Pedalando per tutta la Russia

(Foto: Levi Bridges)

(Foto: Levi Bridges)

Due viaggiatori americani hanno compiuto un’impresa che all’inizio sembrava impossibile: hanno attraversato il Paese più grande del mondo in bicicletta

L'avventura in bicicletta lungo il territorio russo (Foto: Levi Bridges)

Il 15 aprile 2012, il mio amico Ellery Althaus ed io siamo partiti in bicicletta da Vladivostok (Russia) e abbiamo iniziato a pedalare verso il Portogallo. Il nostro obiettivo era attraversare, in bicicletta, tutta la Russia e continuare attraverso l’Europa.

Avevo sognato questo momento per anni. Nelle mie fantasie, immaginavo di iniziare questo viaggio su una tranquilla spiaggia di pietre grigie, con l’aria fresca che mi entrava nei polmoni.

Dopo aver pianificato tutto per sette anni, il freddo giorno di primavera in cui Ellery ed io arrivammo sulla spiaggia sabbiosa del porto Sportivnaya di Vladivostok, fummo assaliti da un gruppo di giornalisti russi che ci riempirono di una raffica di domande, tenendoci i loro microfoni premuti contro la faccia, mentre noi balbettavamo risposte a denti stretti.

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Le moto

In mezzo a quella confusione, avvicinammo le biciclette al mare e introducemmo le ruote posteriori nell’acqua. La nostra intenzione era, otto mesi più tardi, poter immergere le ruote anteriori nell’Atlantico. La stampa ci fece un sacco di foto. Nonostante tutta quella gente, sentivo che quel grande momento era ancora tutto mio...

O quasi.

"Puoi rimettere la ruota in acqua?", mi urlò un fotografo, rovinando il significato simbolico di quell’atto: "Voglio fare un altro scatto".

Quel giorno, mentre percorrevamo le montagne vicino Vladivostok, diedi un’ultima occhiata al mare. Davanti a noi ci attendeva un viaggio di circa 15.996 chilometri; avremmo attraversato ben undici fusi orari e due continenti.

Iniziammo a pedalare.

Gli idioti

Prima di intraprendere il viaggio, Ellery ed io preparammo dei biglietti da visita, con il nostro sito Web, intitolati: "Gli idioti". Era un riferimento al celebre romanzo di Fedor Dostoevskij, L'idiota, nonché al fatto che l'idea di attraversare la Siberia, in bici, richiedeva una buona dose di follia.

Ma i russi non pensavano affatto che fossimo degli idioti. I cameraman che ci filmarono a Vladivostok ci dissero che saremmo comparsi in diversi programmi televisivi, da Mosca a Magadan. La mattina dopo, infatti, tutti sapevano chi eravamo. La gente, che ci passava vicino in macchina, abbassava il finestrino e ci salutava sorridendo.

"Ehi, amici americani!", ci gridò una macchina di giovani russi che rallentò per andare al nostro passo, la seconda mattina del nostro viaggio.

"Zdravstvuite. Ciao", risposi, soffocato dal tubo di scarico, mentre procedevamo fianco a fianco.

"Questo fa parte dei Giochi Olimpici di Sochi 2014?", ci chiese il conducente, un giovane con gli occhi chiari, di nome Ivan.

"No", rispose Ellery. "È solo un’avventura".

Un ragazzo, seduto sul sedile posteriore, estrasse una penna e un block-notes e si mise a sventolarli fuori dal finestrino.

"Ci fate un autografo?", ci chiese.

Dopo esserci fermati a firmare il block-notes, Ivan mi lasciò il suo numero di telefono.

"Chiamatemi se avete bisogno di qualcosa", ci disse.

E così fu durante tutto il nostro viaggio attraverso la Russia; nelle città e nei piccoli centri, le persone ci invitavano a mangiare con loro e ci offrivano la loro ospitalità per passare la notte.

Ovunque andassimo, in Russia, trovavamo sempre dei nuovi amici.

Controvento

Quando viaggi in bicicletta per la Siberia, ci sono molte cose di cui ti devi preoccupare: le basse temperature, il cattivo stato delle strade, gli orsi e le tigri siberiane, e i conducenti ubriachi.

Mark Jenkins, lo scrittore del National Geographic che aveva attraversato la Russia in bicicletta, nel 1989, ci disse di organizzare bene il nostro viaggio. Prima di iniziare, Jenkins ci informò, per posta elettronica, che i venti occidentali, tipici delle latitudini settentrionali, avrebbero soffiato contro di noi.

Era una difficoltà in più, in un’impresa già di per sé ardua. Avremmo dovuto pedalare controvento.

Ma la sfida più grande, con cui ci scontrammo, furono le zecche.

In Siberia Orientale, alcune zecche sono portatrici di un virus chiamato encefalite da zecca che, se trasmesso agli esseri umani, può causare malattie, danni al sistema nervoso e persino portare alla paralisi.

