Così le donne gestivano veri e propri imperi commerciali nella Russia zarista

Kira Lisitskaya (Foto: Fred Morley, Heritage Images, Archivio di Universal/Getty Images)
Non di rado a capo degli stabilimenti produttivi, dei mulini e delle imprese commerciali vi erano donne. Imprenditrici indipendenti dagli uomini che riuscirono a costruire grandi fortune economiche

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La legge dell’Impero russo non faceva discriminazioni tra uomini e donne nell’ambito degli affari. Inoltre, non consentiva ai mariti di controllare le ricchezze delle loro mogli (a differenza delle leggi europee dell’epoca). Ciò ha permesso a molte donne russe di diventare imprenditrici di successo. 

Si tratta di dinamiche difficili da immaginare in una società fortemente patriarcale, ma secondo la storica russa Galina Ulianova, circa la metà dei benefattori russi del XVIII-XIX secolo erano donne. “Molte di loro non erano solo mogli, vedove e figlie di uomini d’affari benestanti”, scrive Ulianova nel suo libro “Women Merchants, Noblewomen, Women Tycoons” (“Donne mercanti, nobildonne, donne magnate”), recentemente pubblicato dalla casa editrice NLO. “Erano donne d’affari indipendenti a capo di stabilimenti produttivi, mulini e imprese commerciali. Il loro capitale era spesso guadagnato indipendentemente dagli uomini delle loro famiglie”. 

La principale differenza tra le leggi imperiali russe e quelle europee sulla proprietà aveva a che fare con la parità dei sessi. “Dopo il matrimonio, il marito non acquisiva diritti legali sulla proprietà della moglie (casa, tenute, terra, mobili, vestiti, gioielli…), come accadeva in altri paesi”, scrive Galina Ulianova. Nell'Europa del XIX secolo, invece, le donne sposate non avevano il diritto di possedere alcuna proprietà, né di difendersi in tribunale in modo indipendentemente dai loro mariti.

Al contrario, già nel 1753, in Russia le donne sposate potevano comprare e vendere beni in modo indipendente, senza consultare il marito. I coniugi potevano persino comprare e vendere beni tra di loro, come se fossero dei perfetti estranei!

In questo modo, le donne russe potevano possedere e gestire autonomamente i propri possedimenti e i loro mulini, e negli anni ‘70 dell’Ottocento si ritrovarono a capo di oltre 1.000 imprese commerciali! La legge imperiale non faceva alcuna distinzione tra donne e uomini in termini di tasse. Una donna poteva fondare un’impresa ed entrare nella classe mercantile, a condizione che pagasse le tasse. La maggior parte delle imprese possedute da donne erano manifatture tessili. Infatti, un quinto di tutto il tessuto fornito all'esercito russo era prodotto da fabbriche di proprietà di donne!

Nel XIX secolo, la metà delle donne d'affari in Russia proveniva da famiglie nobili. Di queste, più della metà aveva ereditato le proprie imprese dai genitori, e solo il 20% dal marito. Le altre imprenditrici erano per lo più nate in famiglie di commercianti. 

Le ragazze che nascevano in famiglie proprietarie di attività imprenditoriali studiavano la matematica, la contabilità e le lingue straniere come l’inglese e il tedesco, per poter portare avanti gli affari in caso di eredità.

Nel corso della storia della Russia zarista ci sono state migliaia di donne d’affari. Nel suo libro, Galina Ulianova riporta le storie di alcune di loro. 

Maria Morozova (1830-1911), una donna dal “grande tatto mondano”

Maria Morozova, 1897, ritratta da Valentin Serov

Negli ultimi anni della sua vita, Maria Morozova aveva accumulato un’enorme fortuna che superava i 30 milioni di rubli. Per contro, a quei tempi la somma di tutte le tasse giudiziarie e clericali raccolte nell'Impero russo ammontava a 54 milioni, mentre l'intero bilancio del paese era di 2,2 miliardi di rubli. Come fece la Morozova ad acquisire una tale ricchezza? E come la gestiva?

