i figli impegnati in guerra. Non dimenticherò mai la coppia di anziani che salvarono la vita a me e un altro soldato della mia divisione che stava morendo per polmonite. Ci preparavano da mangiare, ci coprivano e piangevano. In lacrime per i propri ragazzi. Una sera incontrai una contadina russa che si accorse del principio di congelamento che mi stava colpendo: mi passò un po’ di neve sul naso. E poi mi ospitò a casa sua.

Tra le immagini più crude del suo racconto, un ufficiale italiano che chiedeva di essere accolto su un camion in fuga: travolto dall’autista come fosse un paletto.

Mi ero da poco allontanato proprio da casa sua. Non abbiamo potuto neppure avvicinarmi al suo corpo. La guerra tira fuori l’istinto animalesco dell’uomo, senza spazio per i sentimenti. Eravamo in fuga, panico collettivo, i russi ci inseguivano, tra corpi schiacciati. I camion sbandavano volontariamente per far cadere i soldati appesi alle sponde. Io mi aggrappavo ai capelli dei compagni dinanzi a me, per non andare giù.

La copertina del libro

In una circostanza dei soldati volevano farmi cadere: io ero aggrappato al retro e li minacciai con una bomba a mano, via io, tutti morti. Ma a volte veniva fuori anche uno spirito di umanità, di fratellanza: ho salvato la vita di quattro camerati. Ero forte, in salute. Mai un raffreddore. Ma tanti si ammalavano: bronchiti, polmoniti. Con il freddo che provoca stordimento, bloccava il cervello.

Guerra e amore, in due episodi lei racconta di essersi invaghito per una donna russa, per poi cedere alla legge della sopravvivenza. Perché ha voluto tornare a casa, nonostante il sentimento ricambiato?

La patria è la patria. Dovevo continuare a rappresentarla al meglio. E volevo tornare a casa mia, vedere i miei familiari, la mia Sicilia. E poi, mai sarei sopravvissuto: i russi non accettavano l’amore tra un nemico e una donna russa. Ci cercavano, saremmo stati fucilati entrambi. Ho pensato anche al suo bene. C’era il dolore del distacco reciproco, certo ma non si poteva fare altrimenti. Gli italiani erano ricercatissimi dalle donne russe. Un vero mito. Forse perché amatori o perché cercavano sempre di curare l’aspetto o per i modi gentili.

Poi il ritorno a casa. Trovò un Paese disastrato...

Distruzione, smarrimento, il 15 aprile 1943 rientravo in Italia dal Brennero. Baciai in terra, non sapevo come fossi ancora vivo. Vidi un Paese in ginocchio. Ebbi un mese di licenza, sul treno Bolzano – Modica ho osservato con dolore regioni, città fatte a pezzi, allo stremo. Soprattutto Palermo, casa mia, interi quartieri rasi al suolo. E c’era ancora il rischio di essere bombardati.  

Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta

Questo sito utilizza cookie. Clicca qui per saperne di più

Accetta cookie