Sposati con Mosca: come l’Urss cooptò i partiti comunisti occidentali, e come li perse

"L'internazionale", poster sovietico di un artista sconosciuto. Museo di Stato russo, San Pietroburgo

"L'internazionale", poster sovietico di un artista sconosciuto. Museo di Stato russo, San Pietroburgo

Sverdlov/Sputnik
Da un lato a favore degli ideali di uguaglianza e libertà, ma dall’altro sempre fedeli al Cremlino, i partiti comunisti occidentali si trovarono spesso in mezzo a un fuoco incrociato. Ecco i casi di Italia, Francia e Stati Uniti

Italia

Enrico Berlinguer, segretario generale del Partito Comunista italiano

Nel 1976 il leader sovietico Leonid Brezhnev e il suo governo rimasero sotto choc quando Enrico Berlinguer, capo del Partito Comunista Italiano, nel suo discorso a Mosca, disse – in poche parole – che il suo partito sarebbe andato per la sua strada, senza considerare l’opinione dei sovietici. “Si trattava di uno sviluppo sgradito per i comunisti sovietici”, scrisse il New York Times.

Il “divorzio” con gli italiani fu piuttosto duro per Brezhnev perché fino al 1976 il Pci era stato il partito comunista più popolare in Occidente, raggiungendo anche il 34,4 per cento dei voti nelle elezioni politiche. Il Pci, grazie alla sua storia di lotta contro il regime di Mussolini e alla sua enorme popolarità, era stato a lungo un importante alleato di Mosca.

Palmiro Togliatti, il predecessore di Berlinguer, ebbe perfino una città intitolata in suo onore, dove la Fiat costruì una fabbrica di automobili. L’Urss non badava a spese per i suoi compagni italiani e, come dice lo storico Richard Drake, “Nessun partito comunista al di fuori del blocco sovietico risultava dipendente, negli anni, dai finanziamenti sovietici, più del Pci”.

Berlinguer, però, pose fine a questa relazione, proponendo di prendere la strada dell’Eurocomunismo (che alla fine seguirono la maggior parte dei partiti comunisti occidentali) in quanto si trattava di un sistema pluralista e democratico, libero dall’agenda di Mosca. Nel 1979, dopo che i russi entrarono in Afghanistan, il Pci si allontanò, nella sua interezza, dall’Urss. Nel 1991 il Pci si sciolse su iniziativa del segretario Achille Occhetto.

Stati Uniti

Gus Hall, segretario generale Cpusa dal 1959 al 2000

Quando nel 1991 avvenne il crollo dell’Urss, il Partito Comunista americano (Cpusa) ne fu devastato: il mondo intero era finito sottosopra. “Fino al momento del crollo dell’Unione Sovietica, il Cpusa non aveva mai mosso nessuna critica, su nulla di ciò che i capi sovietici dicevano o facevano”, scrisse il giornalista di sinistra Pete Brown. E aveva ragione.

Per paradosso, uno dei partiti marxisti più inflessibili (nella suo statuto del 2014, il Cpusa ancora giura fedeltà a Marx, Engels e Lenin) era nato nella roccaforte del capitalismo. I comunisti acquisirono popolarità durante la Grande Depressione, quando ci fu una crescita drastica della disuguaglianza. Il Cpusa sosteneva i sindacati e la battaglia per i diritti dei lavoratori. 

La Rivoluzione Proletaria, tuttavia, non arrivò mai sul territorio americano. Come scrisse Jonathan Lethem nel suo romanzo “I giardini dei dissidenti”, dopo che il leader sovietico Nikita Kruschev pubblicò il suo “discorso segreto” nel 1956, in cui denunciava le sanguinose purghe di Stalin, “i comunisti americani divennero dei morti viventi”. Dopo quelle rivelazioni, la reputazione del filo-stalinista Cpisa ebbe un crollo agli occhi di moltissimi americani.

A questo si aggiunga l’isteria anti-comunista americana all’inizio della Guerra Fredda, e in più i continui – e scandalosi – casi di spionaggio collegati al mondo comunista, e si capirà come negli Usa il corso degli eventi negli anni Cinquanta abbia nuociuto alla causa. In ogni caso i comunisti statunitensi hanno continuato la battaglia, unendosi alle proteste contro la guerra e alle manifestazioni per i diritti civili degli anni Sessanta e Ottanta. Eppure i sovietici continuarono a sostenere il partito comunista Usa – c’è almeno un documento che dimostra che Gus Hall, segretario generale Cpusa dal 1959 al 2000, riceveva considerevoli somme di denaro da Mosca. 

Francia

Il politico francese Maurice Thorez

Il mondo oggi si ricorda appena di Eugen Fried (nome di battaglia “Clement”), e di Michel Feintuch (“Jean-Jerome”). Questi due comunisti dall’Europa dell’Est erano gli agenti del Comintern (l’Internazionale Comunista, organizzazione sotto il controllo di Mosca) e tiravano i fili del Partito Comunista Francese (Pcf) e del suo leader di lungo corso, Maurice Thorez.

“Il suo compito era di assicurarsi che gli ordini provenienti da Mosca fossero eseguiti meticolosamente” spiega la scrittrice francese Anne Kling, che descrive Fried come “l’uomo ombra” del Pcf. E ci riuscì: la posizione pubblica di Maurice Thorez seguì con fedeltà tutte le svolte e controsvolte di Stalin.

Nel 1939, nonostante le sue critiche nei confronti del nazismo, Thorez si oppose alla guerra contro Hitler nel momento in cui Urss e Germania firmarono il Patto di non aggressione. Ma quando Hitler attaccò l’Unione Sovietica, allora il Partito Comunista Francese dichiarò guerra ai nazisti e si unì alla Resistenza (distinguendosi in modo magnifico). Thorez, tuttavia, rimase a Mosca durante tutta la guerra. 

Dopo la guerra, con lui al comando, il Partito Comunista Francese mantenne la linea stalinista. I comunisti francesi restarono leali a Mosca, con Michel Feintuch (Fried era stato ucciso dai nazisti) che, in segreto, agiva come intermediario tra l’Urss e il Pcf fino agli anni Settanta. Solo negli anni Novanta, dopo il crollo dell’Urss, i comunisti francesi si spostarono sulle posizioni meno dottrinarie dell’Eurocomunismo.

 

Se se curioso del mondo sovietico e vuoi saperne di più, leggi la nostra storia su come gli eredi di Stalin lottarono per prendere il suo posto dopo la morte. Oppure guarda quali sono le statue erette in Russia a leader stranieri. 

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