Come un uomo riuscì a scappare dall’Urss a nuoto attraverso il Mar Nero

Dmitrij Astakhov/Sputnik, Pixabay
L’impresa era disperata, ma Pjotr Patrushev era un nuotatore esperto e aveva una determinazione di ferro. Così, nel 1962, riuscì a raggiungere la Turchia e a rifarsi poi una vita in Australia, dove divenne giornalista e traduttore (ha lavorato come interprete anche per le visite di Stato di Gorbachev e Putin)

In una notte di giugno del 1962, un giovane siberiano di nome Pjotr Patrushev si tuffò nel Mar Nero e iniziò a nuotare verso la Turchia. Lo aspettavano riflettori puntati addosso, pattuglie di guardia, mine e pericolose correnti. 

Pjotr aveva bisogno di un’enorme quantità di fortuna per sfuggire all’Unione Sovietica, dal momento che decine di persone prima di lui avevano scelto questa via d’uscita ed erano morte durante il tentativo. 

Perché lo fece? 

Pjotr Patrushev, un uomo comune che veniva dal bel mezzo del nulla siberiano, non poteva nemmeno immaginare che un giorno sarebbe diventato un nemico dello Stato, e che l’Unione Sovietica lo avrebbe condannato a morte in contumacia. 

Sin dall’adolescenza, però, Patrushev sentiva che le sue possibilitàin Urss erano troppo limitate: “Volevo viaggiare, studiare le lingue, leggere letteratura proibita, amavo la storia, la filosofia, la psicologia, la medicina, praticare lo yoga e l’ipnosi, e cercavo di scrivere. Non mi rassegnavo a quella mancanza di speranza in cui vivevamo tutti…

Il pensiero di fuggire, tuttavia, non gli era passato nemmeno per l’anticamera del cervello finché non si arruolò nell’esercito. Non volendo essere vittima del nonnismo da parte dei soldati più anziani, adottò una strategia rischiosa, che gli sarebbe potuta costare la vita. 

Patrushev simulò una malattia mentale e fu ricoverato in ospedale, da dove fu presto affidato ai suoi parenti. Con lo stigma della schizofrenia, però, Pjotr aveva ora ben poche opportunità nel suo futuro. Così decise di fuggire dal Paese, lasciando a casa sua madre e i parenti. 

Il sogno di arrivare in Turchia 

Nel 1962, Pjotr Patrushev, ventenne, si fece 4.000 km in treno, dalla città siberiana di Tomsk a Batumi, nella Georgia sovietica. La città è situata sulla costa a poche decine di chilometri dalla Turchia. E fu così che Patrusev scelse di lasciare il Paese. 

Era praticamene impossibile attraversare il confine a piedi, quindi Patrushev, che era un ottimo nuotatore, con molti anni di allenamento in piscina, decise di nuotare per 35 chilometri nel Mar Nero per lasciare l’Urss. 

L’avventura non era certo una passeggiata. Molte persone avevano tentato di farlo prima di Pjotr e avevano tragicamente fallito: erano annegati, erano stati spazzati via dalle correnti, saltati in aria per delle mine galleggianti o erano stati catturati dalle guardie di frontiera sovietiche, che a volte andavano a riprendersi chi cercava di fuggire anche dai turchi che li avevano catturati nelle loro acque territoriali.

Come evitò le pattuglie sovietiche 

Al tramonto, in quella tiepida giornata di giugno, Pjotr Patrushev, con indosso solo il costume da bagno e le pinne, entrò in acqua e nuotò dalla riva verso il mare aperto. A parte una tavoletta di cioccolata e il suo passaporto sovietico nascosto in una busta di plastica nei suoi pantaloncini, non prese nulla con sé.

L’intera costa verso il confine turco era ben sorvegliata e piena di riflettori che illuminavano la superficie dell’acqua. Per evitarli, Patrushev nuotò dalla riva più velocemente che poteva in mare aperto. Poi si voltò e nuotò parallelamente alla costa verso ciò che sperava fossero acque territoriali turche.

“Fui preso da un travolgente senso di gioia. L’avevo fatto! Ero scappato! Le mie mani tagliavano l’acqua, il mio corpo, aiutato dalle pinne, scivolava quasi senza alcuna difficoltà”, ricordò poi. “Il mio cuore urlava una sola parola: ‘Turchia… Turchia… Turchia…’”.

Dopo 4-6 ore di nuoto, Patrushev iniziò a dimenticare la minaccia dei riflettori, che da tempo erano distanti e deboli. Ma all’improvviso, un forte raggio di luce illuminò l’acqua proprio vicino a lui. “Istintivamente mi sono immerso subito, bevendo persino un bel po’ d’acqua, terrorizzato da questo nuovo, sconosciuto, pericolo.” Era una motovedetta sovietica, e Patrushev fu fortunato a non essere individuato. 

Una pericolosa sosta a metà strada 

Quando il sole iniziò a salire in cielo, Pjotr Patrushev tornò sulla costa. Sarebbe stato un suicidio nuotare alla luce del giorno, quindi dovette aspettare l’intero giorno sulla spiaggia, ma era ormai in una zona piena di possibile trappole. 

“Avevo sentito parlare di un filo molto sottile che poteva strangolare un uomo. Più cerchi di liberarti, più ti stringe. E di un filo spinato che lancia razzi di segnalazione al minimo tocco. E ancora di fili di contatto che inviavano segnali a un avamposto delle guardie di frontiera. Dicevano persino che ci fossero dei falsi cartelli per cercare di confondere il fuggitivo”, ha raccontato Patrushev. 

Tuttavia, Pjotr non si trovò di fronte nessuna di queste trappole e neppure le temute pattuglie con i cani. Trovò un rifugio tra le rocce, dove, visto che si sentiva morire di fame, divorò la sua unica barretta di cioccolato e si addormentò.

Quando arrivò l’oscurità, Patrushev continuò il suo viaggio. Nuotò fino a quando l’ultimo riflettore sulla riva fu lasciato alle spalle. Solo allora decise di tornare sulla spiaggia. 

Non un cordiale benvenuto 

Pjotr Patrushev era riuscito a fuggire dall’Unione Sovietica e a raggiungere la Turchia. All’arrivo, tuttavia, fu immediatamente arrestato.

Le forze di sicurezza turche sospettarono che fosse un agente del Kgb e lo misero in cella. Nessuno credeva che una persona potesse nuotare decine di chilometri nel buio pesto ed evitare le occhiute guardie di frontiera sovietiche. 

Solo dopo una scrupolosa indagine e un anno trascorso in una prigione turca, Patrushev fu rilasciato. Nel 1964, gli fu concesso un permesso di soggiorno in Australia, dove visse e lavorò come giornalista, traduttore e scrittore.

Il Ritorno in Urss e in Russia 

Patrushev non dimenticò mai la sua patria, ma non poté rientrare a lungo, perché era stato condannato a morte in contumacia per alto tradimento. 

Solo nel 1990, quando la sentenza fu annullata, tornò in patria per andare a trovare la sua vecchia madre e la sorella. Successivamente, Pjotr Patrushev visitò regolarmente la Russia fino alla sua morte, avvenuta nel 2016.

Ironia della sorte, l’ex nemico di Stato lavorò come traduttore per vari primi ministri australiani durante i negoziati con Mikhail Gorbachev e in seguito con Vladimir Putin.

 

Come un uomo fuggìdallUrss nuotando tre giorni nellOceano fino alle Filippine 

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