Maria Morozova era discendente di due famiglie influenti di produttori tessili (i Simonov e i Soldatyonkov), vicine ai Vecchi Credenti. A 25 anni sposò Timofej Morozov, erede della più famosa dinastia tessile dei Vecchi Credenti in Russia. Prima della sua morte prematura, avvenuta nel 1889, ebbero nove figli. Con la morte del marito, Maria prese in mano gli affari di famiglia.

La fabbrica di filatura di cotone Nikolskaja di proprietà dei Morozov

Nel 1873, Timofej Morozov aveva creato una società mista, indicando Maria tra i fondatori. Nel testamento di Timofej, tutta la sua proprietà (cinque milioni di rubli in azioni, titoli e contanti) fu lasciata in eredità alla moglie. “Era una donna molto dominante, con una mente chiara, grande tatto mondano e opinioni indipendenti”, scrisse Pavel Buryshkin, suo contemporaneo.  

Con 17.300 dipendenti, la fabbrica di filatura di cotone Nikolskaja, nella città di Orekhovo-Zuevo, vicino a Mosca, era la seconda impresa più grande della Russia. Era tecnologicamente moderna, possedeva le più recenti attrezzature, ed era gestita quotidianamente da Maria in persona, dal suo ufficio nel centro di Mosca, a poca distanza dalla sua favolosa villa che esiste ancora oggi.

Alla sua morte, nel 1911, la Morozova aveva sestuplicato il capitale dell’azienda. Fu una delle donne d'affari di maggior successo della Russia imperiale.

Vera Alekseeva (1774-1849), “temuta e rispettata”

Vera Alekseeva

La bisnonna del famoso attore, regista e teorico del teatro Konstantin Stanislavskij, Vera Alekseeva, prese in mano gli affari del marito a 49 anni, dopo la sua morte. La loro azienda produceva fili d'oro e d'argento per ricami (per sacerdoti e alti funzionari). Gli Alekseev vendevano anche lana e seta, possedevano alcune case a Mosca, 92 negozi e 18 magazzini. Una fortuna ereditata da Vera e dai suoi due figli.

Ovviamente non era facile gestire una tale fortuna. Ma Alekseeva non solo si dimostrò all’altezza della situazione, ma riuscì addirittura ad espanderla: nel 1849 possedeva il 30% di tutti i magazzini di Gostinij Dvor, un vecchio mercato accanto al Cremlino. Nei suoi negozi si vendevano tessuti, nastri, cappelli, pellicce… Dovette persino affittare altri spazi per far fronte alle quantità di merce. I suoi negozi e la sua fabbrica le facevano guadagnare circa 100.000 rubli all'anno ciascuno, una somma molto redditizia (un ministro del governo era pagato 4-5.000 rubli all'anno).

Gostinij Dvor (a destra) all'inizio del XIX secolo

“Era una donna anziana, dai tratti espressivi che portavano tracce inconfondibili della bellezza di un tempo. Portava sempre un fazzoletto legato intorno alla testa, alla vecchia maniera”, scrisse suo nipote Nikolaj Vishnyakov. “Era terribilmente avara. Una volta aveva pensato di regalare a tutti noi, suoi nipoti, un cucchiaio d'argento; portò i cucchiai, ma tenne sempre la mano in tasca e alla fine non ebbe il coraggio di darli via e se ne andò con i cucchiai in tasca”. Tale comportamento, tuttavia, non infastidì particolarmente i suoi parenti. “Era rigorosa e orgogliosa, ma intelligente. Anche se non esprimeva molta tenerezza, non c’era dubbio che ci trattasse bene. Era temuta e rispettata”. 

Natalia Andreeva (1832-1910), una “semplice calzolaia”

Natalia Andreeva

Natalia Andreeva sapeva a malapena leggere e scrivere. Ciononostante fece di tutto per impartire ai figli la migliore educazione universitaria. Quando morì, lasciò più di 200.000 rubli a numerosi enti di beneficenza, e il suo corteo funebre arrivò a formare una coda di partecipanti lunga quasi un chilometro. Sua nipote Margarita Sabashnikova ricordò come un passante chiese a suo zio, figlio della Andreeva, chi fosse la persona che stavano seppellendo in pompa magna. “Una semplice calzolaia”, rispose lui. “E noi siamo la sua progenie”.