Ellery ed io ci vaccinammo per la prima volta contro questa malattia a Vladivostok, e la seconda a Khabarovsk (la prima grande città in cui arrivammo). Il vaccino contro l'encefalite da zecche indebolisce temporaneamente il sistema immunitario e persino un raffreddore può causarti gravi problemi di salute.

Il giorno dopo aver lasciato Khabarovsk, Ellery soffrì di un’intossicazione alimentare acuta (diretta conseguenza del vaccino) e dovette ricevere cure mediche in un ospedale locale. L’intossicazione danneggiò così tanto il suo stomaco che continuò ad ammalarsi una volta ogni mese, per il resto del nostro viaggio attraverso la Siberia.

Ritornato negli Stati Uniti, Ellery dovette sottoporsi a un’appendicectomia. Durante l’operazione, il medico gli trovò diverse cicatrici nell’intestino.

"È fortunato a essere tornato vivo dal suo giro in bici", gli disse il dottore.

Sulla strada per Mosca

Al momento del nostro viaggio, un tratto lungo circa 800 chilometri dell’autostrada federale russa (la strada principale che collega Vladivostok a Mosca) non era asfaltato. Sullo stradario, il tratto non asfaltato appariva come una sinuosa linea rossa che collegava dei piccoli punti che rappresentavano dei piccoli villaggi. Esso disegnava una curva lungo la punta settentrionale della Cina, come il manico del Grande Carro.

La strada sterrata era in così pessime condizioni che spesso ci mettevamo 10 ore per percorrere 80 chilometri. In molte occasioni fummo costretti a fare l’autostop per raggiungere i capoluoghi regionali, quando Ellery si ammalava. I medici gli avevano prescritto delle medicine, ma lui continuava ad ammalarsi e noi, testardi, continuavamo a pedalare.

Nonostante le difficoltà, ogni volta ci rianimavamo dinanzi alla bellezza della natura e alla ricchezza delle diverse culture. La strada sterrata ci condusse attraverso gli impressionanti Monti Stanovoy e ritornò a essere asfaltata solo a partire dalla città di Chita. Continuammo a pedalare fino alla Buriazia, patria dei popoli buriati indigeni della Siberia. Il nostro viaggio attraverso la Buriazia ci fece percorrere dolci colline puntellate di monasteri buddisti e si concluse sul Bajkal, il più grande lago d'acqua dolce del mondo.

Dal Lago Bajkal a Mosca, iniziammo a misurare le distanze in tratti di 1.500 chilometri. È questa la distanza tra le colline ondulate che circondano il Bajkal e la città di Krasnoyarsk. Altri 1.500 chilometri di steppa separano le città siberiane di Novosibirsk ed Ekaterinburg, dove dovemmo lottare contro i forti venti di cui ci aveva parlato Mark Jenkins.

In una radura a Ovest di Novosibirsk, Ellery ed io ci fermammo a cambiare la nostra quarta gomma bucata del giorno (la sedicesima del viaggio). Intanto lo stomaco di Ellery gorgogliava, preannunciando l'inizio di un’altra crisi di intossicazione alimentare.

In qualsiasi direzione guardassi, non c’era né un albero né un paletto di recinzione. Mi accovacciai, avvolto dalla calura estiva, per cambiare la gomma, sedendomi a terra, dopo aver percorso 4.499 chilometri. Guardai i capelli ricci di Ellery muoversi su e giù in un canale di scolo, che il mio amico aveva trovato per espletare i suoi bisogni fisiologici.

Proprio in quel momento, una macchina carica di russi ​​entusiasti si avvicinò per conoscere gli intrepidi avventurieri che avevano visto in televisione. Cercai di distogliere la loro attenzione dal mio compagno, che era rannicchiato nel fossato.

Lì c’erano i loro eroi.

Passata la città di Ekaterinburg, attraversammo gli Urali e iniziammo un altro tratto di 1.500 chilometri, famoso per i problemi di traffico. Ci fermammo a Kazan, capitale del Tatarstan. Il Tatarstan è una repubblica indipendente e il popolo tataro pratica l'Islam. All’improvviso, le moschee sostituirono le chiese ortodosse che avevamo incrociato fino a quel momento, durante il nostro viaggio in bicicletta.

Raggiungemmo Mosca a metà settembre. Le foglie avevano già assunto il color cremisi dell’autunno. L’inverno sarebbe arrivato presto.

Continuammo a pedalare in fretta verso Sud, in direzione dell’Ucraina. I dettagli della Russia che ci avevano fatto sentire come a casa (la musichetta che precedeva il notiziario della sera, le espressioni colloquiali con cui mi rivolgevo ai giovani, il fermarmi a lasciare passare le nonnine) stavano per svanire.

Sul confine ucraino, mi voltai a guardare la montagne russe spazzate dal vento e provai un misto di trionfo e di nostalgia. Ellery ed io avevamo compiuto ciò che per tanti mesi ci era sembrato impossibile.

Ora facevamo parte di quel gruppo ristretto di persone che aveva attraversato in sella a una bici la Russia, il Paese più grande del mondo.

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