Giovanni Savino, dottore in Storia russa, insegna all'Università Rggu di Mosca (Foto: Archivio Personale)
È ripercorrendo la nascita e l'esplosione del nazionalismo russo, dal 1890 al 1917, che Giovanni Savino di Aversa, dottore in Storia russa, dal 2008 vive in Russia, prima a San Pietroburgo, oggi a Mosca. La sua testimonianza di vita a Russia Oggi.
Nato ad Aversa, in provincia di Caserta, nel 1984, è dottore di ricerca in Storia della Russia. È insegnante di Lingua italiana presso l’Università Russa di Studi Umanistici Rggu di Mosca
"Iniziai ad occuparmi di storia della Russia nel 2004 e nello stesso anno cominciai a studiare la lingua russa a Napoli, recandomi poi a San Pietroburgo nell’estate del 2005 per un corso di perfezionamento linguistico presso l’Università Statale. Nel 2008 vinsi poi una borsa di dottorato e mi trasferii a San Pietroburgo.
Io mi occupo di storia della tarda età zarista, che va dal 1890 al 1917, e il mio tema è il nazionalismo russo e le sue relazioni con le periferie della Russia. Una volta scritta la tesi, rientrai in Italia e trovai il nulla, nessuna possibilità di post-dottorato o di assegni di ricerca.
In quegli anni tornavo spesso in Russia a fare ricerca e cominciai a scrivere i primi articoli e a rivedere la tesi di dottorato per farne un libro e, finalmente, nel 2012 ricevetti una risposta positiva a uno dei tanti curriculum che avevo mandato alle università e istituti di istruzione russi e decisi di venire in Russia a insegnare italiano.
Avevo già una certa esperienza di insegnamento dell’italiano agli immigrati dall’Est europeo nella mia città d’origine, che è Aversa, vicino a Napoli; avevo insegnato anche a San Pietroburgo.
Qui a Mosca cominciai a insegnare presso scuole private e ora sono docente a ore presso l’Università Russa di Studi Umanistici Rguu. Parallelamente, insegno privatamente".
Quali sono i problemi che ha incontrato?
L’unico vero problema è legato al visto. Sono a Mosca con un visto trimestrale, quindi ogni tre mesi devo rientrare in Italia per ottenerne uno nuovo. Paradossalmente le direzioni del personale delle varie università a cui mi sono rivolto per cercare di avere un invito più lungo creano molti problemi burocratici. Per il resto, sono sistemato bene, ho in affitto una stanza con un regolare contratto.
Come vede il futuro?
Attualmente sto scrivendo a rilento questa sorta di libro sulle origini culturali del nazionalismo russo di inizio ‘900, collaboro con qualche rivista storica russa e penso proprio di rimanere in Russia per i prossimi anni. Io del resto sento la Russia un po’ come il mio Paese, perché avevo 21 anni la prima volta che sono venuto qui e, come sempre in questi casi, si crea una situazione di affetti divisi a metà, da una parte la famiglia, dall’altra gli amici. Bisogna poi dire che la mia generazione in Italia non ha molta fortuna. Molti dei miei colleghi di dottorato sono in diverse città d’Europa e del mondo. Oggi nell’ambito della slavistica c’è un interesse crescente in Italia. Paradossalmente questo settore dopo la caduta dell’Unione Sovietica si era un po’ fermato e i rapporti culturali erano più vivi nell’epoca della Guerra fredda che oggi, quando, invece, fioriscono i rapporti di tipo economico e turistico. Quindi la mia filosofia di vita rispecchia quello che dice una canzone del gruppo musicale “Samotsvety”: il mio indirizzo non è una casa o una via, è l’ex Unione Sovietica. E poi il problema sono le alternative che in Italia mancano. Io comunque in Russia riesco a mantenermi. Tornare in Italia significherebbe tornare a casa dei miei genitori e questo è per me inammissibile, perché credo sarebbe un’ingiustizia rispetto al fatto che tutti noi possiamo offrire molto a quello che è il mercato del lavoro italiano, allo sviluppo dell’Italia e a quella che è la nostra esistenza.
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