La Andreeva aveva ereditato l'attività di calzolaio da suo padre, morto nel 1867, e non aveva figli maschi; quindi, secondo la legge russa, l’unica proprietaria sarebbe divenuta la figlia.

Suo marito invece gestiva un’attività a parte, legata alla vendita di tè. Prima che egli morisse, lo stesso anno di suo padre, Natalia diede alla luce 12 figli (ne vissero 10).

Natalia Andreeva riuscì a superare il dolore per questi lutti e a 35 anni prese in mano la gestione di tutti gli affari. Nonostante non avesse seguito un percorso di istruzione canonico, riuscì ad occuparsi da sola di tutte le pratiche. Più tardi, sua figlia Catherine avrebbe rammentato: “Mia madre scriveva con difficoltà, faceva errori di ortografia, perché non aveva mai studiato sistematicamente. Tuttavia, le sue lettere erano molto vivaci, sempre laconiche, ma informative”.

Natalia educò i suoi figli mostrando loro come si gestiscono gli affari. Ogni sera, alle 20 in punto, un contabile o un avvocato le faceva visita a casa. Spesso, durante gli incontri di lavoro, portava con sé anche i figli. “Saliva al piano di sopra e ci lasciava al piano di sotto, dove ci sedevamo sull’unico divano di tela, afflosciati, ad aspettarla. Lì non ci era permesso parlare”. 

I suoi figli assistettero così, in prima persona, a come venivano gestiti gli affari e la vita della classe mercantile. “Era una politica portata avanti in maniera consapevole dalla madre, la quale voleva mostrare ai figli che la ricchezza di una famiglia si basa sul lavoro”, scrive la Ulianova.

Dopo la morte della Andreeva, furono aperti a Mosca, a sue spese, una struttura ospedaliera e una scuola; entrambi gli edifici esistono ancora oggi.

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Galina Ulianova e la copertina del suo libro “Donne mercanti, nobildonne, donne magnate” (Mosca, 2021), pubblicato dalla casa editrice

Russia Beyond ha chiesto alla dottoressa Galina Ulianova se durante i suoi studi si sia imbattuta in casi di donne alle quali fosse fatto divieto di esercitare attività commerciali a causa del loro genere.

“No, non ho trovato nessun caso del genere - ha dichiarato Galina Ulianova -. Le imprese venivano vietate solo sulla base di leggi imperiali o regolamenti comunali locali. Ciò riguardava le produzioni accusate di inquinamento ambientale, come quelle legate alla tintura dei tessuti e alla concia delle pelli. Per esempio, nel 1850, la più grande conceria di Mosca, che apparteneva a una ricca commerciante, Natalia Bakhrushina, fu segnalata alle autorità moscovite: i rifiuti scaricati dall’impresa stavano inquinando il fiume Moscova. Bakhrushina si ritrovò così a spendere un’ingente cifra di denaro per installare nuovi macchinari per la pulizia; e la sua fabbrica si mantenne in attività”.  

“Ovviamente - prosegue la dottoressa Ulianova -, buona parte delle donne d’affari della Russia zarista appartenevano a famiglie influenti; perciò era praticamente impossibile trattarle con disprezzo. Inoltre, le donne non erano quasi mai sole nella gestione dei loro affari: erano sostenute dai fratelli, dai mariti e dai loro figli. Tuttavia, erano proprio loro a dirigere le imprese e a gestire le questioni finanziarie”.

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Galina Ulianova, Ph.D., è ricercatrice senior presso l'Istituto di Storia russa dell’Accademia russa delle Scienze, a Mosca. La dottoressa Ulianova è la principale ricercatrice russa della storia della filantropia e della carità russa. È autrice di molti libri, tra cui: “The Philanthropic Activity of Moscow Entrepreneurs. 1860-1914” (in russo; Moscow Archive Publishing House, 1999); “Female Entrepreneurs in Nineteenth-Century Russia” (Londra: Pickering & Chatto, 2009), “Philanthropy in the Russian Empire, 19th and early 20th centuries” (in russo; Mosca: Nauka, 2005).

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